Zibaldello n.25: A che serve il mio essere di paglia se tu non vieni con la forca a spostarmi?

 

Ormai lo sanno anche i sassi sordi: i lettori di poesia scarseggiano più dei dodo e degli unicorni.
In compenso, i poeti – nonostante pare sempre stiano lì lì per estinguersi in massa tipo i dinosauri – inspiegabimente si salvano in extremis di anno in anno, prolificando come dei panda in piena espansione demografica, oppure resistono alle intemperie della vita più dei fossili, dando libero sfogo alla loro incontinenza verbale nonostante i terribili problemi (?) che tediano l’editoria.
Questa la “quaestio” poetica riassunta in poco più di 70 parole.

La “lectio” è stata la lettura, giusto prima di Pasqua, della “prima ricognizione” di poeti nati negli anni ’80 proposta da Luciano Mazziotta su PoetarumSilva e, una settimana prima, su UniversoPoesia, di una recensione di Elisa Vignali sulla antologia La generazione entrante di Matteo Fantuzzi.

Ora, dopo essermi concesso il lusso della “meditatio” (pratica alquanto trascurata dai surfisti del web, vedere molti dei commenti al Mazziotta per credere), mi concedo l’ulteriore lusso di una postilla alla “disputatio”.

Come suggerivo qualche rigo fa, se le centinaia (forse migliaia) di poeti sono in via di estinzione, i lettori di poesia sono ormai una figura mitologica: esseri abominevoli con la schiena curva, chini, quasi rattrappiti, su dei fogli macchiati di inchiostro e due fondi di bottiglia sopra gli occhi etc.
Dunque: a che pro una antologia? potrebbe uno dire.

Principalmente per due ragioni:

a) un lettore di Dan Brown, Alberoni, dieta di Duncan e liste della spesa potrebbe sbadatamente inciampare su una di queste antologie di poesia messe sotto lo scaffale traballante che regge le pile di Faletti e, credendo trattasi di una bizzarra antologia di racconti, potrebbe portarsela a casa ignaro di ciò che lo aspetta;

b) bisogna pur cominciare da qualche parte la selezione dell’offerta rispetto alla domanda – un po’ come abbiamo fatto con l’acqua ed altre futili risorse primarie, decidendo che africani e gran parte della popolazione orientale ne ha meno bisogno.

Dunque è bene che si facciano antologie (e controantologie). Anche se non le legge nessuno. Anche se rischiano di essere più corpose di una Treccani per il numero di poeti potenzialmente antologizzabili. Anche se le famiglie degli editori (cugini in terzo grado inclusi) hanno già gli scaffali pieni.
Fare antologie è bene, anche se l’unica cosa che riescono a fare è far parlare di sé – almeno così sentiamo delle voci e possiamo contare i superstiti nel buio.

Ogni antologia va rispettata, indipendentemente dalla sua buona o cattiva riuscita, poiché rappresenta una scelta e, in quanto tale, ereda il coraggio e la responsabilità di chi l’ha compiuta.
Sempre ci sarà una esclusione o un inserimento di troppo – vedi i commenti al post di Mazziotta, ma anche le discussioni sulla Poesia modernista di Linguaglossa o le accuse ai Poeti Anni Zero di Ostuni, solo per fare gli esempi più recenti ed eclatanti. Ma è proprio questa incompiutezza, questa imperfettibilità figlia della scelta ciò che differenzia una antologia da un elenco del telefono.
Per questa ragione, ciò che io discuto, qui e in questo caso, non è il contenuto (criticabile o condivisibile non importa), quanto piuttosto il metodo: se c’è una cosa di cui sono molto convinto è che fare una antologia dei nati negli anni X è un grosso(lano?) errore – molto di moda, a quanto pare.

Per quanto mi riguarda, una antologia è uno strumento della critica e, in quanto tale, non può essere fondata su un presupposto anagrafico che di critico non ha nulla – (se poi vogliamo fare a tutti i costi le antologie dei “nati nel”: che qualcuno, santo cielo, ne faccia una dei nati negli anni 50 e 60 prima che muoiano o gli venga l’ Alzheimer). È un po’ come antologizzare i poeti con i capelli rossi, o i poeti che non hanno mai comprato un libro di poesia (tranne quelli della Merini con il Corriere).
Che senso ha? Che criterio di selettività è l’età congiuntamente alla pubblicazione su rinomate riviste e partecipazioni ai reading letterari? Mazziotta non me ne voglia, però più che criteri critici di antologizzazione i suoi somigliano molto ad un annuncio di infojob (“Giovane sveglio e volenteroso, massimo 30 anni con 5 anni di esperienza”).

È pur vero, però, che le intenzioni del “ricognitore” non hanno “pretesa normativa né canonica” e per questo la ricognizione non segue “nessuna norma antologica […] né tanto meno di “linea”.”
Mazziotta dice esplicitamente che “non si è affatto tenuto conto del gusto di chi sceglie, cercando di non reiterare quel processo messo in atto dall’antologia di Loi-Rondoni, che, unanimemente, in questo blog, consideriamo un pretesto poco affine con la critica letteraria, e un lavoro poco condivisibile. Il valore di questo post vuole essere esclusivamente strumentale”. Ma strumentale rispetto a chi? a cosa? Che funzione svolge? È un elenco del telefono oppure un suggerimento di lettura? uno strumento critico o un “blogroll” dei poeti?

Sinceramente non credo che Luciano – che è una persona colta e intelligente – abbia voluto stilare un elenco telefonico dei poeti nati negli anni ‘80 perché, come direbbe Tenco, “non aveva niente da fare”. Nemmeno credo sia una operazione massonica messa in atto sotto le mentite spoglie di un innocente post su un blog.
Piuttosto, credo che il suo sia stato un modo come altri di colmare la mancanza di riconoscimento di una generazione, da un lato schiacciata dalla ingombrante imponenza dei “padri storici” della letteratura, dall’altro intimorita da una contemporaneità molto poco accogliente e poco o per nulla disposta a cedere gli scarsi spazi disponibili.

Lungi da me il tentativo (o la tentazione?) di alimentare un vittimismo senza ragioni della generazione cui appartengo, mi pare comunque un fatto il fatto che non ci fila tutto esattamente liscio come l’olio. Allo stesso modo, però, è un fatto il fatto che ogni generazione ha avuto le sue difficoltà, ciascuna venendone fuori o affogandoci dentro secondo il proprio stile.

Dunque la mia proposta è la seguente: non smettiamo di fare le antologie, però cerchiamo di limitare l’uso smodato del politically correct, della oggettività a tutti i costi, della asetticità delle preferenze e delle affinità (che ci sono, esistono, e con cui prima o poi bisognerà imparare a convivere), della neutralità delle posizioni e delle passioni.

Cominciamo a decidere – decidiamo – il nostro stile, come vogliamo venirne fuori o come scegliamo di affondare. Cerchiamo di offrire alla nostra generazione una personalità prima di volerla antologizzare. Compiamo scelte, sbagliamoci. Critichiamoci, appoggiamoci, imitiamoci. Distinguiamoci, includiamoci, escludiamoci. Facciamo tutto e il contrario di tutto però facciamolo responsabilmente, buttando il sasso e mostrando la mano gridando “sono stato io” e senza aver paura di farlo. Altrimenti, come direbbe Amelia Rosselli:

A che serve il mio essere di paglia
se tu non vieni con la forca a spostarmi? Se
tu non vieni con le pinzette a spostarmi? Con
le pinzette della violenza a pregarmi, a spostarmi,
a sposarmi?

