Profili.
Leggo: professione poetessa, critico letterario, artista polivalente, etc… Che mondo meraviglioso.
Guardo.
Avatar (che, tradotto, sono le faccine cui vogliamo assomigliare): un paio di Rimbaud, qualche Johnny Deep, paesaggi melensi e qualche culo di profilo.
Io amo il prossimo! Come sono tollerante. Io amo il mio prossimo.
Non è vero, sono un pirla. Perché è la tolleranza che ci frega, la tolleranza al posto dell’emancipazione; perché lasciamo scorrere e non facciamo nulla per porre in essere le condizioni necessarie ad uscire dal pantano.
Vogliamo veramente sfoltire?
Bene. Cominciamo a non pubblicare più, risparmiamo alberi e cazzate. Siamo stati tutti in silenzio per anni, torniamoci.
Torniamo a quando pubblicare era difficile, a quando si bussava alle portine e si prendevano pedate. Torniamo alle lunghe attese, ai cassetti con i fogli chiusi.
Le leggine sul libro che dibattono la scontistica: da libraio preferisco che ci sia qualcosa con cui prendermela piuttosto di niente, ma sappiamo tutti che la migliore proposta sarebbe alleggerire i cataloghi, gettare la spazzatura, quell’immondizia che ha già ammorbato l’aria di un’epoca condannata.
Torniamo sempre lì, al grande privilegio poetico che avremmo di fare un’arte dove non si guadagna nulla, ma che proprio per questo non dovrebbe esimerci da responsabilità.
Tutti noi che abbiamo pagato per pubblicare, versato contributini, acquistato copiettine in omaggio amici-familiari, promossi dietro compenso a curatori di collane e scopritori di talenti, organizzatori di targhette e concorsini da ombrellone: cominciamo a dire basta, a far tre passi indietro verso un silenzio rispettoso, e magari tra un po’ cala chi ci mangia sopra, chi tira a campare, chi scrive poesia perché non ha un cazzo da fare.
Ascoltavo Rondoni, tempo fa, sostenere in una delle non troppe dichiarazioni che con lui condivido che ciò che muove l’editoria poetica è solo la vanità, e questo è giusto, come è giusto liberarsi di tutti quei favoritismi confusi per meriti.
Solo quando ce ne accorgeremo saremo arrivati dove dobbiamo arrivare.