Catafisica della luce. Note su “Fotometria” di Giusi Montali

foto copertina fotometria

Non c’è peggiore calamità, con il fallout nucleare e le cadute di meteoriti, di chi parli scriva o pubblichi libri senza cognizione di cosa sia veramente un libro.
Ne abbiamo giusto uno tra le mani (G. Montali, Fotometria, Prufrock spa, 2013), felicemente sbagliato nella grafica esterna, così fuori centro (L’asymétrie est jouvence, recita René Char in uno degli eserghi), materico al tatto e dall’immagine opaca: mio magma dello stare […] mio stare eccitata | sui bordi, sugli orli. Di più: lo abbiamo attorno, quel libro, avvolti da linee di campo che se ne generano in quanto evento (dove non sai discernere il fatto editoriale dall’opera, ma ad autorialità miracolosamente intatta). Basti un caso: la spirale in copertina, generatrice di sviluppo e figura dell’io poetante, è oggetto reale, una fettuccia di piombo divenuta Loomen, cortometraggio d’animazione[1], tra le mani di Nicola Cavallaro e Luca Rizzatello[2]. Lì c’entra eccome la luce, e le due opere ac-cadono insieme, creano intorni, fanno situazione. È moltissimo, in un tempo di sciatterie orgogliosamente esibite o di bellismi da marchettari in folio.
Ma urge appunto parlare del libro: lo si farà in note sparse e dandone per acquisiti il profilo strutturale e i contenuti di prima lettura[3].

Je est un corps

In solo apparente antitesi col titolo, che afferisce ad ambiti di immaterialità assoluta (teoria corpuscolare a parte), il tracciato di Fotometria si sviluppa insistendo prepotentemente sulle declinazioni del corpo e da esso (corpo-esistenza, corpo-identità) pare generarsi. Lo stesso procedimento compositivo ingaggia un tesissimo pòlemos tra il linguaggio, come zavorrato dalla ricorsività ossessiva di certi lemmi-pania (l’area semantica includeparti e membra: lingua, ossa, pelle, sangue, braccia, gambe[4]…), e l’impeto ad infrangere, a varcare, per disarticolazione[5] sovente crudele il MIO MAGMA DELLO STARE | MIO VIOLENTO ANDARE | MIO RESTARE DI FORZA | NELLA NOTTE CHIUSA […] – leggi il maiuscolo come massa inerziale, più che grido.
Crudeltà artaudiana, ovviamente, che introduce questioni cruciali. Scrive Derrida[6]:

Perseguendo una manifestazione che non fosse un’espressione, ma una creazione pura della vita, che non cadesse mai lontano dal corpo per scadere in segno e opera, in oggetto, Artaud ha voluto distruggere una storia, quella della metafisica dualista (…): dualità dell’anima e del corpo che fonda (…) la dualità della parola e dell’esistenza, del testo e del corpo (…).

Dis-fare il corpoè ovviamente ripudio di quanto in esso sia convenzione sociale, istituto (familiare anzitutto, e ne parleremo), pubblico dominio tradotto dalle immagini dell’involucro o del carcere[7] di quel platonismo di risulta, cioè, corrivo e violentemente autoritario che esiliando o incarcerando il corpo ha anestetizzato la parola, sottraendone anima ed esistenza. Il discorso di Montali procede da qui, da un’insistenza quasi glossolalica[8] (ancora Artaud) sui termini dello smembramento[9], per restituire il corpo a una soggettività rifondata per espansione e propaggine: dopo questo suicidio del corpo in rivolta, ad ossa annerite arrotolate sarà possibile dire ecco sono una passeggiata rischiarata da suoni: | sono le stelle disseminate[10] (…). Prima di indagare come ciò possa darsi, converrà riflettere sulla voce di un corpo siffatto, risolvendo un’apparente aporia.

