DELLA POESIA IN GENERALE, DI UN LIBRO IN PARTICOLARE: Cronocritica per Annamaria Ferramosca e il suo Ciclica

ferramoscaSulle ragioni di un percorso poetologico.

Il versante vero (1999), Porte/Doors (2002), Curve di livello (2006), Paso Doble (2006), Other Signs, Other Circles (2009), cercano un fondo luminoso in una realtà incarbonita e stagnante, all’apparenza acceleratissima e splendida. Questo fondo luminoso risale fino alla scaturigine pura del mondo, tocca le forze originarie da cui le cose e le parole nascono insieme.

Questa è la radice laica e religiosa di una scrittura che attraversa dissociazioni e antinomie per raggiungere, sul piano logico-ontologico e sul piano etico soprattutto, la dimensione unitaria che accomuna, legittima, giustifica il particolare e l’universale, l’io e l’altro da sé, il simulacro vuoto e il simbolo sovraccarico di significati.

Il traslato dal vero al metaforico e viceversa avviene in ogni caso consapevolmente: Annamaria Ferramosca parte  sempre dal vero, non inventa nulla  e dal vero oggettivo, rapidamente per via di metafora, arriva a lacerare le apparenze in  una sorta di scintillazione energetica, dove le vicende esistenziali e la vita segreta delle cose si bilanciano tra il fuori realistico e il dentro immaginifico.

Si tratta di un modo non parnassiano di immergere il lettore nel fondo stesso della coscienza, nella memoria cosmica archetipale.

Fin dalla prima pubblicazione l’Autrice costruisce ab extra versi lineari nei quali incastra riflessioni e autoriflessioni, tutte utili a ribaltare le masse e gli snodi di una ormai spenta materia umana e sociale.

Se l’anima canta a gran voce, il controcanto è affidato alle esperienze tecnologiche e scientifiche, estrinseche e a programma, che hanno profondamente trasformato la nostra linea d’orizzonte, l’attuale weltanschauung.  Il fuoco interno del Pensiero e l’ombra scorporata della Tecnica si scambiano parole: sul margine semantico della poiesis riappare la necessità del vero (fisico e metafisico), dentro ai barbagli degli schermi turbinano i fantasmi dell’oltretempo, gli spettri che in forma virtuale rimandano ossessivamente all’assoluto.

Sbigottimento e condivisione rappresentano i due poli antinomici tra i quali si dibatte l’individuo, che vorrebbe ascoltare e comprendere, ma contemporaneamente avverte l’ingombro di disguidi, fratture, lontananze, grovigli morti dentro ai quali  le equazioni sentimentali valgono a poco, se non si restituisce unicità e autenticità all’umano generaliter.

Annamaria Ferramosca ripristina nei suoi libri il valore della parola esistere, riattribuendole suono, peso, destino: è l’io che torna a dire io, a invocare il tu, a riaffidarsi al noi.

La tecnica compositiva sostiene magnificamente l’ideologia poetica, dislocandosi su una triade di elementi: dislocazioni spazio-temporali (micro e macro Storia), epifanie fulminee  (le incredibili aperture di senso), metamorfosi naturalistico-scientifiche (la conversione del materico nello spirituale e viceversa).

La prosodia brucia soverchie energie (verso libero e strofe di diversa lunghezza) e dalla combustione ricava ceneri bastanti a covare acuta intelligenza e forti emozioni.

 

L’essenza del suo libro più recente.

Autrice consolidata e matura, devota come pochi al lavoro poetico, Annamaria Ferramosca offre parole scalze e doni con una voce dolente, nata nell’ombra, senza stancarsi di inseguire latitanze e di indicare mete letterarie, morali, sociali.

Nel meccanismo dei versi affiora qualcosa di inatteso: chi scrive si fa carico di testimoniare come la Natura sia stata ridotta a un semplice fondale, un Non-Io di cartapesta con odori e colori finti. E invece la Natura non è morta, si espande, cerca di abbracciare l’umano. Se  l’attenzione dell’odierna antropologia si concentra esclusivamente sul  movimento  dell’artificiale verso il naturale, in questo libro si inverte l’orientamento del pensiero attuale e si torna a privilegiare il biologico  rispetto  al tecnologico, senza tuttavia dichiarare un’inutile e anacronistica guerra di religione, cercando piuttosto una comune stratificazione, attraverso un linguaggio fortemente agglutinante, capace di coniugare le nuove sonorità dell’universo telematico-virtuale (condivido, mi piace, files, hard disk) con il lessico tradizionalmente appannaggio della sfera della coscienza e dell’interiorità (non sappiamo di avere accanto mappe di salvezzasentore di boschi e marine, questa feliceamara ascesa verticale).

