L’ospite è un mattino, radio – Intervista a Michele Fianco

[Di seguito proponiamo una intervista a Michele Fianco, autore dell’opera/progetto L’ospite è un mattino, radio. Buona lettura]

LB: Io comincerei dall’ovvio: come mai la scelta di questa forma? La domanda punta sull’ovvio ma non è retorica né scontata: oltre a una questione puramente estetica che possiamo senz’altro discutere, a me interessa sapere se la scelta del contenitore ha una qualche ragione specifica collegata al contenuto e/o alla veicolazione del suo messaggio. Dunque, la mia curiosità ha come oggetto la scelta del web in alternativa al libro fisico, ma anche al tipo di web che è stato scelto – che non è il classico blog poetico, alla sua struttura interna (difforme, asimmetrica), ai nomi delle varie sezioni (privi di rimandi espliciti), alla presenza della musica etc.

MF: Intanto credo che sia in linea con un certo tipo di poesia in costume – così mi vien da definirla, come per i film – che ho quasi sempre scritto, a prescindere dalla forma che poi ha preso, libro o altro. Sì, diciamo così, l’interesse era ed è quello di gettare il verso oltre l’ostacolo, e cioè farlo vivere in altri contesti, altri contesti di ‘uso comune’ per lo più. Così, per ricordare: in passato ho fatto circa 50 concerti jazz e poesia (Soloinversi), dove la poesia era un vero e proprio strumento solista; invece in un testo (questo sì, un libro) ho immaginato un western, ad esempio. Ecco, in questo caso, per il sito web che prende la forma di radio anni Sessanta, entra in gioco il mestiere che mi accompagna da vent’anni. Mi occupo di comunicazione, di comunicazione online principalmente. Ed entra in gioco, più profondamente credo, un’indagine sulla contemporaneità, una contemporaneità che oggi – in letteratura, in musica, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro – mi sembra o rifiutata o subita. O ci si rifugia in un revival infinito, pedante e spesso fuori tempo, o si segue l’accelerazione delle agenzie di stampa e si fanno tutorials sull’ovvio. In un certo senso, è un modo per portare dalla propria parte la contemporaneità, un dire “guarda che si può costruire qualcosa anche qui, sul serio”.

Il web, la forma sito che ho voluto dare a L’ospite è un mattino, è una parodia, la parodia di un web che non si fa più, fatto a mano, per così dire – con la scrittura del codice, la grafica bitmap e quella vettoriale realizzate elemento per elemento. Un piccolo gioco che crea un paradosso – e cioè che la struttura forse è la cosa meno ‘moderna’ dell’opera -, ma pone anche una domanda: cosa s’intende per moderno oggi. E si ritorna alla contemporaneità. Allora armonizzare l’analogico e il digitale (le due possibilità di lettura che il sito suggerisce), individuare il nuovo orizzonte di una scrittura reattiva (‘a sollecitazione, rispondo’) tipica dei social, fuoriuscire da descrizioni e didascalie per far emergere solo gli accenti che interessano (quell’asimmetria testuale di cui parlavi), definivano un mondo più vicino a quel che io penso sia la realtà. Meglio: a come possa essere interpretata la realtà. Qualche amico-lettore ha detto che è più un’opera filosofica che poetica o letteraria. Probabilmente è così, ma capendo l’enormità della questione e i suoi possibili sviluppi, mi son ‘difeso’ prendendo la giusta distanza dalle cose e usando gli strumenti che mi occorrevano per farne una forma chiusa, come una canzone. Con molta ironia, spero. E tra questi strumenti vi è anche la musica, certamente. In questo senso, non penso di aver mai scritto qualcosa che non sia stato sollecitato o guidato da un’idea musicale, da un’idea di composizione musicale. È la forma d’arte alla quale, forse, aspiro. Peraltro, più della melodia, mi hanno sempre affascinato il ritmo (nasco batterista, del resto) e le armonie, le progressioni degli accordi. Più del lessico, mi ha sempre affascinato la sintassi, tanto per riportare il discorso in chiave linguistica. E credo si noti anche nell’Ospite. Sì, mi interessa l’ambiente entro il quale l’espressione possa prender forma. E si prova a crearlo. Mi muovo più come un urbanista che come un designer, ecco.

In riferimento al tuo commento, risulta evidente, in primo piano, la presenza del ritmo, delle progressioni. Non solo nella macro non-struttura parodica del web, ma anche nella organizzazione dei testi – che organizzazione vera e propria non hanno, come pure all’interno dei testi stessi – pieni di interruzioni inattese, salti logici, disconnessioni e virgole.
Per mantenere il paragone musicale, i tuoi testi sembrano il risultato di una operazione di assemblaggio di elementi però senza eccessiva selezione, un medley Jazz, improvvisato, dettato dai vari momenti in cui è stato suonato. Sembrano spezzoni di un lunghissimo dialogo con un interlocutore non identificato – o monologo con il sé, che è pur sempre un dialogo, raccolti assieme all’interno di questo sito-radio come punto finale, saluto, resa dei conti o bilancio in un certo senso. Comunque la parte finale di un bilancio di qualcosa che ci si lascia alle spalle per guardarne un altra. insomma, un addio. È una interpretazione possibile o plausibile? A quale spinta si devono questi testi e questa opera?