(La libellula e altri scritti)

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Luigi Bosco
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35 Comments

  • E’ un lavoro poderoso, egregio Sinicco ( e perdoni il lungo tempo
    lasciato trascorrere) , quello contenuto nei due link da Lei proposti.
    Ma io preferisco comprendeere che cosa dicono i poeti, piuttosto che da dove e da quanto. Nessuno fin qui sembra volere fare il punto su questo aspetto.GS

  • Alla Antonella T. Taravella: il “prima morite” del qualcuno in questione era mio, che uso mettere la faccio in ogni cosa dico.
    Il “prima morite” in questione non era rivolto a chi piagnucolava da fuori elenco, ma una presa per il culo all’elenco in sé, come la totalità dei miei commenti, nonché la mia condotta poetica in toto, dimostra.
    un caro saluto.
    nc

  • Gianluca, con tutto il rispetto, non parlo di gelateria quando (sulla base di mappature che certo riguardano delle generazioni) comparo le poetiche, su una moltitudine di letture, che solo pochi soloni (come dice Matteo) con spirito volontario e operoso hanno fatto quello che avrebbe dovuto fare l’osservatorio delle critica. Inoltre, senza una base statistica, ricorda, le chiacchere della critica (che manca) sarebbero solo aria fritta sulla base di modelli scelti ad hoc…
    mmm… metto un link per farti capire come la pensavo a proposito dieci anni fa: http://www.fucinemute.it/2003/10/la-poesia-e-la-giovane-poesia-nelleta-del-web/

  • Non è che sono svenuto, sto leggendo il link di Sinicco (hai fatto bene a segnalare, Christian: bisogna raccogliere tutto ‘sto materiale).

    L.

  • Personalmente ho già spiegato che fare il punto della situazione ( ma anche soltanto una ricognizione) sulla poesia di oggi prendendo come spunto e comune denominatore la data di nascita dei poeti è un pò come cercare di stabilire quale sia la migliore gelateria in città partendo dagli scontrini emessi da tutte le gelaterie del centro di giovedì.
    Aggiungo qui, rispetto a quanto già discusso a proposito dell’elenco telefonico del Mazziotta ( peraltro utilissimo perchè evita fatica) e avendo letto gli interventi del curatore di LGE, che a mio avviso la vera partita, per la critica letteraria militante o smilitarizzata, si gioca tutta sulla poesia del duemila.

    Che poesia sarà, e di che cosa parlerà? ( il verbo al futuro è ancora necessario)

    Non è un caso che una delle più attendibili antologie degli ultimi anni ( testa per einuadi, Dopo la lirica, poeti Italiani 1960-2000) abbia fermato proprio allo scadere del secolo scorso la propria riflessione critica.

    ma è soltanto il mio parere, ovvio.
    Gianluca Sansone

  • Caro Matteo,
    per quanto mi riguarda mi son sempre permesso evidentemente “cose che 10 anni fa non erano permesse” e continuo a “permettermi”, quindi segnalo a tutti un buon riepilogo di Nacci su tutte le antologie che abbiamo osservato per uno speciale di Fucine Mute. http://www.fucinemute.it/2006/05/dare-tempo-al-tempo-e-aprire-brecce-nelle-riserve/

  • @ Fantuzzi.

    grazie della risposta. prendo atto insomma dell’incommensurabilità delle percezioni. mai avrei infatti pensato che si potesse definire “iper-sperimentale”, nell’accezione negativa che tu dai alla targhetta, la prosapoesia di De Francesco, o non riconoscibile, questa, e ancora epigonale rispetto ai nonni della neoavanguardia, con i quali peraltro non intrattiene rapporti se non sul versante portiano (versante battuto anche da autori antologizzati in LGE, peraltro).
    sono convinto invece che se c’è qualcuno che in questi anni è riuscito a rinnovare – internamente e esternamente – alcuni paradigmi (e innanzitutto quello ‘lirico’), quello sia proprio De Francesco. Non credo, in via del tutto personale, si possa dire lo stesso delle opere accolte LGE, tolto forse Tommaso Di Dio.
    Continuano dunque a sfuggirmi i criteri della selezione (che pare a me pregiudiziale ma che ritengo comunque legittima, come ho scritto anche sopra: non ti sto chiedendo di giustificarti, sia chiaro. Avevo una curiosità ed è stata soddisfatta).

    Un saluto a tutti,

    f.t.

  • lo spirito di 10 anni fa dipende anche da quello che accadeva 10-15 anni fa e che non serve nemmeno ricordare christian s’è detto 1000 volte. noi siamo arrivati in qualche modo in coda a quelle esperienze e ci possiamo permettere anche cose che a quel tempo non erano proponibili.
    per rispondere invece alla via “sperimentale” faccio un solo nome che è stato poi quello su cui più s’è valutato l’inserimento, ed è alessandro de francesco che è uno scrittore valido e con lavori a livello europei… anche se poi si sono prese altre decisioni per i motivi sopra citati.

  • caro @Fantuzzi, intanto grazie per la risposta olimpica. sono peraltro persuaso dalla necessità di ricominciare sempre a responsabilizzare gli autori.

    una curiosità, in merito ai tuoi cenni circa le linee di selezione di LGE.

    scrivi di non aver incluso, pur avendoli vagliati, autori “iper-sperimentali o iper-performativi, perché in qualche modo troppo poco riconoscibili per una loro identità rispetto magari agli autori del gruppo ’63”.
    Se posso avere una vaga idea di chi siano gli autori “iper-performativi”, mi sfugge tuttavia chi tu intenda, sempre nella generazione in discorso, per “iper-sperimentale”. Stando ad autori che hanno già alcune pubblicazioni alle spalle, non mi viene in mente nessuno, se non forse Ivan Schiavone. Più in generale, di rapporti fertili e non oppositivi con i “padri” (ma io direi: i “nonni”!) del Gruppo 63 – tolti Pagliarani e Porta – ne vedo davvero a stento tra i miei coetanei. Così mi piacerebbe sapere chi sono questi autori (che la tua frase taccerebbe di larvato epigonismo, rispetto ad altri che invece riuscirebbero, entro diverse linee e tradizioni, ad innovarle dall’interno). Chiedo questo, credimi, senza alcun non detto polemico; semmai, affinché io possa misurare la mia percezione dello stato delle cose comparandola ad altre percezioni del medesimo, e nel caso aggiornarmi e leggere autori che devono essermi sfuggiti.

    Un saluto,

    f.t.

  • ahhha, Luigi, sai già come la penso. Ma solo con le chiacchere non si può procedere. O si realizza una redazione nel senso in cui ti spiegai, che va a integrare la propria ricerca sul territorio operando un’azione decennale di comunicazione di risultati critici ovunque in Italia, che si propone alle organizzazioni, quelle libere, fresche, che già in questi anni hanno creato festival, contenitori, etc, o non si va da nessuna parte. Rimarremo a giocare con i “soliti”.

  • in effetti Matteo, siamo proprio dei soloni, o intendevi siloni? a parte gli scherzi, non è che non ci siano altre tendenze in atto, vedi Giuseppe Nava o A. Maria Petrosino e un impiego della metrica, su cui credo solo Italo Testa nella generazione precedente possiamo prendere a esempio. Ma dire che le cose siano collegate, proprio no, e comunque sappiamo in partenza che nonostante gli sforzi riepilogativi, le nostre azioni hanno un effetto relativo, ma almeno possiamo dire di aver letto… e anche senza molte pregiudiziali ideologiche. Riguardo l’opera comune, che citi, capisco l’avventura, ma era già superata uno o due anni dopo la sua pubblicazione, grazie all’informazione su internet, e a numerosi altri lavori di mappatura, molti dei quali con dei pregiudizi o con un lobbysmo che già ritenevamo inaccettabile. E l’opera comune, per come era stata concepita – ricordati che c’ero a Palazzo Vecchio a Firenze ad ascoltare il convegno di Atelier – non era forse il tentativo di costituire una nuova lobby? A me, personalmente, pareva questo. Se la questione è mettere in relazione, grazie alla divulgazione, le opere di alcuni autori, permettere la riconoscibilità, spiegare le problematiche recenti, mi sta bene il discorso, lo trovo interessante, ma non c’era questo spirito 10 anni fa…

