Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?
La poesia, a mio parere, è in buona salute. C’è una discreta differenziazione di forme stilistiche a fronte di un mutamento di forme sociali inesistente e, anche se la vitalità e la continuità di una cultura non si esprimono sempre nella tenacia delle forme, io le osservo con più attenzione, perché hanno generalmente una vita più duratura rispetto ai contenuti che veicolano.
Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?
Se ripenso oggi al mio primo libro, come accade a tanti, cambierei molti di quei testi, li sceglierei diversamente. Le poesie che componevano quell’opera erano frutto di un’operazione sul linguaggio tesa a sottrarre tutto quanto non necessario, di un processo di riduzione non sempre facile da ottenere con buoni risultati. Testi segnati indelebilmente da una asciuttezza programmatica, da un linguaggio minimalista che si proponeva come territorio di sottrazione, dove anche il più piccolo granello di sabbia, sotto forma di parola, poteva fare la differenza. Un lavoro, a ripensarlo oggi, dominato da una sorta di compattezza concettuale e che lavorava in stretta sinergia con le immagini inserite all’interno del volume. Oggi penso di aver superato anche quel primo esperimento linguistico, ma non ritengo invece esaurito il discorso legato alla simbiosi scrittura-immagine, che ho mantenuto, sviluppato e che prosegue in altre forme. Non credo che un autore debba fermarsi a un linguaggio e ad una tematica. Trovo auspicabile, all’interno di qualsiasi produzione, una situazione di evoluzione continua, o comunque di metamorfosi, di ricerca, rispetto ai propri confini formali e contenutistici che andrebbero sempre, continuamente superati. Attualmente lavoro anche con il video che all’interno del mio percorso di scrittura rappresenta il punto di sviluppo di una ricerca che si estende a tutto campo e che ha toccato la scrittura giornalistica, la narrazione, la poesia, l’arte materica, la fotografia, per arrivare oggi al videoclip. Penso che all’interno del mio lavoro complessivo esistano una serie di correnti di scrittura che potrei raggruppare, almeno per il momento, in tre filoni principali: uno che cerca di trascendere la parola pensata per la pagina bianca e che recupera invece il verso basato su un ritmo di oratura, che si unisce al video e alla scrittura di teatro interiore, l’altro più denso, pensato appositamente per la pagina bianca, più concentrato, sonoro, evocativo e maggiormente affine alla musica, il terzo relativo alla scrittura di micro-racconti o frammenti poematici, nei quali molti generi e stili differenti si mescolano senza posa.
Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?
Esistono case editrici, piccole e medie, che mi incuriosiscono e seguo più di altre. Una di queste è sicuramente la casa editrice di Sossella, uomo ed editore intelligente che ha mantenuto forte l’immagine dell’editore-imprenditore con una visione, che sceglie acutamente, investe, rischia e riesce a portare a casa anche belle soddisfazioni. Poi ilfilodipartenope, casa editrice di editori artigiani con un progetto straordinario con la quale ho avuto la fortuna di pubblicare due volte. I loro libri sono dei piccoli capolavori. Poi sicuramente la casa editrice d’if di Antonietta Caridei, e per finire citerei un progetto editoriale e performativo interessantissimo come abrigliasciolta di Ombretta Diaferia. Se fossi un editore italiano cercherei canali distributivi alternativi, creerei reti, strutture che facciano da contraltare all’esistente. Cercherei di capire che cos’è un e-book e mi impegnerei a intuire come questo nuovo prodotto può aprire altri mercati.
La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?
C’è una innegabile correlazione tra mutamento della società e mutamento dell’arte. In generale, una situazione sociale è un’occasione, ma non una ragione determinante per il verificarsi di un mutamento artistico. Le medesime circostanze storiche, che poi non sono mai veramente le medesime, permettono diverse specie di arte ma quelle che fanno riferimento alle condizioni contemporanee, acquistano anche un significato nuovo, particolare, comune. Una determinata costellazione sociale, permette la nascita di un numero determinato di forme artistiche, ma ne esclude altre. Ma certo non si possono controllare in alcun modo i principi di casualità e spontaneità.
Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?
Credo che la comunità critica sia già molto consapevole. I critici sono dei mediatori che stabiliscono il giusto prezzo e garantiscono che nel passaggio tra autore e lettore niente venga alterato. Il ruolo del critico oggi non sembra più essere così rilevante. Ora sono le case editrici, cioè, il mercato, a scegliere, filtrare, proporre gli autori e le scritture.
Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?
