Inediti n.25 – Cristina Annino

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Digital Renaissance – Firenze 11-12 Novembre

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7 Comments

  • In questa silloge la poesia della Annino si fa sempre più sonorità d’immagine, ritmo di vita, esecuzione, un’orchestrazione che fa del reale una prossimità, mai una eccedenza. Nel piacere di leggere, ci si perde nell’altro, ci si ritrova nel cambiamento, verso dopo verso, e si è già l’altro. Una poesia che ha la sua originalità, pur rimanendo fedele ai suoi timbri storici.

    Mi complimento per il fervore giornaliero della nostra, e per la svolta continua. Un caro saluto, Bux

  • “Tutto scritto e sancito-carta canta-
    e l’infinito sta bene!” Leggere Cristina Annino è sempre una bella avventura, ogni sua poesia trascina con sé il lettore, semplicemente. Una poesia che canta, altroché, ma lo fa con sufficientemente sarcasmo da diventare interessante, dal lasciarsi leggere perché chi la legge sa che vi troverà sempre qualcosa di nuovo. Ed eccolo qui, scritto, l’infinito!

  • Bene, una Cristina Annino più dolcemente accuminata, più preziosa…qualche rima, direi maggiore “radicale tenerezza”. Una Annino in movimento verso un in-quieto orizzonte mitteleuropeo.
    Ronaldo

  • Personale e universale nella poesia di Cristina Annino si fondono In perfetto equilibrio, i suoi versi permettono alla parola di sconfinare in dimensioni altre, dove l’umano tende a riconoscersi oltre i confini di se stesso,
    E lascia traccia.
    cb

  • Questi testi si aggiungono alla silloge di inediti dal titolo “La pietà del Mondo”, apparsi il mese scorso su Blanc de ta nuque (http://golfedombre.blogspot.co.uk/2015/11/cristina-annino-inediti.html) e a quelli si accorpano in una narrazione dai toni accesi e assieme dolcissimi. Il carico di umanità del poeta rimane contiguo al passato e qui trovas uno smalto e un fulgore definitivi. L’interno (una costante del paesaggio di Annino) diventa alcova, la lotta diventa schermaglia amorosa, gli animali (volpe, capre, lepre e cinghiale, maiali, tacchini, scimmie, balene, buoi, cavalli, vermi … ) finalmente riammettono l’Uomo come loro pari come nell’Eden. Potenza dell’amore senza parole. Ne L’udito cronico (Nuovi poeti italiani #3, Einaudi, 1984) questo poeta scrive: “Le poesie d’amore le do // in appalto ai droghieri” – monito ironico e chiarissimo circa il rischio che la poesia d’amore sempre corre – ovvero il dozzinale . Nei testi inediti di quest’anno invece l’amore riacquista la dovuta dignità – quella appunto del Paradiso Terrestre – quella di prima della lingua. Il che tra parentesi con modernità direi tradizionale si lascia alle spalle il detto trito “mogli e buoi dei paesi tuoi” (nucleo inconscio del tema del giogo?) per puntare al vero inalterato che viaggia tra amanti di origini diverse. Persino l’alba si suicida per mantenerli protetti nel buio dell’intimità. Si mente poco dove si parla anche meno. E siccome il Paradiso Terrestre se preso alla lettera sarebbe menzogna oggigiorno – ecco che per bilanciare l’euforia del mito appaiono i personaggi chiamiamoli così della rispettabilità sociale (la caccia alla volpe, gli amici “convinti // che parlare sia umano, il silenzio // meno.), i monaci col loro abito, persino Pilato! Nel testo “Parametri umani” l’individuo buono “Ha in petto un patrimonio // letale di convivenza.” Vive insomma in queste poesie il dramma archetipico degli amanti perseguitati, ma la persecuzione viaggia sul piano sociale E su quello cosmologico: “sparisce // l’universo senza eredi”. Qui insomma la poesia è così ricca che la critica fa fatica a starle dietro.

  • Si può addirittura sentire le balene gregoriane, qui – non sempre canta, Annino. Non sempre slaccia. E non confina, no, non lo concede – non la scrittura – non serve all’umano intendere – l’amicizia, le bontà e via dicendo – tutto il bell’armamentario del “rileggere” i sentimenti che svelerebbe una poesia.
    è lo scalpo

    dei vivi

    il racconto, o la sonata, concede spazi – probabilmente un tempo a dismisura – scaduto – come perduto – cantato in un dialetto che qui compare e riscompare. Una barbarie. Amarissimo, se pensi a un eccesso, di sapore. Ma si potrebbe e dovrebbe, di regola, non pensare, non intonarsi a “classici” coinvolgenti definitivi sostantivi dell’amore, ad esempio. Non sono mica pochi, i suoi riflessi – che però questa poesia sembra non volere mai riflettere. Eppure, dentro, che non sembri “ristretto”, un lirismo scompone ogni forma lirica e/o definita tale. Il lettore, come questo che pare delirare sopra tale lettura, se lo concede – e lo trova, e lo rivede, ogni volta – il lirismo nella poesia di Cristina Annino. Disperato, erotico. E via, per altri secoli, ed altri amanti, il tempo dove abita – cosa fa? Consegnare il proprio “testamento di viaggio” all’autista del bus, a un conducente che sia – un parlante qualunque.

    Quante infinità sorpassa questa poesia. Io finisco sempre con un bel grazie, che va oltre tutte le possibili – e date – apparenze (anche quelle lette).

    Saluti,
    Giampaolo

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