La fanghiglia del cielo, ovvero per una ri-sostanza del sacro. “Di rovescio” di Nunzia Binetti

Di-rovescio-Nunzia-BinettiUn rovesciamento intenzionale già dal titolo, eversivo ( e vedremo di che cosa), nella poetica di Nunzia Binetti, che si batte per una ri-significazione del mondo, e per capovolgersi in un ordine altro del mondo stesso, ha la sua marca incredibilmente femminile in una volontà di ri fondamenta, e di riscrittura ex novo. Una via al sacro che sa di genesi, ( vedi poesia Genesi), perché opera un rovesciamento ontologico, tipico del pensiero poetico, una gestazione del tempo come topos, un movimento a ritroso come i versi già sono: movimento sinusoidale.

Nella prima parte del libro l’indecisione tra ribellione e rigenerazione è sempre alta, mantenendo tale tensione a non ricomporre i conflitti, ma essa resta aperta in una non conciliazione degli opposti, o resa solubile negli elementi che la composero.

“…ricamo la vita sopra un panno sgualcito/ non lo stiro”; va verso un nomadismo anche epistemico dove “ostinate nullezze sono tetti mentali “,ma specialmente un sentire panico e amoroso, tragico anche, che attinge al Mito, va contro la violenza sopraffazione del simbolico che ha escluso il sentire universale delle donne, e che  da molte di esse, oggi è però respinto.

L’essere di una donna qui, è anche contro l’imbarbarimento portato dalla civiltà industriale e dalla metropoli globale, desertificata oggi su più fronti, ed è invece tutto a favore del RECUPERO del vedere – e sentire fisico, cinestesico, v. in Bianco assoluto, dove frequenti sono le immagini pittoriche e scultoree, a favore anche del sentimento panico della NATURA, in una generatività diffusa, sia di relazione, che di visioni del mondo, che recupera in questo, o cerca di farlo, certa civiltà matriarcale.

A ciò si accompagna anche una reazione anti avanguardistica, per l’avvenuta deprivazione di lirismo intrinseca alla poesia portata dal clima italiano dagli anni sessanta, e dunque la nostalgia per una diversa *poesia civile* femminile che si fa denuncia; non soltanto, per riscoprire valori che andarono perduti, ideali riscoperti nella loro autenticazione, ma per una nuova socialità del vivere, tutta quotidiana.

Questa poesia dà del tu al cosmo, spazia tra i colori: “…mi fumo la vita “(Al Mare)dice di sé l‘autrice, dotata di ampio spirito dionisiaco, e di un ritmo vitale primario, tuttavia calcolato, elegante, che si fa bello nel fulmineo, e nell’istante del *qui e ora*, agito nella lingua, per uno spiazzante cambio di oggetto e soggetto del narrare. Il cambio del soggetto dalla prima alla terza persona, è rapidissimo e naturale: compaiono quattro soggetti in quattro versi (ad es. in Girasoli) o come ( ne Il viaggio) per quell’ “ andare… contro – verso.“

A volte gnomica. dopo che battezzata e resasi familiare con una certa postura greca, di ricerca di misura, e di bellezza classica: benché non ostile ma pervasa dal dovere di sperimentarsi con durezze linguistiche, torsioni interne, postura mai blasfema, sempre a lato di benedizioni fino a raggiungere uno stato di grazia, il migliore, visibile in certe poesie.

Un altro tratto è il tentativo di sorellanza con le cose animate, da uno spirito di pietas e di empatia creaturale, “per divenire natura morta“ ( Seduta); in questo sono di aiuto “un’afonia indiscreta” (vedi Transumanza) e l’under statement o transfer come personificazioni, “Chiamatemi papavero se tutto questo è vero” (Papaveri ) o “Forse il gelsomino “ ( Notturno ), o anche con le figure chiavi, innalzate alla privata mitologia personale, ma che risuonano per tutti, fino al legame più potente, ancestrale, omnipervasivo e onnipresente con la madre come musa, e come ambizione di un ritrovato codice intimo della langue maternelle, innalzata nelle sue figurazioni, ”Lei è suono…lei è …paura ed è coraggio” ( Materna 2 ), oltre che della rinomata poesia di apertura che dà avvio e autorità alla sua pronuncia, e al libro stesso.

Divenire SUA madre, (Essa, a se stessa ) come divenire il fango del cielo sono atti metamorfici e magici, di cui la Poesia è dotata. Si aspira a un rango che sottintende una forte ambizione, che è lo status della poesia in quanto tale. Dichiarazioni impegnative, e si auspica l’autrice ne sia consapevole, dato che il volare alto richiede anche la quotidiana declinazione dei giorni, fatto, quest’ultimo, non disdegnato dall’autrice.

Ma si rema contro, a fatica: invertire la legge di gravità dell’Essere, è provare a violare leggi cosmiche e naturali, fare eresia: “Io suono nel mare un colore rovescio “ ( da Di rovescio), fino alla tentazione di ammutolimento, “ taciti e taciuti…provare solo a dismettersi “ ( In scomparsa), in attesa più che di resurrezioni, di sepoltura.

Una tregua alla comunione dei vivi con i morti.

A volte l’oggetto d’amore è anche oggetto d’odio ( Chiaro di luna), simbolo del non detto della Poesia, ”il nuvolo “, di marca aulica, “non vi sapevo rose/ armate di spine… “ ( Amiche) simbolo del non detto della Poesia, ”il nuvolo “, di marca aulica, “non vi sapevo rose armate di spine “ (Amiche) alle donne – sorelle: “e la mia vocazione selvaggia “, segna come movimento lirico, di poetica, la sua cifra stilistica.

“E poi quel mio rinascere / ma ciottolo// mai più donna “, ne Alla vita.

Torneranno costanti metriche per segnalare il grande patto simbiotico con la natura (settenari e novenari ), in Planetaria. “Domani, se mi sveglio, io mi rileggo il mare e la rosa…// Sfarfalla, sbanda, plana / stanco s’adagia il tempo e smette” (Planetaria) si dice, tra le numerose poesie erotiche e d’amore, dove Eros anima il mondo reale, e nomina per la prima volta le cose.

E qui si torna a un’energia animica che salva, salvaguarda la parola dalla sua dissoluzione e protegge il poeta da un eccesso di pronuncia alta, dove a volte Essa si va a cingere, rischiando nell’eccesso del troppo detto o del cantabile, di sconfinare nella poeticità, a sfavore di quella inedita e dissonante, più petrosa e arrischiata – nel suo dirsi – della Poesia più presente, e che verrà.


Genesi

Ma io prendo mia madre e me la porto
dentro,
così divento madre di mia madre
e vinco il tempo che me la condanna a morte,
lo plasmo come meglio penso o posso.
Mi resta solo una madre, ultima radice,
e la difendo con l’unghie e con i denti
più d’ogni cosa.
Scorgere sul suo volto accenni di sorriso
vale granai, i giardini, le perle intorno
al collo.
Prendo mia madre e me la porto dentro
divento io una madre e vinco il tempo.

 

Di rovescio

Io suono nel mare un colore rovescio
esso sa di fanghiglia
mentre il resto, tutto il resto
si veste d’azzurro
quell’azzurro ormai troppo comune
che degrada nell’acqua un cielo ammalato.
Non è forse comune anche un nero di fango?
Invischiata la pelle di petrolio e di pece
io canto mille volte a rovescio.
Ho le corde vocali in prolasso
ed un verbo, come lisca,
per caso
mi ha graffiato la gola.

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Maria Pia Quintavalla
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