Nell’arte una tradizione ha valore e peso in connessione con la volontà di rinnovamento, così come, questa volontà acquisisce forza e diventa feconda soltanto se in rapporto vivo con le tradizioni sussistenti. T.S. Eliot ci ha mostrato questo aspetto essenziale della tradizione quando ci fa notare come ogni nuova opera muti il significato complessivo, facendo sorgere una nuova disposizione di contesto di tutte le opere esistenti. Ciò significa, in altre parole, che la tradizione non costituisce affatto una riserva solida, bensì, un miscuglio di materiali di volta in volta accessibili e utilizzabili e che la sua composizione muta radicalmente ad ogni nuova aggiunta. Nella sua essenza la tradizione è instabile, flessibile, variabile e prospetticamente mutante. Un libro poi non è mai a sé, ma nasce da un contesto preciso, da una humus complesso. Nella mia scrittura c’è sicuramente una linea di ricerca interna a sé stessa e un punto di confronto con l’esterno. Personalmente tendo alla costruzione e all’azzeramento successivo di ogni risultato. Funziono meglio su un modellino fisico di distruzione periodica, soprattutto per evitare di cadere nel rischio di erigere una mitologia narcisistica dell’autore ma mi rendo anche conto che un po’ è inevitabile. Un’opera non è solo semplicemente una creazione formale organizzata otticamente o acusticamente ma espressione di una personale concezione del mondo.
In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?
L’istituzione culturale lega e libera al tempo stesso, cioè, da un lato, rappresenta uno schema grazie al quale l’individuale e unico diventa comunicabile e accessibile, dall’altro, quando si irrigidisce in accademismo e ortodossia spesso finisce per agire come principio che tutela il vecchio a causa della sua età e impedisce la progressività, che invece è più legata alla realtà e al presente.
Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?
Le creazioni sociali come le istituzioni, i sistemi economici, gli ordinamenti di dominio, nascono inizialmente per proteggere la società dal pericolo degli arbìtri ma nel caso delle creazioni culturali spesso finiscono per conservare e sclerotizzare l’esistente.
Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?
Credo che il poeta sia da sempre entrambe le cose. Un individuo che sta dentro tutto e fuori di tutto: cittadino del mondo e apolide al tempo stesso. L’unico dovere, se di dovere si può parlare, è quello di farsi portatori di una qualche forma di visione.
Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?
Una creazione complicata come una cattedrale non sorge spontaneamente come un canto popolare che invece, per la sua nascita, non necessita nessun piano unitario e pensato in anticipo, per quanto mutevole e nascosto. Personalmente cerco di non abbandonare mai l’ispirazione così come noi la intendiamo al puro impulso a comunicare, cerco invece, per potermi esprimere più concretamente, un’obiettività, una giusta distanza, che mi permetta di sentire il mio io, le sue sensazioni più personali e i suoi sentimenti più intimi come qualcosa di separato da me, a me estraneo e resistente alla mia volontà. Credo che il ruolo fondamentale nell’edificazione di una civiltà artistica come quella occidentale l’hanno sicuramente svolto gli architetti, ovvero, quegli individui capaci di procedere consapevolmente, con l’occhio rivolto all’intero, più che l’artigiano pilotato dal suo istinto e guidato dalla tradizione e in accordo con essa. Poi c’è l’’importanza della visione della propria opera, e cito su questo punto Flannery O Connor quando afferma che l’essere umano che cerca l’eccellenza, e solo quella, è destinato fatalmente allo scacco. Perché la ricerca di abilità senza la visione è destinata al fallimento.
Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?
Un’idea deve anche emozionare e l’ emozione essere ingegnosa ed avveduta.
Cosa pensano della poesia le persone che ami?
Tutto ciò che non produce utile materiale, per quanto interessante e vitale, nelle nostre società è guardato con sufficienza. Come se non ci fossimo mai allontanati da quel mondo contadino che misurava tutto l’esistente con la domanda: “A che serve”? Quindi, mio malgrado, vivo l’esercizio della scrittura poetica come un “vizio assurdo”. Ma non mi pesa affatto. Anzi, parafrasando Virginia Woolf, potrei quasi affermare che la scrittura poetica è la mia “stanza tutta per sé”, ovvero, uno spazio di estrema libertà che attraverso felicemente da sola.
Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?