Ego reductus

L’articolazione/disarticolazione del corpo di Montali riverbera prepotentemente sull’io, non solamente in forza di un’attitudine fondamentale del suo dire processuale, quella di apertura/chiusura (l’altra è anabasi e sprofondamento, volo e caduta) per cui il dire poetico si fa rivolta contro la claustrazione imposta dalla datità della persona-carne e della parola che lo pronuncia, ma anche perché tale operazione è condotta sul corpo stesso vivente della gramatica. Attraversando i 44 componimenti di Fotometria siamo investiti dai detriti di una esplosione del soggetto[11], sin dal dipolo (oppositivo, non dialogico) d’apertura: mi hai scritto di un linguaggio inventato | ma io preferisco | la scienza lieve dello sguardo | la prossemica infranta | la limatura del corpo [appunto!] | la sospensione dei sensi. È notazione banalmente biografistica ricordare che Montali è studiosa di Amelia Rosselli e Alfredo Giuliani ma qui, per vie originali, l’autrice sembra perseguire una sua propria riduzione dell’io – alla lettera, re-ductio, più dislocazione che obliterazione. E dunque: vale ancora l’antico j’accuse?

E perché mai l’espressione del soggetto si dovrebbe realizzare mediante riduzione del soggetto medesimo? Delle due l’una: o il punto non è l’espressione, bensì il referto (appunto la riduzione dell’io a “cosa”) […] o il problema è l’espressione, e allora perché ridurre l’io, magari fino a cancellarlo?[12]

Questione già dapprincipio mal posta, perché fatta vertere sulla forzosa opposizione tra il soggetto e il suo residuo reificato. Lo ripetiamo: non di una dualità secca si tratta quanto piuttosto, da un lato, di uno sforzo di allargamento e re-istituzione dell’io (senziente, percipiente e proprio perciò rifratto[13]), al modo di Artaud; dall’altro, di una vocazione cosmica, attraverso il paradosso di un antiplatonismo perseguito per via neoplatonica.

Una nuova anima mundi

Montali umanista, dunque? È necessario intendersi.
Lo è anzitutto per lo sforzo, evidente nel suo plurilinguismo uniformemente accelerato[14], di superamento della letterarietà e dei suoi istituti (della maledettissima tara petrarchesca, diremmo noi): in tal senso vale parlare piuttosto di umanismo, luminosa morta gora della tradizione italiana, sempre minoritaria e perdente[15].
Ma lo è ancor più per la marca ficiniana del suo umanismo.
Significativamente medico, oltre che filosofo ermetico, dobbiamo a Ficino il più formidabile tentativo di unificazione olistica dell’universo: il suo concetto plotiniano di anima fluida fa della stessa il mezzo di ricongiungimento di natura e pensiero, macro e microcosmo, mondo e soggetto. Lo oppone inoltre a Platone la sussunzione delle idee, non più iperuranie, ad una psiche capace di cogliere per sprofondamento [!] in se stessa la propria coessenzialità all’anima mundi e niente affatto disgiungibile da ciò che è natura[16]. Ora, nel De vita il filosofo suggerisce di costruire l’immagine dell’universo collocando nel soffitto del luogo più intimo, la propria camera da letto, “un’immagine dipinta che [ne] sintetizzi in sé l’unità e la complessità”[17]. Montali a sua volta intitola La camera una sezione del suo libro (la prima della darkness katabasis), declinando geometricamente le idee di occlusione e reclusione che di lì in poi le saranno cruciali, sino all’adombramento finale di un qualche au delà. Si situa a questa altezza uno dei varchi cui si accennava: la moltiplicazione delle persone e la disarticolazione del corpo, loro paradossale ubi consistam, si fa sguardo rifratto e pluralità di voci linguistiche ed è atto di fede nella possibilità di un qualche atto ordinativo non autoritario né scontato – possibilità la cui cura è consegnata al soggetto nel darsi stesso della sua crisi.

