Emanuel Carnevali: “Ai poeti e altre poesie”

Carnevali

Il prezioso libretto pubblicato dalle edizioni Via del vento nella collana acquamarina, per i poeti stranieri, e che porta il numero 47 è dedicato alla poesia e alla memoria di un personaggio singolare e potentissimo, Emanuel Carnevali (Firenze 1897 – Bologna 1942). È dunque un’eccezione, visto che si tratta di un poeta nostrano (che scrive in lingua straniera). Eppure nella raffinata e nuova traduzione (e curatela) di Elio Grasso si ridà voce a un poeta dimenticato o poco letto (nonostante anche Adelphi lo pubblichi e lo ristampi dal 1978) che è, a ragione, riconosciuto come erede spirituale del “maledettismo” di Rimbaud e di Campana e che, trasferitosi in America, non solo scrisse in lingua inglese, ma riuscì a influenzare l’ambiente della poesia americana d’avanguardia. Dunque Carnevali è italiano ma nasce in poesia solo a partire dal suo insediamento in terra statunitense, dove proprio tra le torri e le altezze d’oltreoceano testa per la prima volta la capacità inventiva, stilistica e immaginifica. Nella sua biografia tormentata e difficile appaiono nomi incontrovertibili: da Waldo Frank a Carl Sandburg, da Ernest Walsh a Williams Carlos Williams. Suoi amici saranno anche Pound, McAlmon e Boyle. Carnevali, autodidatta per la lingua straniera, imparata leggendo le insegne luminose nelle strade di New York, si reinventa – quasi – di fronte alla maestosità pratica di una città enorme e piena di possibilità, soprattutto grazie a un genio innato e una voracità di conoscenza. Il volume che porta il titolo di “Ai poeti e altre poesie” contiene solo diciotto testi scritti tra il 1918 e il 1931, un piccolo assaggio di quelle scritture che, per certi versi, riuscirono a scardinare un modo ormai dato (e datato) di far poesia. Lo scrive proprio Grasso nella sua precisa postfazione (La funzione Carnevali): “ben presto venne riconosciuto come una scheggia che, pur impazzita,avrebbe dato una svolta alla ricerca poetica”. Lo stesso curatore registra, altresì, come fu intesa da un intellettuale quale era Williams la virata (ormai ineludibile) dei tempi sia intellettualistici sia più specificamente poetici. Nel 1925, infatti, l’intellettuale americano chiuse la sua rivista «Others» non senza aver dedicato l’ultimo numero al maledetto, nuovissimo e singolare Carnevali. Trasportando totalmente la sua vita disgraziata (i genitori si separano quand’è ancora un ragazzino, vive in povertà e continui spostamenti, viene cacciato dal Collegio Foscarini di Venezia per una presunta tenera amicizia con un suo compagno, a soli diciassette anni parte per il Nuovo Mondo, si sposa, si separa e soprattutto si ammala di encefalite letargica che gli impone di ritornare in patria. Da allora in poi vagherà per cliniche e ospedali fino alla sua dipartita) in un lavoro di lingua immaginata, rapita dai marciapiedi e piegata al suo racconto totale, di spirito e corpo fiaccati ma lucidi e prepotenti, Emanuel Carnevali crea nuove ragioni, immagini e insulti pure troppo funzionanti. Tutto il vissuto parallelo alla scrittura – dove parallelo indica solo un non-luogo secondo uno schema razionale ma, a ben vedere, la sovrapposizione tra vissuto e scritto è totale – , però, lo rende “manufatto d’epoca, qualcosa che dovrà tornare al mittente”. A quarantacinque anni, infatti, prenderà commiato dal mondo, in Italia, lasciando evidenze e istruzioni come queste: “poiché nel suolo fertile degli anni / le vostre voci finiranno mutando in tuono / la vostra musica muterà in vento che monda e genera” (dalla poesia “Ai poeti”).

da “Ai poeti e altre poesie

Il lago *

Seduto su una panchina di fronte al bel lago di Dio,
una bella poesia a Dio.

Lago Michigan,
l’amore, un povero corpo infermo conservò
(filtrato dal filtro di mille notti penose),
un povero corpo infermo lo diede tutto a te.

Il tuo assenzio
mi ha intossicato.

Sorgendo dalle tue acque,
ora di fronte ai miei grandi occhi
c’è una macchia impazzita di luce,
e la città stesa qui davanti m’invita da un’enorme curva:
“vieni, entra, conquistador!”

La linea del tuo orizzonte, pura e lunga, si lega a entrambe le parti infinite,
dove la nebbia si stende come pace.

Corteggiai la morte, nuotando;
vidi la morte correre sulle ombrose creste;
mi girai perché mi gettavi acqua negli occhi,
e risi alla morte, come suo fratello, il diavolo.
Apristi di colpo le porte del cielo,
e là stava il tremendo sole.

Lago, dorato il mattino,
sono emerso da te
come un Nettuno d’acqua dolce;
l’acqua suonò campanelli
scorrendo
sulla mia carne.

Lago, giardino dei colori,
dolce bocca sospirante di Chicago,
le parole muoiono fra le dita dell’uomo malato,
come bambini muoiono a un povero padre.
Prendi la mia promessa, lago.