  • Christian, i miei erano esempi per dire che se qualcosa esiste (qualunque cosa essa sia) è sempre il frutto o la conseguenza di qualcos’altro – e qui credo che tutti possiamo essere d’accordo. Se così è, vedo allora una lacuna nel momento in cui si antologizza o si parla partendo da zero, senza un percorso, senza riferimenti. Forse, chissà, è solo una mia percezione o una mia esigenza che sto impropriamente estendendo al genere umano tutto.
    Per quanto riguarda i gruppi di sodali: a me non piacciono i sodali per mestiere, quelli che sodalizzano perché hanno un ritorno di qualunque genere. Un “sodalizio” per affinità non lo trovo affatto recriminabile. E se mi scomoda una antologia definita dai più romanocentrica degli amichetti, allora ne faccio un’altra per colmare la lacuna invece di ripetere ossessivamente la parola romanocentrismo-romanocentrismo.
    Poi, il fatto che l’età giovanile di molti li esclude da esperienze di movimenti e combriccole può essere vero. PErò: non è anche questa – raccogliersi in gruppo e fare “muro” contro l’indifferenza – una forma di sodalizio? (in questo caso generazionale). E dovremmo considerarla una confraternita o una naturale evoluzione di un rapporto di affinità? io credo si tratti della seconda – e infatti dico nel mio intervento che Luciano ha cercato di colmare una lacuna che riguarda la sua generazione; ho detto che Luciano come Fantuzzi et altri hanno dato la loro risposta a quelle che hanno considerato delle mancanze.
    Ora, possiamo discutere sul merito e sulle intenzioni. Però bisogna fare un passo oltre per non cadere nelle critiche sterili e proporre alternative, soluzioni, fare prove. CErcare insomma di colmare quelle lacune che chi ha cercato di colmarle precedentemente ha lasciato.
    Come si fa? come mettiamo in comunicazione? in connessione? certo, fare liste e antologie enciclopediche come l’archivio di P2.0 o l’enciclopedia di Lucini è bene ai fini della ricerca e per mantenere un po’ di “ordine” nel marasma. Però se non c’è incontro/scontro ognuno continua ad andare per la sua strada.

    Quindi, il succo del discorso è: cos’è che possiamo fare? come?

    Proposte?

    L.

  • alcune cose per contribuire, anche se devo dire che già quello che dice sinicco mi sembra molto appropriato (ma siamo 2 vecchi “soloni” di ‘ste cose e alla fine ci ritroviamo sempre):
    la prima è ancora una volta sulle linee d’analisi. certo che se ne poteva trovare un’altra, che potevo fare un lavoro sui poeti che scrivono come piace a me, ma l’avrei trovata ridicola. spiego la questione anche nell’intro a LGE ma essendo nel luogo de “l’opera comune”, che invito tutti a procurarsi e leggere, quello era l’unico modo per creare un lavoro continuativo con lo sguardo di chi aveva già visto intanto un buon tot di lavori sulla nuova poesia. e poi c’era la questione dell’entrata appunto, a me il lavoro di mazziotta non solo non dispiace ma ricorda in qualche modo uno dei motivi per cui LGE è stata fatta, scoprire, obbligare, stanare, responsabilizzare una fascia di autori che non solo a mio avviso se la stava a raccontare su fb o sui blog in circoli chiusi invece che mostrarsi e lavorare per crescere. questo non è a mio avviso politicamente corretto, o meglio non porta alla crescita. spero invece che il lavoro di LGE preservi in qualche modo non solo l’identità delle poetiche ma anche la riconoscibilità di certi autori all’interno del panorama letterario andando in definitiva a mostrare persone in grado di innovare all’interno delle linee (per questo non sono stati inseriti, sebbene siano stati considerati, iper-sperimentali o iper-performativi, perché in qualche modo troppo poco riconoscibili per una loro identità rispetto magari agli autori del gruppo ’63, ma questo è accaduto anche per diversi “neo-raboniani”). e qui finiscono le questioni, nel senso che alla fine credo sia molto più pericoloso il silenzio, o l’ovatta in cui stava finendo il sistema entrante, se LGE ha mosso le acque (e mi pare proprio di sì) avrà raggiunto il suo scopo e io il mio che è quello di portare avanti un sistema militante critico e attento alla mappatura letteraria senza vincoli geografici ecc. anche perché sono vecchio, stanco, padre di famiglia, ho la barba bianca e sono già mezzo rincoglionito. e voglio che tanta gente valida in giro per l’italia mi faccia le scarpe e mi mandi in pensione.

  • Caro Luigi,
    rispondo alla tua sollecitazione. Innanzitutto Prosa in prosa non ha minimamente influito sulla questione narrativa sopracitata, soprattutto perché quel libro l’anno letto in pochi – e a mio giudizio è forse più interessante leggere Partita di Antonio Porta che quell’antologia, tra l’altro (e provocatoriamente) dei “soliti”. Più interessante, e speriamo conclusiva nel suo genere, l’antologia di Ostuni, parzialissima ma ben costruita. C’è da dire che a me come sai i gruppi solidali piacciono poco, e nell’ambientino si capisce dove le cose sono collegate, dove no. In questo caso, per la giovane età (penso alla Rusconi o a Terzago, esempi che mi vengono in mente, ma anche la Alicudi), non mi collegherei troppo alle esperienze di gruppi o movimenti precedenti, dato che immagino questi autori alla scoperta del variegato mondo dei versificatori. Non credo allora che essi si rifacciano alle opere di quelli che un po’ di prosasticità l’anno messa in campo, più marcatamente, negli anni passati, da Martino Baldi allo stesso Matteo Fantuzzi a Valentino Fossati, o Biagio Guerrera, soprattutto nella seconda parte del suoi libro edito da Mesogea. O abbiano in qualche modo osservato le opere che utilizzano contesti di riferimento che fanno ruotare i componimenti attorno a un nucleo narrativo o a una storia, come Roberta Bertozzi (proprio negli “enervati”), probabilmente lo stesso Ostuni (penso al poema Didi Huberman). Mi sembra invece che in sostanza le generazioni nate dalla metà degli anni sessanta agli anni novanta stiano procedendo tutte in parallelo senza conoscersi molto, perché nonostante le possibilità comunicative, la mancanza di un riepilogo di fatti ed eventi che abbia la sua centralità, la mancanza di memoria anche dei dibattiti recenti, questo, provoca l’oblio dell’informazione, malattia sistemica della rete. Per questo un lavoro di antologizzazione (come scoperta) delle generazioni, se fatto in modo continuativo, permette di archiviare ai fini della ricerca, tenendo conto anche di altri fatti, come alcuni dibattiti. Spero di aver in qualche modo contribuito al dibattito.

  • riempio di errori ortografici ogni commento, perdonatemi. a domani con più calma, ove ce ne fosse bisogno. un saluto a tutti,

    f.

  • caro Luigi, e guarda che ti seguo nuovamente su tutta la linea (è sembrato che facessi, io, delle argomentazione ad hominen? se è così mi dispiace, non era nelle mie intenzioni). scrivi, riguardo all’esperienza d’archivio di P2.0:

    “Certo, è oggettivamente un oggettivo punto di partenza, però poi perché non si è partiti? Io credo che non si sia partiti perché nessuno si è sbilanciato indicando una direzione, dunque nessuno ha detto ok va bene oppure no andiamo dall’altra parte. Una cosa che contiene tutto alla fine non contiene nulla – o questo è ciò che pare.
    Certo, l’archivio è utile nel momento in cui X digita in una parte del mondo un nome e trova alcune informazioni. E un punto di partenza però molto di partenza da cui si rischia di non partire.”