Ciclica rinnova e restituisce significato alle esistenze vegetali , perché tutto si combina e perché  la vita  reclama una nuova creatività e a volte, quasi espressamente, una nuova violenza:

pregheremo per l’acqua e per il sole
ancora  senza avvertire
su quali corde in gola
vibrano altri silenzi

forse risponderà l’acqua
con furore diluviale

(Terrantartide)

Qui  bascula la differenza tra individuo e individualità: l’individuo non condivide, non ha sentore della propria interiorità; è il rinunciante, colui che del mondo non sa che farsene. Il poeta, al contrario, incarna l’individualità aperta, abbracciante, capace di ritornare a sé ogni volta arricchito di nuove esperienze e determinazioni. Il nostos contenuto nel discorso poetico si articola in una frugiferante circolarità, nient’altro che l’haufhebung di hegeliana memoria, vale a dire il movimento logico-antropologico che supera e conserva, mantiene le differenze e le invera in una dimensione unitaria, conciliante:

Erica scalza che attraversa
i ponti saldi dell’amicizia
regale nel non possedere
se non parole come incontro ascolto
vita come una larga gratitudine
casa che mai rovinerà
per silenzio

(Erica delle domande)

In nome di un logos corale Annamaria Ferramosca ragiona sul futuro e non lo teme, non si sfrangia dagli altri, perché ha in serbo, abbondante e generosa,  la sua oblazione di parole. Tra le pose avare e scarse del presente non si smarrisce, nemmeno tra le molestie del non essere, tanto è la sua tenacia di sottoporre il mondo alla lente dei sentimenti e del pensiero.

Quando modula le sue corde vocali sulla crepuscolarità di un ethos non più condiviso, vuol dire che la sua scrittura si fa spigolo paradisiaco, sgraziato e adatto a rimanere in bilico, proprio per sommuovere e risvegliare accomodanti catatonie.

Ogni pagina di Ciclica è un appuntamento, un alza-bandiera in contrapposizione con le non-bandiere, le non-passioni, le non-frasi: la bella bandiera spirituale oppone al non-sapere una versificazione colta e semplice, una gioiosa verbalità, folle, felice, stragonfia di senso, infatuata della vita.

L’Autrice osserva al suo microscopio di biologa il gene del discorso, lo mappa, ne trae un parlottìo fitto esternamente lirico, in vero riflessivo, dialogico, latamente filosofico.

 

La struttura del libro.

Concepito secondo quattro movimenti (Techne, Angelezze, Urti gentili, Ciclica), il werk ferramoschiano ruota attorno a tre assi fondamentali:  verticalità, orizzontalità e circolarità.

L’asse della verticalità richiama l’ontologia, secondo un rinnovato confronto con l’Assoluto. L’orizzonte del poetico e l’orizzonte degli orizzonti, il divino, divergono e convergono in una salutare multivocità, fortemente dinamica, in palese contrasto con la disposizione alla contemplazione statica, puramente emozionale,  univoca della lirica. La poesia si conferma come il non-chiuso, ascensore verbale fra l’alto e il basso, fra la parola disincarnata e la parola visibile:

                       si lasciano spogliare i ginepri
appena sfiorati
una selva di bacche sulle dune
tonfi di parole concitate
un collegamento-stupore con l’Alto
in teleconferenza cosmica

(si lasciano spogliare i ginepri)

L’asse  dell’orizzontalità richiama il ritmo della soglia e del viaggio, dell’andare e del tornare: la verità, si sostiene, si realizza tramite l’appartenenza a una comunità (in termini moderni a una rete), in virtù della quale nessun modo dell’abbracciare va perduto. L’orizzontalità  comprende in sé elementi plurali, ambigui, eccentrici, confermandosi come la privazione più potente di cui si possa soffrire, non a caso quella che si cerca con maggiore ostinazione quando manca:

così i fallimenti possono mutare
in categorie di seduzione
come la catena trasmessa dal seme al frutto
nonostante il marciume il trambusto dei rami

(Revisioni)

L’asse  della ciclicità saggia la tenuta della realtà, riepiloga il senso che rimane in ombra: non si arrende di fronte alle questioni più grandi e spinose, si intrufola con le sue vocali e consonanti molecolari tra gli urti quotidiani della materia e dei viventi. Con la sua doppia elica di prosa e prosodia scava nel nulla (la vera malattia dell’Occidente) che disintegra i pensieri e li immelma nella pasta collosa del conformismo. La scrittura poetica al contrario si compone di imperfezioni, scompigliate e ricomposte fino al miracolo dell’armonia.