Il corpo geometrico

Ecco dunque un’altra delle ossessioni di Montali: l’attitudine demiurgica al controllo, tradotta in termini di geometrizzazione della materia (evidentemente ardua, conativa: mais tu qui pensais au monde encore | come a una sfera rotonda congruente te lo ritrovi ridotto a un nessun posto che cola | anafora delle traslitterazioni, allitterazione | dello spazio […] pozza nera che non sa significare – si noti: è il mondo a dover significare, non il linguaggio). Qui il catalogo è smisurato[18]; ne trascegliamo quanto ci permetta di introdurre l’ennesima dimensione, quella dell’eros.
Si è detto sin qui di un corpo ricettivo e sensibile, dunque passivo. Ma non si dà discorso intorno ad esso che ne ignori l’aspetto pulsionale. La cosa sospinge il lettore, nella lista di memorie depositate in questo libro, sino certo Settecento, all’esprit de géometrie applicato alla materia erotica[19]. I passi sono espliciti e una lettura sequenziale ne evidenzia la linea di sviluppo coerente. Leggiamo.

ti succhierei le pupille a movimenti
lenti, rotatori: piccole biglie
da ingoiare 

                               ricambia la cortesia
chiudendo il corpo, comprimendo i lati
appianando le asperità e reclinando
il collo sotto le mie labbra tremanti 

 

(…)

MIO STARE ECCITATA
SUI BORDI, SUGLI ORLI 

 

l’aria si sfalda, l’aria nella città si rinsalda
attorno ai tuoi occhi desideranti

(…)

siamo incostanti, sfranti amanti nella città
che ci perde e ci ritrova

(…)

curvare le vetrate, spalancare
il sangue purificato

(…)

e apro ancora una volta le lenzuola al caos

(…)

 

(…) desideri un uomo

hai fame, discendi
e sali scale di case 

 

(…)

mi sei chiave e luce che apre
l’ombelico gonfio e scuro

(…)

sarò pesca che si taglia
nel mezzogiorno dell’estate[20]

 

(…) la donna alza il braccio e disegna
una curva e l’uomo si china alla notte che entra 

mi dici che nuova è la pelle che si stende tra il collo
che ti accarezzo con la guancia, nuovo il sapore
della frutta che scioglie il silenzio nel buio

(…)

 

nell’iride chiusa la donna si distende sulla schiena
inarcata e l’uomo ne guarda la luminescenza

Si noti, en passant, come anche in tale ambito la luce giochi un ruolo primario: luce-chiave che (essa, non l’amante) fende l’opacità del ventre[21] secondo modalità quasi “metafisiche”.
Ma soprattutto è assai chiara la marca di tale eros more geometrico: non la natura, non la pulsione è soggetta al controllo, ma è il corpo a farsi gesto e disegno e, per tale tramite, luogo conoscitivo e relazionale (nel primo esempio il contesto è la città come oggetto e spazio, altrove sarà persino civitas[22]): è il corpo ad ordinare ogni rapporto (la significazione è un rapporto!), è l’io-corpo a dire (fragile | io, spiraglio, diagonale | che taglia il disordine | e parla l’altrove inquieto).

Pulsazioni e dilatazioni

È chiaro, a questo punto, che l’ansia di controllo serva ad arginare, disciplinandola, una prepotente spinta espansiva che investe il verso stesso in quanto elemento “vivente”:

L’unico verso valido sarà quello in cui il poeta riuscirà a registrare le acquisizioni del proprio udito e le pressioni del proprio respiro (…) il verso viene dal respiro, dalla respirazione dell’uomo che scrive, nel momento in cui scrive[23].

Il verso proiettivo di Olson, così frequentato da Montali nella seconda parte del libro, ci introduce a una bella scola di campioni illustri: lingua udita che non ignori ciò da cui nasce (W. C. Williams), vita che diventa parola alla sua stessa sorgente (D. H. Lawrence), presentazione diretta (E. Pound), visione spontanea e originaria (A.Ginsberg) – ma perché non Sanguineti, Rosselli e il Giuliani che, nello stesso anno de I Novissimi, esplora Olson in un numero del Verri?