    E centri il punto, io credo. Ma, attenzione, non intendevo si ‘partisse’ in vista della costruzione di un canone imposto da parte critica (una critica che non esiste e in ogni caso non ha più l’autorità per imporre – quanto meno non se supportandosi con argomentazioni appunto “critiche” – un bel niente). Intendevo la lista di Luciano come strumento comparativo innanzitutto “interno”, rivolto ai lettori (?) e agli altri poeti. Se è vero che anche scaccolandoci di martedì invece che di mercoledì diamo in qualche modo vita a un canone, resta il fatto che il canone, non mi stancherò mai di ripeterlo, è un dispositivo di potere insopportabile e violentissimo. Perché si scrive? Perché si legge? Perché si critica? Perché non si tace? Come il fatto abnorme del mondo interseca queste domande? Si può smettere di fare domande?

    Ecco. Forse la parte conclusiva della mia risposta a Lorenzo, dove pongo il problema di come e cosa la poesia può conoscere, al di là di tutto il “gioco delle parti” che intorno le si appresta, è la mia parte di discorso “ad alta voce” che sarei felice di continuare al bar o in rete e comunque fuori da pregiudiziali partitiche (ma nemmeno fingendo, del resto, una oggettività inesistente e che pretende comunque di mettere in un canto la cogenza delle mozioni e propensioni soggettive).

    Un abbraccio,

    f.

  • io sono dell’avviso che le liste siano inutili, non è militanza questa è voler classificare in un modo o nell’altro qualcosa che secondo me non è classificabile.
    suddividere i poeti in anni di appartenenza non servirà.
    c’è chi ha detto, ai tanti commenti non favorevoli alla lista “mazziotta” perchè io non ne ho viste altre in giro, sinceramente, dicono “prima morite!”
    io sono quasi felice d’aver avuto a che fare con i grandi della letteratura a scuola, nonostante la prof d’italiano praticava l’ostruzionismo verso certi poeti contrari alla sua ideologia politica.
    è questo quello che dico, che le liste sono inutili perchè nessuno davvero sarà d’accordo con quelle che verranno redatte.
    e prima di mettere in lista o in croce i Poeti o coloro che vengon classificati così, forse l’utopico senso di comunità poetica è da sistemare.

  • Non c’è discordia nemmeno da parte mia, @ Lorenzo, sul serio (e perché poi?). mi riprometto sempre di non intervenire nei dibattiti quando non avrei il tempo materiale per farlo, e invece accade che intervenga e che scriva malissimo, di fretta, scorciando e semplificando. di questo mi scuso.

    la *non assertività* in quanto tale non esiste. esistono gradazioni, con picchi più o meno accusati tra i due estremi: da un lato, in scritture mosse dal desiderio di conoscere qualcosa che non è già dato – dunque non dimostrabile e retoricamente adattabile, secondo quanto ho detto sopra – prima di praticare concretamente la scrittura: Giuliano Mesa, Amelia Rosselli, buona parte dell’opera di Antonio Porta, ne sono esempi perfetti, credo; conoscere qualcosa, intendo, il cui contenuto non possa essere facilmente scisso, poi, dalla forma in cui si è dato: qualcosa che rifiuti la parafrasi, l’autonomizzazione del contenuto rispetto alla sua forma, così rendendo questa un medium “obsoleto”. dall’altro lato, ci sono scritture in qualche modo strumentalizzate, versificazioni o dimostrazioni di contenuti precedenti, di tesi, di argomenti e fatti dicibili e raccontabili in altro modo o già detti e raccontabili in altro modo: prendiamo I mondi di Mazzoni, per dire.

    (e, bada bene: non sto facendo un apologo del “non sapere”, di una poesia che – ha scritto Mesa, parlando di questa problematica, si riduca ad essere “soggetto e oggetto del suo proprio enigma”. è sempre verso una conoscenza possibile, verso il referente-mondo, che si indirizza l’altrimenti autotelica sussistenza o sopravvivenza della poesia. ed è sempre e comunque a partire da qualcosa – forse la “crisi” del già conosciuto che precede il testo – che si scrive). spero di essere riuscito a spiegarmi un po’ meglio.

    (non ne faccio poi nemmeno un criterio assoluto: altrimenti non potrei spiegarmi la fortissima riuscita conoscitiva, mettiamo, delle prose di Bortolotti, che sul “già conosciuto” lavorano in altro modo ancora).

    ecco. quelli che sollevi nella parte finale del tuo commento sono problemi effettivi. né generazione né ricerca, è verissimo, possono assurgere all’altezza di criteri *critici* o comunque di sostruzioni sulle quali imbastire un vero dibattito e concrete possibilità conoscitive. non lo sono nemmeno le polarizzazioni Neoavanguardia-Poesia lirica, per come la vedo, nonostante ancora si continui a ragionare in questi termini, a quanto vedo e sulla scorta di recenti dibattiti. Ecco perché credo che partire dal “come conosce la poesia?” e “cosa conosce la poesia?” sia probabilmente più fertile che continuare a rifarsi a opposizioni che hanno esaurito, appunto, sempre che l’abbiano mai avuto, il proprio portato gnoseologico.

    Un caro saluto,

    f.

  • @ Fabio: capito meglio ora, grazie. È una possibilità però è difficile trovare un equilibrio in questi termini. Dici: si sarebbe dovuto fare privatamente. Ok, e poi? I sodali avrebbero scelto? (solo una stupida provocazione ovviamente)

    Vediamo se anche io riesco ad essere più chiaro: il problema dei sodalizi e delle confraternite non credo si risolva reagendo con una lista di nomi suppostamente ogettiva ma troppo debole per contrastare una pratica la cui forza è proprio l’esatto opposto: la soggettività. Siamo soggetti (oltre che individui) e la soggettività si contrappone alla soggettività. Detto questo, aggiungo che probabilmente questo dibattito non avrebbe mai avuto inizio (almeno da parte mia) solo due anni fa, quando cominciò l’esperienza di P2.0

    P2.0 possiede un archivio, ormai abbastanza ricco, dove si raccolgono delle protomonografie di poeti contemporanei. In redazione ce le siamo date virtualmente di santa ragione, come chiunque può immaginare. I pareri erano molto discordanti. L’archivio sarebbe stato un canone? che rapporto con il canone? e via così.

    La scelta alla fine è stata la seguente: cercare di inserire tutti senza alcuna pretesa di canone (cioè elenco del telefono di Luciano) per costruire uno strumento oggettivo cui fare riferimento nel momento in cui si voglia passare a costruire un canone o proporre un controcanone. Cioè: inserisco Pinco Pallino anche se non credo debba essere “antologizzato”, canonizzato e fatto santo. Poi, dopo averlo inserito, parto da lì per sviluppare un discorso sulla opportunità o meno della sua presenza all’interno del canone non solo con la redazione ma con una ipotetica comunità poetica. La prima parte è andata benissimo: ci sono decine di poeti nell’archivio. La seconda parte malissimo: le decine di poeti ineriti giacciono nel più tombale silenzio. A cosa è servito? a cosa sono servite ore e ore di post, e metti la foto, e giustifica il testo, e inserisci il link, e manda centinaia di mail etc.? A nulla.O questo sembra a me. Non è servito perché l’archivio in tutta la sua oggettività risulta indifferente.
    Certo, è oggettivamente un oggettivo punto di partenza, però poi perché non si è partiti? Io credo che non si sia partiti perché nessuno si è sbilanciato indicando una direzione, dunque nessuno ha detto ok va bene oppure no andiamo dall’altra parte. Una cosa che contiene tutto alla fine non contiene nulla – o questo è ciò che pare.
    Certo, l’archivio è utile nel momento in cui X digita in una parte del mondo un nome e trova alcune informazioni. E un punto di partenza però molto di partenza da cui si rischia di non partire.
    Ripeto: ho approfittato della proposta di Luciano (chissà forse in maniera sbagliata) per far emergere numerose altre questioni che non riguardano per nulla Luciano in sé. Nemmeno Fantuzzi in sé. Non è un attacco alla persona, ma un ragionamento di uno che a un certo punto ha cominciato a farsi delle domande ad alta voce e a riflettere ad alta voce. Uno che prima pensava in un modo, poi per varie ragioni ha cominciato a pensare in un altro e che è disposto a cambiare di nuovo se scorge possibilità. Dunque, più che stare qui per vedere chi ha torto e chi ragione, chi si stanca prima e la da per vinta, mi piacerebbe che qui o nel prossimo post di poetarum o in un bar con una birra o quello che vi pare si cominciasse a ragionare in maniera più sistematica e più a lungo termine. Solo questo. La direzione in cui va il mio discorso si limita a questo. Se trovo un nome non ancora proposto nella lista di Luciano lo aggiungo volentieri, perché va benissimo così. Nel frattempo però riflettiamo su se esistono altre possibilità 🙂