Annamaria Ferramosca tira l’elastico delle parole che rimbalzano da un bronzo etrusco di duemila e settecento anni fa a una diapositiva di un paio di decenni fa: chi durerà di più, il bronzo o la diapositiva? È un calco migliore la statua, o un fotogramma finito nel file di un hard disk?

Un oscuro e segreto amore intensifica la percezione degli eventi  e delle persone che vengono ritratti con intensità. Si dispiega una precisa dialettica tra il fuori e il dentro e viceversa, secondo una programmatica e originale circolarità, che asseconda la ripetizione infinita delle cose  e dei fatti.

Una forza interna dirompe, lacera il limite della soggettività: l’io rivolge lo sguardo su se stesso e sente gemere le crepe delle sue fragilità, come se le stanze dell’anima invase da un vento turbinoso necessitassero di riparo.

Disposti lungo nastri d’inchiostro i versi stridono, accelerano il loro moto, carichi di segnali narrativi e descrittivi, fuoco di una dolorosa controversia:

stiamo come in un rogo a far segni attraverso le fiamme
malferme sagome stordite da mille nomi
la lingua disarticola e l’audio
sarebbe comprensibile soltanto se
intorno il rumore attutisse
se fossimo
puro pensiero silenziopietra
statue serene dal sorriso arcaico
ai piedi un cartiglio e
lampi negli occhi

(scelgo mi piace e condivido)

 

Lo stile del libro.

Rispetto all’universale corruzione del linguaggio, al discorso parlato frondoso, ridondante di frasi fatte e luoghi comuni, lo stile appare semplice e nella sua semplicità energico, vigoroso; non tira al familiare e al piano, o peggio al prosaico rozzo, cerca la qualità in una lingua colta, pur innervata di tecnicismi e di scientismi. Di più, l’Autrice non si strugge per sembianze arcaiche, affettate, che suonano false e cave come i monili forgiati nell’oro di Bologna, al contrario congela le già erose strutture metriche e strofiche tradizionali, in favore di un ritmo libero che produce da sé decifrazione del mondo, rivelazione interiore, balenante scandaglio dell’infinito.

Annamaria Ferramosca irrompe con la ricchezza di una scrittura libera e autonoma, carnale e concreta, in grado di suggerire una realtà più profonda di quella fenomenica, in grado di legare in un’unica spirale il dato sensibile, la fortissima qualità evocativa delle sensazioni quotidiane, le riflessioni ex lege rispetto alla vulgata delle idee correnti.

Temi, emblemi e analogie legano l’imagerie  spiritualistica ai moduli della realtà comune, alla ricerca di una possibile conciliazione delle diverse prospettive esistenziali, vera chiave di volta del ductus  ferramoschiano:

udire schiudersi la porta
un rapido scalpiccio  a riassumere due vite
due amici   eroi senza odissea
scoccare l’arco
contro questo disordine che dilapida
fuochi gesti racconti
riconsegnati ora alla madre
che non tradisce
accoglie nascite e congedi

(Specchie)

 

Postilla conclusiva.

Dolore dopo dolore, speranza dopo speranza, i fatti della vita assumono in Ciclica un valore paradigmatico, discreto, deciso, mai oratorio, ricco di intensità psicologica per tonalità e timbro espressivo.

Angosce e struggenti malinconie innervano gli inni del libro, si riappropriano del mondo per il tramite di una cruciale magia amorosa, di una libertà ancora aurorale, ma solida, almeno nelle intenzioni.

Con Annamaria Ferramosca si apprende a conversare serenamente  e con semplicità. Ci si intende, non occorre, molto di più. Del resto queste poesie sono scritte per cantare e per unire, per trasformare la negazione più sconsolata in assoluta, accogliente affermazione.

 

Nereidi, 14 luglio 2015

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Donato Di Stasi
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  • Sì, una poesia etica, profonda, con un linguaggio lineare, ma sempre colto, controllato, che sa raggiungere il lettore per infine entrare con immediatezza e lasciare la sua impronta. Una poesia sempre attuale, la sua, al passo con i tempi, in cui l’autrice, in empatia col mondo che la circonda, ne esplora le angosce, le solitudini e le contraddizioni. Complimenti per questa sensibile presentazione della sua scrittura e un saluto e tanti complimenti ad Annamaria, anche per il recente premio al Concorso Acqui Terme!

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