Poesia 2.0

La mano ozia nel nido delle tue cosce,
è sera, e la sera rinnova la pioggia,
mai cessata di fremere.
— Alessandro Ricci

MONOGRAFIE DEI POETI


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Selva di poesia: Giampaolo De Pietro, “La foglia è due metà” (Buonesiepi, 2012)

la fogliaA dispetto del titolo, la foglia di Giampaolo De Pietro è molto più di due metà. Così il foglio, anzi, i più di duecento fogli che compongono la raccolta (raccolta? o forse zibaldone? tesoretto?). Una distanza lunga, inusuale per un’editoria di poesia che sempre di più si sta concentrando su plaquettes e micro-edizioni.

Dice tutto questo meglio di me Cristina Annino, nel risvolto di copertina: “Libro foltissimo, si regge tutto su una levità che è il respiro stesso dell’autore”. E ancora, cogliendo perfettamente la varietà dei registri e degli stili di De Pietro (tenuti insieme, invero, da fronde spesse, come soltanto quelle che possono essere generate, da un lato, dal tronco delle neoavanguardie comprese, interiorizzate e rielaborate, e, dall’altro, dal tronco altrettanto robusto di una lirica che sa dare spazio anche al verso-peduncolo, o verso-foglietta): “Poesia delicatissima, sempre snodata, come intricato è il senso di qualunque angoscia, dove il viso di Palazzeschi si affaccia per un attimo, poi scompare davanti a un dolore che da gioco linguistico si fa malinconia cronica anche dell’invisibile”.

Le parti più intense di quest’ultima descrizione si attagliano anche alla poesia della stessa Annino, che è dunque, per questo libro, garanzia di qualità, non tanto per il meccanismo di filiazione, di apparentamento tra “padri” (e anche “madri”) e “figli”, ma per fogliazione, per l’autenticità di una parola duplice (di De Pietro e della Annino) che si trova nella stessa selva. Anche Palazzeschi, sicuramente, fa capolino, nel gioco linguistico reiterato, ma non stantio, e molte altre sono le facce, neanche troppo nascoste, nel folto del bosco, passando per un certo Giuliano Mesa [!] a qualche timido, e tiepido, approccio alla poesia visiva.

In fin dei conti, di questo libro che, nonostante le duecento pagine, non stanca, si scontano, invero, certi tentativi ancora abbozzati, uno stile plurale che non ha sempre consapevolezza della propria eterogeneità costitutiva, e comunque vuole provare.

Vuole germinare. E, se starà in una terra – certamente in una terra dalle più diverse denominazioni amministrative, e dai più distinti strati geologici, ma in una terra – germinerà dando, come già si può apprezzare – a lungo! e con diletto! – nella Foglia è due metà, germinerà dando, infine, copiosi frutti.

*

   Io fischietto
un motivo un
motivo
sconosciuto. Io
portante con
motivo, o anche
senza, dato che
il motivo non mi
conosce. Motivo
portante senza
io.

                  Modo di
contare non
senza cantare sì
coi numeri e le
tavole
pitagoriche dei
giorni singolari
così. Per la prima
volta passa il treno

*

Ah le nuvole! Le
forbici. Lo spazio
da ritagliarsi. E a
non riconoscere i
sassi, nome per
nome. Ah, le pure
paure povere. E
noi neanche ai
proverbi
considerati leggi.
Non concessi a
precipizi o
sorrisi. Le care
paurine.

*

Leggero tempo dopo
Versi di Caro Gulf

I bicchieri
dietro
i libri, i bicchieri
sono i libri

*

Convinto a
piovere, il tempo
dice. Aprile porta
ritardo al
singolare, noi
siamo in salvo
dal puntuale, se
sa piovere e sa
di piovere con
leggero tempo
dopo. 

[…]

Lorenzo Mari

Lorenzo Mari (Mantova, 1984) vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato le sillogi libere sequele (Gazebo, 2004), pellegrinaggio senza Endimione (Inventario Senese, 2007 – V premio Alessandro Tanzi) e Minuta di silenzio (L’Arcolaio, 2009). È presente nelle antologie Nella borsa del viandante, a cura di Chiara de Luca (Fara, 2009) e La generazione entrante. Poeti nati negli anni Ottanta, a cura di Matteo Fantuzzi (Ladolfi, 2011). Traduce narrativa e poesia dall’inglese e dallo spagnolo: la traduzione più recente, in ordine di tempo, è la plaquette poetica di David Eloy Rodríguez Il desiderio è un ospite (L’Arca Felice, 2012).

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