    Luigi

  • Fabio, non recensisco neanch’io la *generazione entrante*, non posso, per etichetta, né voglio, non voglio fermarmi a questo dato. Né intendi che questo diventi un pomo di una discordia che per parte mia non c’è.
    Intanto, aspetto che tu scriva qualcosa sull’assertività – come aspetto, con Luigi, molte altre scritture critiche – per capire meglio anch’io la tua posizione (ad esempio: cosa non è assertività? non voler dire *niente*, prima di scrivere, materialmente, il testo? in secondo luogo: non credo al problema del messaggio o della comunicazione, finchè non si ipostatizzano come tali: “io sono poeta e ho un messaggio per le folle”… a quel punto si scrive poesia come ornamento, sì… altrimenti, il testo poetico ha facoltà di dire o comunicare… la poesia non è il contrario della comunicazione, ma è qualcosa di diverso dal linguaggio di questa comunicazione)
    cerco di chiarire anche la mia frase: s’invocano le scelte, ma poi non si fanno veramente. non è scelta il criterio della “generazione”, non è scelta il criterio della “ricerca”, perchè sono entrambi concetti labili, sovrapponibili, interpretabili in molti modi. mancando non solo la critica, ma la struttura di un dibattito intellettuale aperto, anche in altri campi, si finisce per antologizzare ricadendo nell’ambivalenza più sterile che attiene ai concetti di cui sopra. e tale ricaduta non è negativa al cento per cento, ha le sue motivazioni. l’ambivalenza discorsiva non si può nè si deve cancellare, ma che diventi produttiva.
    (e non so se così è peggio)
    caramente,
    l.

  • @ Redazione (Luigi?), che scrive:
    “Allora le liste le facciamo o non le facciamo? Diciamo a Luciano (e a X e a Y) che ci farebbe piacere se scrivesse una antologia curiosi di conoscere il suo gusto per poi discuterne insieme e costruire conoscenza, oppure ogni volta che incontriamo un nome interessante aiutiamo Luciano (o X o Y) con la sua lista? Cosa *decidiamo*?”

    La lista è il primo passo per preparare una scelta che non sia quella dei sodali già appurati e degli amici degli amici. è il materiale e l’archivio a partire dal quale si effettuano poi gli spogli e le scelte del caso. Ecco perché ho trovato giusto ampliare, con 5 segnalazioni dal canto mio, l’indice di Luciano. Ma appunto, e convengo con l’implicito della tua domanda: quello è lavoro che andava fatto privatamente, e non in pubblico (l’ho anche scritto nei commenti del post in questione: l’archivio di coetanei sul pc ce l’ho anch’io, pubblicarlo è altra cosa).

  • caro Lorenzo, evidentemente mi espongo a incomprensioni e forse antipatie, scrivendo quello che ho scritto sopra. Pace. (E convengo, poi, quanto all’aver semplificato moltissimo nei tratti descrittivi – mi pare, del resto, di aver avvertito quanto a questo: non stavo recensendo La generazione entrante).

    (Sull’assertività, prima o dopo troverò il tempo di spiegare bene e con esempi ciò che intendo: intanto, ti dico che ne faccio una questione puramente testuale e concernente il rapporto tra forme e contenuti; ti dico che per me assertivo è sinonimo di estetizzante, estetizzare, asserire, è il “voler dire qualcosa”, nella poesia, incanalando in una forma qualsiasi questo qualcosa che le preesiste già come contenuto, messaggio. E, conseguentemente, preesistendole, potrebbe essere detto in altri modi, in altre forme, etc. Esistendo prima della poesia, utilizza la poesia come ornamento, edulcorazione, anche se si avvale di forme e lessici lontanissimi da ciò che per solito è facilmente riconoscibile come ‘estetizzante’).

    Mi interessa invece quanto dici in seguito, perché credo di non aver capito: “qui s’invocano le scelte, poi nessuno le sa fare aldilà di scelte in merito ad altri ragionamenti, che a quel punto, per la mancanza di scelta autentica, sono giustificati, ma sono scelte che hanno evidenti difetti.”

    Un caro saluto,

    f.

  • Sapete che c’è? Che finché stiamo a dibattere sulla “generazione” o meno, da una posizione favorevole o sfavorevole, ci perdiamo tutto il resto…
    Fabio Teti parla di narratività nella Generazione Entrante e, stando ai testi, si possono cavare uno, due, forse tre esempi su quindici. Parla di assertività, ma niente è assertivo, nella Generazione Entrante o nell’Elenco di Poetarum Silva, niente è assertivo come associarsi alle parole Poesia, Critica, Antologia/Mappatura, Ricerca, Lirismo.
    Diciamolo veramente: dopo il gruppo 63 celebrato già dagli inizi dall’accademia e tuttora insegnato nell’accademia non c’è stato esercizio critico degno di nota (individualmente sì, ma a livello istituzionale no; e i singoli meritevoli a quel punto non valgono).
    Ciò cale per l’Opera Comune, per la Generazione entrante (entrambe pubblicate da Atelier: vi dice qualcosa il cambio di titolo? a me sì); qui s’invocano le scelte, poi nessuno le sa fare aldilà di scelte in merito ad altri ragionamenti, che a quel punto, per la mancanza di scelta autentica, sono giustificati, ma sono scelte che hanno evidenti difetti.
    Si salvi chi può – almeno fino a quanto stiamo a generazione sì, generazione no; ricerca sì, ricerca no.

    • @ Teti: ok. Allora le liste le facciamo o non le facciamo? Diciamo a Luciano (e a X e a Y) che ci farebbe piacere se scrivesse una antologia curiosi di conoscere il suo gusto per poi discuterne insieme e costruire conoscenza, oppure ogni volta che incontriamo un nome interessante aiutiamo Luciano (o X o Y) con la sua lista? Cosa *decidiamo*?

      @Lorenzo: sono d’accordo, infatti ho tirato in ballo numerosi temi e aperto la discussione su più fronti dicendo che il povero Luciano (suo malgrado) rappresenta una “scusa” o, meglio, una scintilla da cui far partire un discorso molto più ampio rispetto a quello generazionale, che è quello dell’approccio, della metodologia critica, della pratica della scelta, dell’indebolimento della critica – in ambito strettamente poetico; della realtà e del nostro rapporto con essa e della sua interpretazione e gestione – in un contesto più allargato. Quando parli del gruppo 63 fai riferimento all’ingombranza di cui ho parlato. Soluzioni? o, meglio, alternative? proposte? Io credo che Addio alle Armi (non perché è una iniziativa di questo sito) possa essere un possibile terreno da battere e l’annuario o almanacco una possibile alternativa.

      Detto ciò, guarda caso, ricevo proprio qualche ora fa un messaggio di Lucini che sta preparando una enciclopedia della poesia contemporanea italiana non canonica, non antologica, ovvero priva di scelta. Un elenco del telefono, una lista come quella di Luciano.

