POESIA CONDIVISA N. 25: “Il bello del presente” di Roberto Minardi

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Il banco dell’opera

non c’è finestra ma una lampadina
ricorda l’olio spalmato l’odore
lo stridio della leva che gira
che porterà la pressa a stringere
ricorda le ore del laboratorio
pensava non servisse l’aggiustaggio
il professore che non insegnava
spesso esclamava che minchia fai
tutti indossavano un camice blu
prima di allora si era immaginato
a fare il meccanico di auto
per avere le unghia annerite
strofinare le dita contro un panno giallo
mentre spiegava il problema ai clienti
imparò la sua scarsa manualità
o meglio il suo timore di provare
a risolvere i guasti da sé
da sempre schiaccia parole
su spazi vergini
è lì che sembra vivere e aggiustare. 

 

ma’

sopra la spalla un canovaccio;
aspira senza indugio, con un gesto elegante,
poi si rimette a lavare i piatti –
i pensieri di mia mamma
sono la poesia forte dell’amore propulsivo,
figlio per figlio, rinunciandosi. mi calma
la tenera visione delle guance.

 

pa’

mio padre appaga
il bisogno di nomadismo
con la caccia nelle valli
in compagnia di un cirneco che ha fame,
nicchia, allarga e stringe le narici
lungo il percorso e alla base dei tronchi.
mio padre in spalla porta
il fucile dei suoi western:
yul brinner, clint eastwood, giuliano gemma.
non gli si può negare il pianto
quando, la domenica,
riporta un coniglio per farlo
col sugo o alla cacciatora
e gli scarponi lascia sull’uscio
e il fodero di cuoio appoggia al muro
e la camicia odora di campagna.
mio padre, il suo volerci deliziare
dopo varie pallottole.

(da Il bello del presente, Edizioni Tapirulan, Collana Impronte, 2014)


 

“Il bello del presente”, ci dice questo libro, è che è qui e ora; non rompe, anzi, continua il passato, e non parla ancora della sua fuga nel futuro. Ciò non significa che il presente non tenga conto della tensione, del campo di forze che lo circonda e informa, per esempio del “suo volerci deliziare/dopo varie pallottole” (allo stesso modo del pa’ nella poesia omonima…).   Inoltre, che si pensi il passato e il futuro come estremi che non si congiungano o, viceversa, contigui su una circonferenza, è la tensione che  li mantiene a filo del presente e non li fa collassare (nel buco nero, omnicomprensivo).

Allo stesso modo, i versi e le loro ispirazioni non debordano dal  presente quotidiano, semmai ne sono  la traccia cinetica, turbata e spaesata, vera e propria oscillazione di alto/basso, fuori/dentro.   Allora sono altrettanto necessari il “timore di provare”, “la tenera visione delle guance”, lo strofinare per una cancellazione o, viceversa, per uno sprigionamento.

Certo, se l’autore non utilizzasse, come invece qui fa egregiamente, il dettato necessario:  efficace, raffinato,  essenziale, il risultato confliggerebbe con lo stesso filo e con il suo auspicabile, anche se precario, equilibrio.

Perché, infine, il passato non si può cambiare (ma sentirlo come radici o soffioni sì…),  il presente  e il futuro sfuggono (e per fortuna) ad ogni deterministica imposizione:  dunque tutto non si può  aggiustare, però qualcosa sì, magari provandoci per fissaggio/estrazione di parole (come fa chi scrive: ”da sempre schiaccia parole/su spazi vergini”), vere e proprie puntine o schizzi a fermare-ricordare il succo, del ricordo, della tensione da o per, del qui e  attraverso…

Dichiaro di voler leggere eventuali successive raccolte pubblicate dall’autore per seguirne la futura scrittura, riferendone in questa rubrica.

Margherita Ealla

Margherita Ealla
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