Sotto gli occhi di tutti Umberto Fiori 2009, 45 p., ill., rilegato Nota (collana Block nota) |
Componente storico degli Stormy Six e oggi poeta l’uno, chitarrista elettroacustico con peregrinazioni tra rock sperimentale (i La 1919) e avant l’altro, Umberto Fiori e Luciano Margorani si incontrano per la seconda volta in Sotto gli occhi di tutti, seguito di quello Pseudocanzoni che due anni fa seppur uscito solo a nome Margorani già li vedeva incrociare versi e sei corde.
Proprio nel titolo del loro primo incontro troviamo quella che probabilmente è la chiave migliore per comprendere ciò che i due fanno insieme: su composizioni prevalentemente all’elettrica di Margorani (e degli altri Stormy Six) Fiori rimodula alcune sue liriche, cantandole poi col solo accompagnamento della chitarra. Il risultato è tanto distante dalla reading musicata (Fiori di fatto canta e Margorani non fa del mero accompagnamento) quanto dalla canzone vera e propria, e in particolare d’autore (versi e musica non sempre collaborano: il più delle volte si confrontano, a volte si scontrano), che proprio nel loro carattere di pseudo-qualcosa trovano compimento queste sedici composizioni.
La coppia con sobrietà estrema, evitando ogni clamore sia nei versi misurati e fotografici, sia nelle musiche che si trattengono su un rock ambientale – ma tutt’altro che ambient – come un David Grubbs dal passato progressivo (quale è d’altra parte quello di Margorani) e dal presente in bilico tra accenti popolari e circoscritte evocazioni post-rock.
Fiori descrive paesaggi urbani, spesso periferici, nella loro bellezza minimale e improvvisa (ricorre spesso l’immagine delle larghe facciate delle case illuminate da un raggio di sole) e dentro di essi ambienta frammenti di rapporti umani dove le parole sono origine e causa di incontri e conflitti. E giusto sulla riflessione intorno alle parole e al loro senso sociale, oltre che su un atto di sopravvivenza poetica che invece di rifiutare la città ne scorge l’anima («ho visto due case, / alte sul cavalcavia / sorridere nude.»), pare vertere l’intero discorso dell’opera e la sua (forte) impronta suggestiva: «Ogni nome ha ragione, / ed ogni cosa sta / in pace / nel suo nome. / Soltanto il mio / suona come un allarme / nell’altra stanza, / come un rimprovero».
Una terza via con intento lucidamente contaminatorio alla rigida contrapposizione tra poesia e canzone.
(di Luca Barachetti su Sentire Ascoltare, febbraio 2010)
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