TIGRE CONTRO GRAMMOFONO, SERIE 2: OZWITZ, 4.

icona TCG 2, 4Un paradosso risiede nel fatto che il campo semantico di stamm – della stirpe, e correlativamente della radice , abusato dal linguaggio di regime, sia di fatto riconducibile all’essenza della tradizione ebraica, alle riflessioni della Qabbalah. Gershom Scholem ha scritto che l’«albero» delle potenze divine, che secondo il Sefer ha-Bahir – il più antico di tutti i testi cabbalistici – è formato dalle sefirot, appare costituito in Isacco il Cieco dal ramificarsi delle lettere di questo grande Nome. «La radice [della lingua e delle “cose” spirituali che sono le parole di Dio] consiste in un Nome, poiché le lettere [nelle quali esso si articola] sono come rami dall’aspetto di fiamme che si muovono tremolanti, sono come le foglie dell’albero, come le frasche e i rami che nell’albero hanno pur sempre radice … e tutti i devarim pervengono alla forma e tutte le forme [in ultimo] derivano dall’unico Nome, così come il ramo procede dalla radice. Perciò tutto è contenuto nella radice, che è l’unico Nome»16. In questo senso la conoscenza del linguaggio corrisponde alla conoscenza del mondo, una posizione diametralmente opposta a quella del nix ferstanden (in cui non si conosce il linguaggio altro, e quindi il mondo altro); Aldo Andrea Cassi ha scritto che ai giuristi i sovrani affidarono il compito di dirimere i dubbi e di attribuire al Nuovo Mondo e alle sue res un adeguato statuto giuridico. Uno statuto giuridico, quindi una realtà culturale, che era ad esse sconosciuto, estraneo, «altro», ma che costituì per gli europei la principale forma di comunicazione tra i due mondi, il segno intercorrente tra le due civiltà. […] L’America rivendicava una nuova imago mundi, costituita da una nuova geografia e da una nuova astronomia, da una nuova botanica e da una nuova zoologia e, infine – non poteva essere altrimenti – da un nuovo diritto; quella immagine, tuttavia, dovette utilizzare le antiche categorie del mondo conosciuto, rinnovandone al contempo i contenuti2.Walter Pitts ha detto che tutto sommato siamo d’accordo che, in un certo senso del termine, in ogni battuta è necessaria una ristrutturazione della situazione. E probabilmente siamo anche d’accordo che, per sortire l’effetto desiderato, il tutto dev’essere abbastanza improvviso. La ristrutturazione spiegherebbe il caso, portato da Fremont-Smith, dell’uomo privo di senso dell’umorismo perché incapace di ristrutturare il proprio punto di vista. […] La barzelletta va considerata nel contesto della persona che la ascolta e dei suoi trascorsi. La quinta volta che si sente una battuta difficilmente si ride. Naturalmente, in quel caso, manca la ristrutturazione perché, in definitiva, si è in grado di prevedere l’andamento futuro della barzelletta3. Sigmund Freud ha scritto che la cosa migliore per un mortale sarebbe di non essere mai nato. «Ma», continua il commento filosofico nel Fliegende Blätter, «questo capita sì e no a una persona su centomila». Quest’aggiunta moderna a un antico detto è una assurdità evidente, resa più sciocca dal prudente «sì e no». Ma l’aggiunta viene posta accanto alla frase originale come una limitazione indubbiamente corretta, ed in questo modo ci apre gli occhi sul fatto che una frase solenne, accettata come un esempio di saggezza, non vale di per sé molto di più di una assurdità. Chiunque non sia nato non è per nulla un mortale, e per lui non esistono il bene ed il meglio. Così in questo motto di spirito l’assurdo serve a scoprire ed a dimostrare un altro assurdo4.


 

1             Gershom Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Adelphi Edizioni, 2005, pp. 47-48
2             Aldo Andrea Cassi, Ultramar, L’invenzione europea del Nuovo Mondo, Editori Laterza, 2007, pp. 21-22
3             Gregory Bateson, L’umorismo nella comunicazione umana, Raffaello Cortina Editore, 2006, pp. 32-33
4             Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Newton & Compton Editori, 2004, p. 66

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Luca Rizzatello
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