      Posto qui il messaggio, utile alla discussione. Lo ripostero a parte nel sito per darne notizia e per parlarne pure.

      Gentile autore,
      stiamo cercando di predisporre uno strumento di agile consultazione e di prima informazione, una sorta di “Enciclopedia della poesia italiana contemporanea”, utile
      – al lettore,
      – ai critici
      – agli stessi poeti
      – agli editori
      – ai mass-media
      – alla ricerca sociologica
      per avere una panoramica veloce dei poeti oggi in attività e di quanto viene pubblicato, in poesia. Non si tratta pertanto di un’opera specialistica, ma divulgativa e di servizio pratico, per coloro che amano e leggono la poesia, la scrivono, ne parlano, uno strumento che permetta di farsi una “prima impressione”, pur superficiale ma corretta su un autore e della sua poetica. Potremmo farlo anche senza scomodare tutti voi, ma ci vorrebbe molto più tempo, col rischio di essere incompleti e imprecisi. Ci rivolgiamo perciò direttamente “alla fonte”, per ottenere risultati più sicuri.

      E’ in preparazione il PRIMO TOMO di una enciclopedia ragionata della poesia italiana contemporanea, redatta con i seguenti criteri:
      – Autori viventi, che, entro il 31.05.2012, abbiano stampato almeno 3 opere DI POESIA (con esclusione di saggistica, narrativa o altro), anche autoprodotte, ma con codice ISBN.
      – Autori deceduti dopo il 1° gennaio del 2000 (ovviamente candidati da amici scrittori o curatori dei loro scritti) che possiedano i requisiti di cui al punto precedente.

      Ad ogni autore saranno riservate 4 pagine (tassativamente per tutti) in formato A5, carattere Garamond 11.

      Gli autori che intendono candidarsi devono inviare all’indirizzo le seguenti informazioni:
      – Bio-bibliografia, contenente, oltre ai titoli editi e altre notizie essenziali
      l’anno di nascita
      l’indicazione della città di residenza
      il tutto in una pagina A5 – max e, a discrezione, l’indirizzo postale e informatico. Nella bibliografia saranno indicate soltanto le opere di poesia (è comunque importante indicare, senza dettaglio, anche altre attività letterarie, ad esempio: “ha scritto inoltre due romanzi, numerosi saggi critici su riviste specializzate, e tre piéces teatrali”. Si preferisce omettere l’indicazione della casa editrice (il codice ISBN supplisce), ma si lascia la decisione alla discrezione dell’autore.
      – codice ISBN delle opere indicate in bibliografia
      – Di seguito alla bio-biblio, una brevissima e sommaria nota che descriva le motivazioni e i temi della loro opera (una pagina A5 max, oppure 2 pagine comprendendo la Bio-bibliografia).
      – (n) testi poetici esemplificativi (che occupino non più di 2 pagine in formato A5).

      Non sono richiesti contributi in danaro.

      Il primo tomo si fermerà a 504 pagine e gli autori saranno inseriti nella composizione, man mano che il materiale arriva all’indirizzo suindicato ed è valutato.
      Vi sarà ovviamente un indice per cognome per agevolare la consultazione.

      Il volume, di 504 pp., sarà rilegato a refe e composto su carta avorio 100 gr.
      Il prezzo di copertina sarà di 25 €, per facilitarne la diffusione. La pubblicazione è prevista appena viene raggiunta la dimensione indicata.

      Ogni tomo avrà un aggiornamento di anno in anno, con l’indicazione delle novità relative ai singoli autori.

      Preghiamo di inviare questo messaggio (riportato anche all’URL http://www.edizionicfr.it/Enciclopedia.htm )ai vostri contatti.

      Colgo l’occasione per inviare i migliori saluti
      CFR Edizioni – G. Lucini

  • Luigi, direi che tolte le interpretazioni che diamo, appena (ma non troppo) sfasate, circa somiglianze e differenze tra le due operazioni in discorso, ti seguo perfettamente su *tutto* il resto.
    Sono d’accordo con te, ripeto.
    Ed è proprio la scelta del criterio generazionale (a ridosso e anzi dentro la medesima generazione) a lasciare perplesso anche me, come prima cosa. Non che – euristicamente e, a ritroso, storiograficamente – non possa essere utile anche quel criterio o bacino e plesso di fenomeni. Ma nel vivo della situazione, esso comporta un vettore tutto diretto, nominalmente o meno, ai poeti, e alle varie vetrina che di questi si allestisce; e non, come dovrebbe, alla poesia (e alla scrittura in generale, fenomenologicamente attraversata).
    Ecco perché, per dire, Prosa in prosa, nella assoluta militanza estetico-politica che la informa, ha un senso che La generazione entrante o l’indice di Mazziotta non possono avere. Ed ecco perché, pur rigettandone personalmente i presupposti e molti dei casi specifici inclusi ad esempio, La generazione entrante ha comunque più senso dell’indice di Mazziotta (posto che anch’io sono sicurissimo di come potrebbe, Luciano, curare e sfornare un’antologia di tutto rispetto, e questa volta ponderata quanto a scelte e poetiche di riferimento, se gli se ne offrisse l’occasione o la possibilità materiale).
    La conoscenza non è un percorso lineare né oggettivo, dici bene. La conoscenza – e il suo implicito deformare i propri oggetti a seconda della specola d’osservazione e degli strumenti in questa dispiegati – è anzitutto una scelta.

  • Mah, FAbio, non ne sarei così sicuro. La differenza tra l’operazione di FAntuzzi e quella di Mazziotta c’è, però è più sottile di quel che sembra: Fantuzzi ha fatto una antologia a tutti gli effetti; Mazziotta gli ha risposto con una lista “asettica” di nomi di poeti. Comunque mi sembrano due antologie che, come tutte le antologie, dialogano dicendosi a vicenda “guarda che ti sei dimenticato di” (non solo nomi, ma anche poetiche). E ciò è molto positivo.

    Detto questo, se ho apparentato le due operazioni (anche se Mazziotta ha esplicitamente detto che non voleva essere una antologia ma un “elenco del telefono” dei poeti) è per due ragioni:

    la prima: entrambe le operazioni sono partite da un criterio di selettività generazionale

    la seconda: entrambi i promotori sono giovanissimi, appartenenti o vicini alla generazione che antologizzano o “catalogano”.

    A entrambi, dall’alto della mia autorevolezza :), “rimprovero” la scelta del criterio generazionale per ragioni che non sto qui a ripetere.
    Poi, però, si aprono altri discorsi: da un lato la militanza di chi sceglie punto e basta offrendo la sua visione (sbagliata o giusta è bene che se ne parli); dall’altro abbiamo la militanza di chi sceglie di non scegliere. Sinceramente, tra le due cose preferisco la scelta. Tra chi sceglie per generazioni e chi sceglie per poetiche o elementi critici altri preferisco questi ultimi.

    Detto questo: non sto dicendo che Mazziotta è un inetto o che sia incapace di scegliere – sa bene che non è così. Sto solo chiedendomi se quello di mazziotta (e di altri!) possa essere identificato come un “nuovo” approccio della critica: insomma, sembra come se l’io oltre che nella poesia, cominci a risultare ingombrante anche nella critica.

    Sono sicuro che Luciano avesse le migliori intenzioni quando ha proposto la ricognizione. Ma personalmente credo che l’obiettivo del suo gesto, quello di fare un quadro oggettivo della situazione (come dice Davide) non sia raggiungibile. A me la lista dei poeti, per quanto creda che possieda una sua utilità, mi risulta troppo impersonale ed asettica. Come dicevo a Luciano in una conversazione privata: chi sceglie volontariamente di approcciare tutto lo scibile umano scorrendo con il dito la Treccani? La conoscenza non è un percorso lineare e nemmeno oggettivo. SEmbra una stronzata o sembra che si voglia cercare il pelo nell’uovo parlando della ricognizione di Mazziotta. In realtà è una “scusa” per affrontare un tema più ampio che ci riguarda tutti e che è il modo in cui la nostra generazione (e le altre) vivono ed interpretano il presente, la realtà. Insomma: i maestri filosofeggiano sul New Realism, però siamo e saremo noi quelli con cui il New Realism ha a che fare. Non so se mi spiego, forse sto mescolando molte cose, troppe, però a me pare che il discorso un senso lo abbia e ragionarci su è necessario più che ragionare su se sia giusta la selezione di Fantuzzi o se Ostuni sia un massone romanocentrico.

