Poesia Condivisa 2 N. 43: Dante Maffia

Nicola                

                                                              (in risposta)

Te la prendi con me
perché non conosco la campagna,
ancora queste storie stupide
tu che con tanta civiltà
non comprendi nemmeno il meccanismo
del semaforo e non sai usare
un ascensore. Il mondo
ignora me e te,
siamo fuscelli, che gliene importa
a ginestre palazzi fiumicello
e ascensori e viali della nostra
carne infetta di questo fluire che
avanza inedito anonimo e straripa
in noi senza che possiamo
difenderci da nulla?
Ti dice mai qualcuno di ciò che fuori
avviene? Sì, a noi non importa,
ma tu sei ingiusto, io nel condominio
conoscevo tutti, anche Cristina,
che una volta mi sfiorò le guance
e mi disse che il mio sguardo penetrava
dentro. Hanno accusato me della sua morte,
non sanno che voleva annullarsi
mi premeva per diventare me
e la rincorsa è stata interminabile
la spinsi nel dirupo per giocare
che ne sai tu quanto mi dilatai
quel giorno e quanto ho vissuto.
Parli d’un fiore che nessuno conosce,
d’un mondo dove forse i pazzi
si fermano a sostare. Svegliati, Ettore,
hanno portato il vassoio, dai, se vuoi
ci sputo dentro prima io.

da Lo specchio della mente, Crocetti Editore (Milano, 1999), collana Kylix

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Annamaria Ferramosca
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1 Comment

  • Prima di qualsiasi possibile interpretazione bisognerebbe conoscere l’antefatto, il contesto di umanità a cui la risposta rimanda, ma probabilmente questa richiesta del lettore è destinata dall’autore stesso e dal senso dell’opera a rimanere inevasa. Nicola , come Cristina ed Ettore sono i limiti all’interno dei quali si muove il poeta che delinea sé stesso, la percezione della propria vita all’interno di un meccanismo magmatico che stritola l’ esperienza di ognuno per farla fluire nell’unico fiume del nulla:

    Il mondo ignora me e te,
    siamo fuscelli, che gliene importa
    a ginestre palazzi fiumicello
    e ascensori e viali della nostra
    carne infetta di questo fluire che
    avanza inedito anonimo e straripa
    in noi senza che possiamo
    difenderci da nulla?

    Ciò che ha senso di permanenza è il mondo con le sue funzioni incomprensibili, gli ascensori che permettono di spostarsi, i semafori accomunati alle figure della natura, che non si limita a scorrere intorno ma straripa in ognuno di noi- anonimi e destinati a rimanere tali- padrone di entrare ed uscire senza alcuna spiegazione,

    Ti dice mai qualcuno di ciò che fuori
    avviene?

    Che fine fanno le domande di ognuno? Che importanza hanno le motivazioni, le amicizie, le proteste di innocenza dinnanzi alla forza straripante della totalità in cui tutto si risolve, anche l’inconoscibile della sfera più intima di noi stessi, dove noi soltanto siamo alle prese con la verità e ne percepiamo la non riducibilità a pura istanza razionale?
    Ecco il fiume carsico che entra a giudicare il rapporto con Cristina per portarlo alla luce sulle ali di una colpa impossibile da conciliare con:

    mi premeva per diventare me
    e la rincorsa è stata interminabile
    la spinsi nel dirupo per giocare
    che ne sai tu quanto mi dilatai
    quel giorno e quanto ho vissuto.

    Il bene ed il male dunque e chi è Cristina, una persona reale come lascia pensare la circostanza del condominio e delle accuse che gli piovono addosso o un eteronimo soltanto immaginato come gli “alter” di Pessoa, i “C’est-la-vie” di Duchamp, a cui fa pensare il verso “mi premeva per diventare me”?
    Rimane lo iato del risentimento, dell’ incomprensione e dell’incomunicabilità radicale tanto per i condomini quanto per il mondo del fuori senza regole e smisuratamente libero e potente, ma non per Ettore, compagno nel rifiuto \ estraneità al gioco della vita, su cui si sofferma solo la follia ed a cui sembra rimandare l’autore stesso restando sospeso ad osservare i personaggi sulla scena di sé stesso. Ciao

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