POESIA CONDIVISA N. 26: “Primi sintomi di una gravidanza” DI Elia Belculfinè

copertinaBelculfinè

C’è una città nel mio petto, una contrada

antica di maestri liutai – sanno la nuda alchimia
di riparare i legni solenni. Mio padre era

uno di loro; non volli saperne di imparare il
mestiere – così sono partito, un tempo chiaro
d’inverno. Lì non ricordano il mio nome.

C’è nel mio petto una  città di fuoco, una strada
di poeti dal soffio gentile – non hanno da
fare che vivere; di vivere gli si domanda. Ah,

farvi ritorno! Aprire le finestre della
vecchia casa, lasciare mi accechi di canto puro
il sole bianco degli aranceti, così, nei meriggi

ronzanti fare miglia e miglia di parole come
lenti passi. Dire alla luna – son tornato, vecchia
amica! – Ma è una terra straniera il mio petto.

Non mi è permesso sognarvi voli arditi di
libellula. Talvolta, le notti, non più distante pare
la porta di casa e gemo, gemo d’amore folle
fra le dita le mie canzoni.

 

***

 

I tuoi occhi staranno senza eccezione

fra i teatri più animosi della luce, li vedo già coperti da lenti scure
Non si parlerà di
risurrezione senza scrivere in calce
la parola malleveria, senza associare il tuo respiro a
qualche grossa banca.
Vendono le nostre mani nel mercato
in piazza, amore.
E giro con la moneta del sole fra le dita
non è poi così calda, sai?
Ma fa ribollire il
sangue
Ed ogni cosa è aceto. Fresco contro l’arsura delle arroganze.
So che guardi costeggiando questo mezzo buio su poche
vecchie cose portate da amici
che non vedo da anni

so che guardi e stendi il velo della bellezza senza che firmi in cambio nes
sun assegno e il mio animo sobbalza quando ti siedi e
stranamente la sedia non diventa
un trono.

Ma ti accoglie come accoglierebbe chiunque.
Non ne so costruire

E’ di questo che mi vergogno, perché cerchi la sosta, ed io qualcosa
da non finire. Continuerò a contare le cose che non
sono accadute, cose andate in malora per via
di certe parole.

I balconi lasciati alle pietre, alle erbacce.
Ma il mio cuore è un’isola
incantevole, ogni infarto da poco lo ha fatto –
non ci sono tesori al mondo, amore.
L’anima è aria, desiderio.

E anche gli ultimi smetteranno
di parlare.

 

(da Primi sintomi di una gravidanza,  Aletti Editore, 2012, Collana “Gli emersi – Poesia”)


Una poesia, quella di questo giovane Autore da non perdere di vista, complessa e pregnante, ricca di inaspettati rimandi, giardini in cui perdersi in mille sentieri percorsi con la mente e il cuore aperti alla sorpresa. La parola assume significati talmente personali, che definirla polisemica risulta riduttivo. L’estensione dei concetti spazia nelle metafore, di straordinaria efficacia e dai contenuti sempre originali. Senza forzatura, ed è così evidente nel porgere di Elia una grande cultura mai esibita, tacitamente, quasi pudicamente lasciata trapelare tra i suoi versi naturalmente eleganti.

Il pregio di questa poesia è soprattutto quello di essere concepita nell’intimità più disarmata del poeta, e nell’essere poi espressa, proferita, non tanto come impulso liberatorio, quanto per una volontà di esternazione che prescinde dall’essere accolta, che manifesta una sua dignità per il solo fatto che è venuta alla luce.

 

Dichiaro di voler leggere eventuali successive raccolte pubblicate dall’autore per seguirne la futura scrittura, riferendone in questa rubrica.

13 / 2 / 2015  Roma

Cristina Bove

Redazione
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5 Comments

  • Grazie a te per esserti fatta tramite di poesia, Cristina. Confidiamo anche noi nell’attenzione dei lettori, divenuta ultimamente più distratta…
    annamaria ferramosca

  • Cara Annamaria, ringrazio te e la redazione di aver accolto la mia proposta sulla poesia di Elia e di avergli offerto l’opportunità di farsi conoscere in un sito letterario di prestigio come questo.
    Confido in un futuro interessamento anche da parte dei lettori.
    cb

  • Una voce, questa di Elia Belculfinè, segnalata dalla talent scout Cristina Bove, che ci ha convinto e che vogliamo incoraggiare. E’ voce capace di attraversare tradizione e innovazione con spessore di sguardo e leggerezza del dettato, offrendosi con una straordinaria naturalezza( come sottolineato da Cristina Bove) che mai prevede lo studiato artificio, errore frequente negli esordienti.
    Nel primo testo è ancora evidente l’eco novecentista, con quell’ andamento tra narrativo e nostalgico, la facile metafora città di fuoco-poesia e il richiamo alla luna amica dei poeti. Nel secondo testo sorprende una scrittura che, con elegante fluidità di forma, si addensa di scene visionarie, dove il poeta insegue il proprio sogno destinato e appare nitido e centrato questo suo quotidiano ” cercare qualcosa da non finire”. Che è e sarà l’incessante compito del poeta, come l’autore ha ben compreso.
    Un grazie a Cristina per questa proposta, con i nostri auguri al giovane autore,
    Annamaria Ferramosca

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