Per me la scrittura è un mestiere. Ho avuto la fortuna fin da giovane di scrivere essendo pagata per farlo. Quando si parla di scrittura giornalistica agli antipodi della scrittura poetica, in realtà, ci si riferisce spesso alla prosa di cronaca. Nella realtà il giornalismo, come molti altri generi letterari, è un contenitore che al suo interno ha visto fiorire molti generi, e consente molto spesso di cambiare stile e qualità di scrittura. Un reportage di viaggio, un articolo da inviato dalle zone di guerra, una intervista di cronaca politica o una destinata alle pagine culturali, una recensione, sono pezzi di scrittura diversissimi tra loro, nelle lunghezze, nello stile, nel ritmo, nella maggiore o minore densità del linguaggio. Io ho avuto la possibilità di cimentarmi con quasi tutti gli stili che l’etichetta “giornalismo” contiene al suo interno. Ma credo che ogni lavoro, quando l’ispirazione è forte e feconda, possa essere filtro e fonte di riflessione per qualcos’altro. Un buon pensatore attinge i suoi schemi mentali da qualsiasi cosa faccia. E allora anche il giardinaggio diventa o può diventare un modo agri-colturale di guardare alle cose, e dunque, poetico perché di scarto, obliquo rispetto alla realtà. Tutte le discipline e i saperi umani ci sono necessari e indispensabili per vedere ciò che c’è da vedere.
Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?
Gli uomini non cambiano sempre il loro modo di esprimersi quando cambiano le loro abitudini, ma nemmeno mutano sempre le loro abitudini quando mutano il modo di esprimersi. Il futuro della poesia, su tempi lunghi, non riesco ad immaginarlo se non in relazione stretta ad un probabile sviluppo ipertrofico dell’immagine, dei concetti di interfaccia e di ‘leggibilità’ delle superfici. Qualcuno ha addirittura ipotizzato città in cui anche le facciate dei palazzi saranno interattive e one touch proprio come uno schermo digitale. Magari, chissà, nel futuro leggeremo Wallace Stevens direttamente sui frontespizi di teatri e musei. Date queste premesse teoriche è semplice passare ad immaginare una realtà che si presenterà sempre più come un caleidoscopio in cui ogni minima rotazione o spostamento cambierà la forma, il pattern in cui viviamo. Io poi sono una camminatrice, e i camminatori sanno che è solo il paesaggio a mutare, l’esteriorità, il nucleo, l’essenza delle cose muta molto lentamente. Per il mio futuro spero sicuramente di continuare a camminare.
Bianca Madeccia, giornalista, dal 1990 al 2002 è stata redattrice di “Avvenimenti” (ora Left) dove, tra le altre cose, è stata responsabile dell’inserto letterario Avvenimentilibri. E’ autrice della raccolta L’acqua e la pietra (Lietocolle, 2007), di Tempo plaquette d’arte a tiratura (IlFiloDiPartenope, 2009), Dei tre modi del camminarti (Collezione di sabbia, FiloDiPartenope, 2009), di Variazioni sul buio (pubblicazione-premio Libero de Libero, 2010, 25° edizione), di Àncore stellari (edizione d’arte a tiratura limitata). Collezione privata, “Maison de Ronsard”, (Tours, Francia), 2011, e di alcuni videopoemi (Vetro, Epitaffi, Alla Luna, La cuoca, Trilogia dell’acqua) visibili su youtube. Suoi testi (poesia e microracconti) sono presenti in numerose antologie, tra le principali: “Fotoscritture” (Lietocolle 2005), “Stagioni” (Lietocolle 2007), “Roma verso Milano” (Lietocolle 2007), “Albergo Europa: camere comunicanti”, (Fondazione Eni Mattei, 2007), “Verba Agrestia” (Lietocolle, ed. 2008 e 2010), “Mundus. Poesie per un’etica del rifiuto” (Valtrend Editore, Napoli 2009), Carovana dei versi. Poesia in azione, (Abrigliasciolta, ed. 2009 e 2010), La Settimana della Lingua italiana nel mondo, IX edizione, (Melbourne, 2009), Registro di Poesia N.3 (a cura di Gabriele Frasca, edizioni d’If, 2010), Il segreto delle fragole (Lietocolle, 2011). Suoi testi sono apparsi sulle riviste: Poesia, La Mosca, La Stampa, Ellin Selae. E’ redattrice del lit-blog “La poesia e lo spirito” e cura in rete “Epitaffi in video” un canale di videopoesia e reading d’autore. Dal 2008 è direttrice artistica del Festival nazionale di poesia contemporanea “Silenzi in forma di poesia”.
Latest posts by Redazione (see all)
- Biagio Cepollaro: Le tre vie in 8 tele – Torino, 9 gennaio 2014 – January 6, 2014
- Alessandro De Francesco @ Ex.it – December 25, 2013
- Luciano Nota: “Tra cielo e volto” – December 24, 2013
- Speciale Gruppo 63 – December 24, 2013
- Andrea Raos @ Ex.it (il video) – December 24, 2013
Pingback: Parola ai Poeti: Bianca Madeccia | ilcollomozzo
Pingback: Su Poesia 2.0 nella rubrica “Parola ai poeti” mia intervista. Ringrazio « Epitaffi