Si è già detto abbastanza sull’incorporazione dell’esperienza (di ogni possibile conoscenza, dunque); basti aggiungere che dai sedimenti di tale moto esala il respiro generatore in Fotometria, vieppiù dilatato con l’ampliarsi dell’apertura verso un oltre del soggetto. È questa la risposta all’anafora delle traslitterazioni […] che non sa significare, questo senso fisiologico di un ritmo che si crea ripartendo quasi orgasmicamente da se stesso, per anadiplosi anafore allitterazioni e figure etimologiche come ribattuti o ansiti:

                                                                           eccomi
sono qui tra il plesso solare e una notte corporea esplosa
ecco, sono qui tra le ciglia dischiuse e un fiore lacerato
ecco sono una passeggiata rischiarata da suoni:
sono le stelle disseminate, solamente sole
sicuramente sciolte lente nel buio che illumino

Questo tipo di fraseggio, in piena ortodossia olsoniana, mostra intera la sua potenza d’insidia a ciò che tradizionalmente s’intenda per testo e linguaggio, ne squarcia i limiti, li rifà voce, che è gesto e atto psicofisico.

La spirale e un altro Olson

Omonimia feconda, se ci permette di ragionare sulla spirale come modulo del processo di scrittura in Fotometria – meglio, sull’elica come composizione delle idee di sviluppo lineare e spiralare.
È noto il rapporto di tale forma con il quadrato, figura generatrice, contenitore e germe, e radialmente di ogni suo punto con il centro; essendo l’isomorfismo tra i postulati fondamentali del nostro libro, non sarà difficile coglierne il senso nei termini metalinguistici di una sorta di “topologia del pensiero”[24].
Spirale è dunque apertura progressiva[25], assenza di frontiere[26], processo[27]; è proiezione e tuttavia permanenza, per infrangibile ancoraggio, dello sguardo rivolto a un centro privo di dimensioni ma al contempo indefinitamente spaziante (la si direbbe Angelus novissimus). Si veda la sequenza, da brani diversi:

niente sangue sulla tavola
che non sia il mio, divenuto miele.
i sospiri sono il companatico
e i grafi irrisolti l’intima
traccia delle mie riflessioni 

 

l’aria si sfalda, l’aria nella città si rinsalda
attorno ai tuoi occhi desideranti (…)
siamo incostanti, sfranti amanti nella città
che ci perde e ci ritrova 

 

è un antro che s’incava
si richiude, inghiotte
rovescia, diventa
ventre, inglobando
adagiando 

 

per ritrovarsi nell’inferno del mondo rappreso
camminano nella notte che lievita e si dilata (…) 

 

siamo persi nel deserto (…) 

 

(…) tenendoti le scarpe in un cina africa market
delle disperazioni: un nessun posto che cola 

 

si tu vois au delà, ce n’est pas la lumière (…)
l’antropocene eccolo minaccioso (…) 

 

ossa annerite, arrotolate
corpi ignei, linee grigie

Nell’ormai nota conclusione siamo alla terza persona plurale, genere neutro: non è il “referto” di Manacorda[28], non l’esito di un’obliterazione del soggetto, quanto piuttosto un reperto di ciò che lasciamo de ce côté-ci, o la traccia mnestica dell’intero percorso (ossa arrotolate, come la linea a spirale).

Resta da dire del David H. Olson ideatore del modello circonflesso[29], rappresentazione dei rapporti entro i nuclei familiari basata su due direttrici fondamentali, flessibilità e coesione (interessanti gli estremi: rigidità/caoticità e disimpegno/invischiamento), le cui combinazioni si dispongono per settori di un quadrato e di cerchi concentrici inscritti.

Ora, in Fotometria è presente una sola, apparentemente marginale eco del punto d’origine: considerando, come è possibile, La lingua assolta una breve, proemiale sezione a valenza metapoetica[30], si può intendere che l’esplorazione di Montali inizi da Cartografia del movimento. E il movimento attacca da qui[31]:

tua madre non ti cullava
abbastanza, e rimanevi
sola nel buio
ti svegliavi soffocando 

ora è quasi primavera
nella città ti perdi

(…)

desideri un uomo

(…)