Non solo è un’interpretazione possibile, credo che sia un’interpretazione centrale. E mi fa piacere che tu l’abbia messa a fuoco così nitidamente. Perché l’individuazione di una cerniera tra un ‘prima’ e un ‘dopo’, tra il ‘bilancio’ e un nuovo ‘investimento’, è sempre stato un orizzonte presente in tutto quel che ho scritto. Forse in quest’opera (la chiamo opera per semplicità, non per altro, come somma di testo, sito e inserti grafici e musicali) è ancor più visibile. L’idea di scrivere ‘sulla porta’ – dove tu sei sia l’ospite che entra, sia chi sta uscendo dalla sua casa – almeno per me è il modo più semplice di intendere le cose (evito di parlare di dialettica per non diventar ‘libroso’, ma in fondo di quello si tratta). Anzi, oltre la letteratura, forse è proprio il mio modo di ‘stare al mondo’, fatto di molte curiosità (concrete) e poco consolidamento, poca rendita. Un po’ un guaio di questi tempi… Son passaggi continui di stanza in stanza che non lasciano eredità. Forse suggeriscono giusto una linea di condotta. Per me, per quello che si scriverà, per quello che si andrà a fare.
Un passaggio della tua lettura mi va di approfondire, però (e credo che così risponderò ancor più precisamente alla tua seconda domanda, “a quale spinta si devono questi testi e questa opera”): quando parli di “assemblaggio di elementi senza eccessiva selezione”, come un’improvvisazione jazzistica. Ecco, se ho capito il senso, ti dico che la selezione è all’origine. Cioè la scelta di usare un po’ quel che viene, quel che emerge, è perché da qualche parte occorre pur iniziare. Credo che le ‘rivoluzioni’ (intendilo come termine ampiamente scientifico, non solo politico) si possano fare dal punto in cui ci si trova, e con gli strumenti che si hanno a disposizione. Questa è la spinta, il tentativo di aprire un’altra finestra sulle possibilità.

Lungi dall’essere un giudizio negativo o giudizio tout court, l’assenza di eccessiva selezione voleva essere la constatazione di un fatto: l’assenza di premeditazione. In altre parole, un po’ come questa intervista che non ha pensato alle domande prima di ascoltare le risposte, il tuo testo sembra rappresentare la manifestazione testuale immediata (o quasi) di una contingenza.
Certo, nel testo sono disseminati molti rimandi sociali, politici, contemporanei, ma sempre all’interno di un contesto rigorosamente non letterario che gli fa da cornice e gli dà quello spessore che spesso e volentieri manca ai concetti. in altre parole non si offrono risposte né si danno spiegazioni, solo si dà spazio all’esperienza e la si offre così com’è, in un percorso che di salto in salto cerca di rispecchiarne la imprevedibilità e soprattutto la irreversibilità approdando in una nuova pagina dove “there’s no link to home page. now this is home page”.
Potremmo dire che in un certo senso, il contenitore (la architettura dell’opera) apporta quegli elementi allegorici assenti nel contenuto (i testi), di fatto permettendone la trasferibilità nella misura in cui ne ridimensiona l’aspetto biografico?
“none is equal to another” cita in calce la nuova homepage cui si approda alla fine del percorso. Ciascuno sceglierà come interpretare il percorso de L’ospite e come proseguire dopo la new home page. Tu dove speri che porti questo percorso i suoi lettori?

Intanto mi suggerisci tre concetti a me molto ‘cari’: allegoria, esperienza e biografia. Penso di essere un allegorico ‘naturale’, per così dire, non c’è una cosa che non ne significhi o non ne suggerisca anche un’altra, magari più estesa, magari in altro versante, come avrai capito anche nel corso dell’intervista. Esperienza, mi viene in mente sia il “fare dell’esperienza un’esperienza” di Edoardo Sanguineti (ti prometto che sarà l’unica citazione che farò), che è un po’ una stella polare della conoscenza di sé e del mondo, sia l’esperienza individuale come età (e ormai ci siamo…) e come continuazione, però, dell’esperire. Infine, questo è un lavoro fortemente autobiografico, così radicalmente autobiografico, che va a riprendersi la sua dignità di azione, di fatto. L’io esiste se passa di là, del resto. Ecco, ho cercato di far suonare quest’orchestra insieme. E come ogni orchestrazione, come ogni organizzazione, è buona norma rendere visibile il lavoro che si fa, certo. In tal senso, quando la scrittura piega in basso, a destra, cioè quando si arrotola su stessa, meglio smettere e ricominciare. In sintesi, è vero che è l’ipotesi di una radio dove gli argomenti si inseguono e son molti (ed è quello che si vede), ma in fondo è l’allegoria di un piano regolatore di una nuova città dove le funzioni son ben distinte e occorre prevedere anche gli sviluppi e le tendenze. Guarda, avrei potuto fare un paragone anche con un sistema planetario – velocità di rotazioni, densità, temperature e orbite diverse la cui unica costante è la legge che le contiene – ma ho preferito restare con i piedi per terra. Ecco, se dovessi in conclusione auspicare un effetto, un ‘risultato’ presso i lettori, è quello di non pensare che quella disegnata e proposta dall’Ospite sia l’ultima città possibile (ovviamente parlo di me ora, ma la cosa è estensibile all’infinito). E per questo motivo mi son son permesso di suggerire una nuova Home Page da cominciare a organizzare. ‘Una piccola sigla di chiusura del mio lavoro, ma spero una utile apertura per chi vorrà’. E perdonami quest’ultima (quasi) citazione del ‘69…

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