    I criteri di scelta che hanno a che vedere con conoscenze personali e folgorazioni sono la cosa più umana del mondo. LA poesia NON è una scienza ed è un errore trattarla alla stessa stregua: strumenti diversi per diversi ambiti.

    La quantità di informazione a cui mi sottometto quotidianamente è talmente alta che se fossi di un’altra epoca sarei impazzito. Avere davanti a me una lista senza nessuna indicazione che non sia un nome non mi facilita in nulla, non mi affascina, non mi prende, non mi fa incazzare. Rischia di lasciarmi indifferente.

    Siete in una città che non conoscete. Non sapete che fare. Chiedete in giro e ricevete due risposte: uno vi dice che c’è una pagina internet che potete visitare con una lista di programmi della serata; un altro vi dice che se volete potete andare a vedere sua nonna recitare. Cosa scegliete? Poi, se la nonna del ti`po abbia recitato bene o male ne possiamo discutere; nel frattempo però abbiamo almeno evitato il freezing e l’immobilità iniziali di fronte ad una lista asettica di proposte innumerevoli.

    Immaginate che la lista di Luciano si amplii fino a raggiungere 300, 500, 1000 nomi – cosa che non è impossibile. Cosa ce ne facciamo? Iniziamo a leggerli a caso? magari è una possibilità, però quanto tempo staremo lì a visitare questa lista e a pensarci su? pensare su a cosa, poi? è una lista. Oggettiva, si. Completa e quasi onnicomprensiva si. PErò dov’è la passione? non posso dire a Luciano quanto mi è piaciuta la sua antologia e non posso nemmeno incazzarmi con Luciano perché non mi è piaciuta la sua interpretazione del mio presente. Dov’è lo scambio? Dov’è l’altro?

    Comunque sto riflettendo ad alta voce. Non sono per nulla convinto di essere nel giusto (anche se può sembrare il contrario). Sto solo cercando di capire chi siamo e dove stiamo andando, nulla di più. MAgari mi sbaglio, nel qual caso sarò il primo a dirlo in un altro post se mai me ne renderò conto.

    L.

  • Una lista ha grande senso, come puo’ averlo un elenco del telefono: per facilitare la comunicazione tra gli autori e il reperimento dei testi in rete. Credo che andrebbe ampliata, che ciascun autore sia associato a un link o a una o due poesie cosi’ che sia possibile farsi una prima idea di come scrive.

    Sulle antologie: presto ne scrivero’ un pezzo, quello che voglio dire qui e’ che nessuna tra tutte quelle lette finora hanno un chiaro fondamento stilistico-testuale o una riprovata tendenza di poetica: per queste cose serve tempo, serve uno studio rigoroso e comparato delle fonti di influenza, delle superfici testuali, dell’attitudine del soggetto (o della sua cancellazione) verso il mondo.

    In nessuna antologia che ho letto finora sono chiaramente elencati i criteri di scelta, che spesso hanno a che vedere con conoscenze personali, consigli, folgorazioni, appartenenze a gruppi etc. Io sono convinto che si possa fare un’antologia rappresentativa e perfino “oggettiva” della poesia italiana: con oggettiva intendo che ogni scelta e’ chiaramente rintracciabile nelle premesse, e ogni esclusione e’ frutto di scelta argomentabile e non del caso.

  • ciò detto, e per giocare a carte scoperte, le critiche che avevo da muovere alla lista di Mazziotta (dove pure sono incluso), stano agli atti nel thread che ne è scaturito. chiunque vorrà leggerle, sa dove trovarle.

    specifico questo perché, dato il tono critico delle mie precedenti osservazioni intorno all’antologia di Fantuzzi, non vorrei si fraintendesse il mio commento come dettato dall’astio del “genio incompreso”.

    Dell’antologia di Fantuzzi non condivido posizioni e scelte; della lista di Mazziotta non approvo, appunto, il suo essere una lista, in ciò inficiata dalla stessa neutralità che la informa (sempre poi che di neutralità si tratti).

    Credo dunque che la mia posizione sia chiara. Ancora un saluto,

    f.

  • Caro Luigi, approvo in pieno il tuo articolo.
    Le antologie hanno senso se militanti – se cioè pongono con chiarezza la propria proposta in uno spazio dibattimentale e dunque criticabile, falsificabile; e non, invece, nell’imperscrutabilità e indiscutibilità assertiva di un canone quale che sia. Questo in generale.

    Una precisazione è però d’obbligo: non credo che l’operazione di Fantuzzi (La generazione entrante) sia nemmeno lontanamente apparentabile e paragonabile a quella di Mazziotta.

    La prima è infatti un’antologia a tutti gli effetti, prefata e in qualche modo pre-canonizzante, checché se ne dica (è o non è corredata, per ogni autore, di presentazioni scritte da poeti e critici affermati? è o non è questa una forma di garanzia dall’alto?); la seconda, quella di Mazziotta, è semplicemente un indice che aggrega un certo numero (assai più ampio e ulteriormente ampliabile) di autori che in questi anni hanno depositato in rete loro testi. si è in questo senso davvero più vicini a un “poegator”, seppure in molti abbiano frainteso, non so quanto volutamente, tale logica.

    Soprattutto, laddove Fantuzzi compie – internamente al comparto generazionale – una selezione estetica e ideologica, evidentissima nella predilezione di autori (non tutti: procedo per frettolose semplificazioni) appunto assai lontani dal bau-bau uomo nero orco cattivo della poesia “di ricerca” o “sperimentale” (dico per intenderci, e ancora semplificando), autori dunque volentieri incanalabili nell’alveo stretto di una narratività e assertività diretta, liricamente impostata e in ciò risaputa, anche se proposta, con qualche falsa coscienza, come tratto-rottura addirittura generazionale (e in vero parente di moltissime esperienze già manifestate nelle opere degli autori del decennio precedente e non solo di quello); dove Fantuzzi fa questo, dicevo, e facendolo si immette (lo dico convenendo con la liceità della cosa, anche se non condivido la maggior parte delle sue posizioni e scelte) in uno spazio di militanza e possibile dibattito, di possibile falsificazione, anche – giacché, Luigi, per utilizzare una tua espressione, alla sua selezione fornisce anche una “personalità”, e legittimamente (e che altrettanto legittimamente qui sconfesso) -, Mazziotta, dal canto suo, non compie scelte e selezioni in questo senso, non garantisce una poetica o un’aria di famiglia (wittgenstianamene intesa), non propone canoni e non taglia col coltello esperienze diversissime le une dalle altre, attribuendo alle une valore, scotomizzandone, volontariamente o meno, altre.
    Se dunque la sua operazione – che ha in comune con quella di Fantuzzi esclusivamente il comparto generazionale in discorso – non presenta alcuna marca critica, nessun apporto alla conoscenza ragionata degli autori, nemmeno si presenta nei termini protocanonici, anche se non chiaramente verbalizzati, dell’ “ecco qui i migliori”. E a me sembra una differenza non da poco.

    Un saluto a tutti,

    f.t.