Siamo all’α, il punto d’origine è il legame parentale declinato affettivamente[32] e Montali lancia, nel giro brevissimo di sei versi, una delle campate più ampie introducendo la propria terza dimensione, quella sociale. Le liaisons esplodono: ogni relazione è aperta o vischiosa, mondo e società sono caotici od ordinati sino all’ingessamento da rigor mortis, ci si affranca dalla dipendenza parentale per accesso a dimensioni più vaste, arrischiandosi all’altro e alla città e così via. Soprattutto, quod erat demonstrandum, si attraversano gradi e modalità di relazione movendo a spirale nel quadrato di Olson, dove gli estremi negativi stanno ai margini  (mio stare eccitata | sui bordi, sugli orli), nelle spire più esterne e l’equilibrio è al centro: la massima apertura è la spirale riavvolta (ossa annerite arrotolate), il moto re-istituisce il soggetto.
Ma poiché il soggetto è l’intera spirale, Manacorda ha torto.

L’altra bella scola e la luce

Se il primo Olson catalizzava i processi sull’io-corpo e sul linguaggio-corpo, il suo omonimo ci fa sesti tra cotanto senno ammettendoci a una corte, stavolta, d’illustri scienziati – lo fa Montali, in realtà, col suo capientissimo soggetto.

Dov’è il legame?

Il quadrato di Olson è assimilabile a un campo di interazioni e il primo formulatore di una teoria del campo al di fuori della fisica fu Kurt Lewin, psicosociologo. Gli dobbiamo un ultimo accenno alla spirale, che egli individua quale modello della ricerca-azione (pianificazione di azioni e verifica degli effetti, a ricaduta circolare): così procede la scienza sperimentale, così le scienze umane. In entrambi gli ambiti, non sembra potersi prescindere dall’interazione forte dell’osservatore con i fenomeni osservati e la percezione sociale attiva è un potente ossimoro poiché ribalta specularmente osservazione e azione. Il soggetto ricercatore è in interdipendenza col campo e questo, in aderenza al gestaltismo di cui Lewin è esponente, è un pattern in equilibrio dinamico: in esso la totalità è più della somma delle parti e diversa da essa[33].

Tra concetti siffatti, si noterà, circola una qualche aria di famiglia. Nelle teorie di Maxwell sull’elettromagnetismo[34], ad esempio, ciò che chiamiamo luce è un campo elettromagnetico generato da un moto di particelle; a sua volta, essa eccita le cariche che incontra, trasportando energia senza che vi sia spostamento di materia (mio stare eccitata); da ultimo, in un campo lo spazio è curvo, la luce deviata. Per speculum, è esattamente la condizione dell’io di Montali: in Fotometria non troviamo un solo verbo esprimente movimento, se non come variazione di stato (volo, caduta), corsa sul posto (camminare scalzi, ridendo), o moto figurato accessorio (ti alzi gettandoti nel pozzo; ti ritiri | ma sei assediata; discendi | e sali scale di case) e la visione è spesso distorta[35].

Ciò che si muove (ciò che muove!) è dunque pura energia, luce?

E se l’io fosse un fotone, né onda né materia[36]? Seguiamo i progressi di lievitazione della metafora.

L’io-corpo vede e si eccita per effetto della luce, se ne nutre e ne è ferito, ma vedere mediante la luce significa osservare la luce, misurarla o raccoglierla, per così dire, dai quattro angoli del cosmo: osservare significa Heisenberg, significa Bohr, cui cediamo la parola:

…l’uomo è al contempo spettatore e attore nel grande dramma dell’esistenza[37].

Accade insomma che il principio di indeterminazione includa l’osservatore nel fenomeno sovvertendo le accezioni ingenue del rapporto tra soggetto e oggetto; accade soprattutto che l’indagine sulla natura (ma, attraverso il concetto-ponte di campo, anche sull’uomo e sulla nebulosa delle sue relazioni) reintroduca prepotentemente la soggettività quale elemento perturbatore da un lato, dall’altro come rapporto d’interdipendenza: l’io e il mondo sono il medesimo olon.

Congedo?

Malgrado tale debordante ricchezza di filiazioni si eviterà di ricercare, a mo’ di conclusione, il senso di una qualche lettura univoca del libro, preferendo far leva su un’ammissione dell’Autrice, che cioè l’apertura di Fotometria, la disarticolazione stessa del soggetto che vi canta[38], sia anzitutto disponibilità a differenti chiavi interpretative ovvero, in ultima istanza, appello all’altro.