(Dicembre 1921)

* Nell’agosto del 1920, Emanuel, già malato, trascorse, anche per l’aiuto degli amici, un periodo felice in completa solitudine nelle Dune dell’Indiana, presso il sobborgo di Chesterton sul lago Michigan, a est di Chicago. Dormiva in un rifugio quasi distrutto dal fuoco in una vecchia imbarcazione arenata e il giorno lo trascorreva standosene nudo sulla sabbia o nuotando al largo nel lago.

 

*

 

Canzone italiana

Finché le tue labbra sono rosse,
finché i tuoi occhi ardono,
fino a quando
ridiamo della sorte
insieme,
bambola.

Finché abbiamo denaro,
finché la polvere della vecchiaia
mi entri in gola e che non possa più cantare…
Finché Dio ci guardi.

Finché tu guardi quell’uomo
dagli occhi più neri dalle braccia più forti,
finché la iella mi prenda,
finché l’inverno,
finché Dio ci guardi,
finché Dio ci guardi!

(Febbraio 1919)

 

*

 

Quasi un Dio

Sto morendo alla mercé di questo caldo
ma potrebbe esser peggio.

Amo mia moglie
ma dovrei amarla di più.

Amo la mia ragazza ma il suo amore dovrebbe essere più universale.
Soltanto una parola la descrive ma non so quale sia.

Tutto è più breve di qualcos’altro:
tutto è più uguale a Dio di qualcos’altro.

C’è competizione nel caos,
una cosa molto stupida.

Sono dubbioso come un ramo di salice
che curvo ammicca all’acqua.

Ammiro il diavolo perché lascia le cose incompiute.
Ammiro Dio perché tutte le completa.

(Ottobre – Dicembre 1931)


 

Manuel Carnevali nasce a Firenze il 4 dicembre 1897, da Tullio e Matilde Piano, dopo che i suoi genitori si sono già separati. Emanuel (come più tardi si farà chiamare), rimane con la madre, la zia e i due figli di questa. La morte del nonno materno determina un difficile periodo di povertà e spostamenti: Pistoia (1901), Biella (1905), Cossato (1906). Nel 1907 la madre, morfinomane, muore di tetano. Nel 1909 il padre, commissario prefettizio a Bazzano (Bologna), si risposa. Nel 1911-’12 Emanuel frequenta il prestigioso Collegio Foscarini di Venezia, ma viene rispedito al padre forse per una sua amicizia intima con un compagno. A seguito dell’ennesima frattura dei rapporti col genitore, nel marzo ’14, a soli diciassette anni, s’imbarca per New York dove farà i mestieri più umili e imparerà l’inglese leggendo di notte le insegne luminose nelle strade che spazza. Inizia a pubblicare poesie e a frequentare gli ambienti intellettuali che in quegli anni determinano la svolta ‘modernista’ nella letteratura americana: Waldo Frank, Carl Sandburg, Ernest Walsh e Williams Carlos Williams. È soprannominato il “black poet”, per il suo carattere ribelle, oscuro, indipendente, spesso impossibile. Nel ’17 si sposa ma dopo due anni lascia la moglie. Gli eccessi della sua vita da bohémien e una malattia terribile, l’encefalite letargica, causano il suo rimpatrio, nel ’22. Il resto della sua vita trascorre tra cliniche e ospedali, visitato e spesso sostenuto economicamente da artisti quali Ezra Pound, Robert Mc Almon e Kay Boyle (che ne riporta il ricordo di un uomo «meraviglioso, completamente tremante, come una farfalla fissata con gli spilli»). Muore in un ospedale di Bologna, l’11 gennaio 1942, strozzato da un boccone di pane.

*

Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Poeta, critico, traduttore, ha pubblicato le raccolte di poesia Teoria del volo (Campanotto, 1981), Avvicinamenti (Ripostes, 1983), L’angelo delle distanze (Edizioni del laboratorio, 1990), Nel soffio della terra (Guardamagna, 1993), La prima cenere/Conservatori del mare (Edizioni del laboratorio, 1994), La soglia a te nota (Book, 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto, 2004), E giorno si ostina (puntoacapo editrice, 2012). Del 1988 la silloge Il senso naturale delle cose (nell’antologia di Vanni Scheiwiller “All’insegna del pesce d’oro”, 1989, Premio Montale per l’inedito). Ha tradotto Four Quartets di T.S. Eliot (Palomar, 2000), una scelta di sonetti di W. Shakespeare (Dell’amore, Barbes, 2012), 18 poesie di E. Carnevali (Ai poeti e altre poesie, Via del vento, 2012). Ha curato un’antologia dello Zibaldone di pensieri di G. Leopardi (Un solido nulla, Pirella, 1992).
Scrive per le riviste “Poesia”, “Steve”, “Pulp libri”, “La mosca di Milano”, “La clessidra”, “Gradiva”, “Italian Poetry Review” e in alcuni blog letterari. È stato tradotto in inglese da E. Di Pasquale, in francese da J. Baptiste Para, in rumeno da E. Macadan.
Del 2014 è il suo primo romanzo “Il cibo dei venti” edito per i tipi di Effigie.

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