  • Caro Christian,
    le selezioni generazionali sono poco esaustive al pari di qualunque altra selezione (altrimenti non sarebbero selezioni ma aggregazioni).
    Detto questo, con il mio intervento non ho voluto dire che l’antologia di Fantuzzi sia inutile; mi sono limitato a dire che una selezione generazionale non rappresenta per me un criterio critico. Come dire che se io facessi una antologia (se fossi in grado di farla) non userei un criterio di selezione generazionale.
    Come tu giustamente osservi, la poesia più recente persenta un elevato grado di narratività ed un abbassamento dei livelli di sperimentazione linguistica (anche se in realtà la questione è molto più complessa, ma sono sicuro che tu puoi dirmi molte più cose di quanto potrei io rispetto a questo). Credo però che non sia prerogativa dei nati negli anni 80. Ci saranno poeti nati nel 79 o nel 72 che pure producono una poesia con queste caratteristiche? se si, perché allora escluderli dal gruppo? Altra cosa: i poeti degli anni ’80 caratterizzati da una spiccata narratività se la sono inventata? sono loro i padri di questa narratività? oppure è una delle tante eredità ricevute da chi li ha preceduti, anche solo di 10 o 15 anni? Prosa in Prosa non è anni 80 però avrà pure influito, no? Ghignoli è del 68 e il suo primo libro di fine anni 90 era già narrativo. E prima di lui chissà quanti ce ne sono. La narratività è un prodotto della storia, una conseguenza di cause che hanno bisogno di essere indagate, oppure una invenzione della generazione X?
    In questo senso credo che una antologia (canonica o no non importa) generazionale sia un discorso limitato e limitante che involontariamente contribuisce a mantenere quelle barriere generazionali che si ergono tra padri, figli e nonni lasciando tutti orfani.
    Ma questa è solo una opinione e, se non si fosse capito dal mio intervento, rinnovo il mio rispetto ed il mio apprezzamento a FAntuzzi, Mazziotta e tutti coloro che nel bene e nel male si preoccupano di fare antologie, ricognizioni, tastamenti del terreno.
    A presto
    L.

  • Caro Luigi,
    le selezioni dal punto di vista generazionale sono abbastanza utili, ovviamente poco esaustive. Danno però conto di alcuni fenomenI. Già per i nati negli anni ’70 alcune tendenze si potevano notare, quali l’utilizzo di metacontesti (in parte narrativi, altri più concettuali) e forse ancora una discreta sperimentazione. Si potrebbe evidenziare sui nati negli anni ’80 una spiccata narratività, e l’abbandono in questa prima fase della sperimentazione. Mi sembrano i dati più evidenti e rintracciabili. Ovviamente nessuno mette in dubbio le parzialità delle antologie, tranne chi le realizza di solito, come abbiamo visto per i nati negli anni ’70. Sicuramente Fantuzzi ha maturato un po’ di esperienza, anche se la sua prima ricognizione è forse più un “sondare il terreno”….

  • @ SEbastiano: io non credo che i poeti degli anni 80 siano i più antologizzati degli ultimi 50 anni. Certo, se facciamo il paragone con i poeti nati nel 50 o nel 60 allora probabilmente è vero. E lo so perché l’ho scritto: se proprio vogliamo fare le antologie dei nati nel, allora cominciamo dal 50 e dal 60.

    La questione è che pare che nel mondo della poesia ci si sia fermati a scuola a tasso e montale e fuori al gruppo 63. Tutto quanto è venuto (e viene) dopo il gruppo 63 è o una imitazione o una contrapposizione. L’ingombranza eccessiva di un periodo storico importante ma non unico continua a farsi sentire.

    Quindi abbiamo il gruppo 63, poi le generazioni dimenticate ed incazzate per essere state dimenticate e poi le nuove generazioni intimorite dall’incazzatura di quelle che le precedono e infoiate perché si sentono “i figli che pagano le colpe dei padri”.

    Ecco perché parlo di esiguità degli spazi: in un mondo come quello della poesia, dove già gli spazi sono ristretti e per la maggior parte occupati da una eccessiva ingombranza di una parte della storia della letteratura, ci si scanna a vicenda detto in parole povere. E questo non fa bene a nessuno. Non fa bene alle nuove generazioni che pur di essere antologizzate si autoantologizzano perché sanno che i nati nel 50 e nel 60 sono troppo occupati a farsi leggere e antologizzare per leggere seriamente e metodicamente i più giovani. Però è un errore: la storia si fa nel presente però si capisce sempre dopo.
    Non fa bene alle generazioni dei nati nel 50 e nel 60, che continuano ad essere relegate ai margini di un’epoca in cui pare che non sia successo nulla a partire dal 68, quando invece è successo di tutto. IN narrativa questo è stato capito (penso per esempio a Lagioia con la sua “fissazione” per le narrazioni ambientate in quell’epocaÇ). In poesia si è capito meno (da parte di critici e lettori), per questo i poeti di quell’epoca vengono spesso e volentieri sottovalutati. Ed è un errore da parte della generazione entrante, per dirla con Fantuzzi, contrapporsi alle generazioni precedenti in una “lotta all’ultima antologia” per spartirsi i resti delle attenzioni critiche e mediatiche ancora troppo concentrate sul passato come fosse ancora presente. Insomma, sembra la classica guerra tra poveri, il che è abbastanza triste.

    @ Lorenzo: hai colto esattamente il punto della questione. È difficile andare oltre, ma non impossibile. Il confronto con l’imponenza dei padri è assolutamente necessario e va affrontato, anche solo per capire di chi siamo figli. Questo voglio dire quando affermo che è necessario che la nostra generazione si costruisca una personalità prima di voler antologgizzarsi.
    L’impronta critica, linguistica e poetica di cui parli ha bisogno di un’apertura su più fronti di canali di comunicazione e confronto che al momento mi sembrano assenti o troppo “timidi”. L’idea di Addio alle Armi e di una tavola rotonda di confronto e di un annuario/almanacco/diario di bordo proprio questa: creare un luogo comune in cui far confluire in maniera strutturata e più sistematizzata le produzioni critiche e poetiche di anno in anno; un punto da cui far ripartire/rifluire la storia.

    Non so se questo sia possibile né so quanto possa essere difficile. So solo che è necessario provarci almeno e vedere che succede e che c’è bisogno della volontà e della partecipazione di molti (per non dire di tutti).

    Grazie per i passaggi
    Luigi

  • Credo che il passaggio sottolineato polemicamente da Aglieco sia la chiave di volta dell’intervento, altrimenti umoristico, godibile, ma senza apparenti sbocchi critici ulteriori rispetto allo scenario che delinea. E’ molto difficile andare oltre, per tutti, me compreso. La scommessa che ci è richiesta, e che Luigi conosce bene.
    Comunque… I poeti nati negli anni X (genericamente, dopo gli anni 60) non sono i più antologizzati degli ultimi cinquant’anni – non lo sono tutti quelli di Mazziotta, non lo sono tutti quelli di Fantuzzi (per inciso, io sono presente in tutte e due le cernite, così mettiamo le cose in chiaro).
    Certo, è vero che non si fecero operazioni analoghe per la generazione “perduta” venuta dopo il gruppo 63 e stretta tra questa e la parola innamorata, in un binarismo soffocante. Ora, però, ci sono i confronti con l’imponenza dei padri e con la situazione della poesia e soprattutto della critica nella contemporaneità che vanno affrontati. A questa scelta è necessaria struttura un’impronta critica, linguistica e poetica forte, e non solo, convenzionalmente, “generazionale”… tutto qui…

  • “Piuttosto, credo che il suo sia stato un modo come altri di colmare la mancanza di riconoscimento di una generazione, da un lato schiacciata dalla ingombrante imponenza dei “padri storici” della letteratura, dall’altro intimorita da una contemporaneità molto poco accogliente e poco o per nulla disposta a cedere gli scarsi spazi disponibili.” ??????????????? Luigi ma che dici? Loro, che sono i più antologizzati degli ultimi cinquant’anni!!! Io sono nato nel 1961, quindi sono destinato a morire prima di loro…ma spero proprio non di alzaimer 🙂 Seb

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