Chi scrive mal sopporta la poesia sedicente “civile” (a quando una poesia “senza conservanti” o “assemblata in Italia”?) e tuttavia qui, sin dal primo verso (mi hai scritto di… ma io preferisco…), il libro si propone come fatto sociale, la lettura come relazionalità.

È raggio di luce sulla pagina, attraversamento di un campo di forze che lo deviano e mutano, variazione del campo al variare dello sguardo, interdipendenza. È insomma civitas,parto fecondo della crisi del soggetto come monade astratta, statica e conclusa: mehr Licht, Vater!


[1]     Se ne veda il trailer: http://prufrockspa.com/category/loomen/

[2]    In Luce nera leggiamo e vengono i giorni dello stupore | dei cucchiaini che misurano i resti (…) – cucchiaini come link di una relazione non meramente mercantile tra autore ed editore, se il v. 51 di The Love Song of J. Alfred Prufrock recita I have measured out my life with coffee spoon. E, poco oltre, mangiamo le briciole, beviamo | tè, e le giornate sono lunghi | pomeriggi d’aprile (piuttosto crudele, vediamo) ci rimanda a Should I, after tea and cakes and ices, | Have the strenght to force the moment to its crisis? Lo sviluppo spiralare del libro di Montali procede per crisi…

[3]     Forniamo alcuni riferimenti sitografici, la cui rassegna non si pretende esaustiva. Significativi i due incontri-intervista di Bologna, a Letteratura necessaria – Azione 42: http://prufrockspa.com/2013/11/10/giusi-montali-fotometria-a-letteratura-necessaria-azione-42/ e a Spazio 100300: http://prufrockspa.com/2013/10/21/919/ e quello di Vicenza, a SpazioNadir: http://prufrockspa.com/2013/11/05/fotometria-a-spazionadir-stefano-guglielmin-intervista-giusi-montali/. Tra le recensioni, si segnala quella di Stefano Guglielmin: http://golfedombre.blogspot.it/2013/10/giusi-montali.html

[4]     La sezione d’apertura ne trabocca: il sangue si intorbida di saliva | particella illuminata che si inscena | su questa lingua assolta (…), dove lingua è carico di ambiguità paronomastica; ma per membra (spesso disiecta) si giunge sino agli ultimi componimenti: eccomi | sono qui tra il plesso solare e una notte corporea esplosa | ecco, sono qui tra le ciglia dischiuse e un fiore lacerato (…); od ossa annerite arrotolate | corpi ignei, linee grigie, nel distico di chiusura.

[5]     Ricorre a distanza uno slogare la tensione (emotiva, esistenziale ma soprattutto interna alla scrittura di Montali) coniugabile con disarticolazioni propriamente fisiche, sia esterne al soggetto (la città scoppia lacerandosi | lacera incerta il suo scontro nucleare) sia più frequentemente anatomiche: torco la trachea; le gambe mi sono state tolte | portate via e inchiodate | le braccia intorpidite, ripiegate; si aprono le vertebre (…) – le articolazioni saranno | il nostro furore

[6]     J. Derrida, La parole soufflée, in Tel Queln. 20, Parigi, 1965 – l’articolo ha in oggetto i Cahiers de Rodez di Antonin Artaud e in Fotometria (Luce nera VIII e IX) l’alba di Rodez e l’uomo di Rodez sono lucentissime spie ipotestuali. Mette conto, inoltre, menzionare il soggiorno messicano di un Artaud fascinato dai riti del sole nero.

[7]     La stanza (cella, carcere, abisso, trappola: luce nera) è il reclusorio soffocante che informa l’intera seconda parte del libro. Quanto all’involucro: la pelle si tira a lembi; strappi epidermidi; la notte si accende sulla pelle stesa ad asciugare; e lei sogna la pelle che si tira | e le lascia esposte le ossa; i denti | tagliano la pelle, la affondano e | la ricuciono…

[8]    Basti un solo esempio: sono le stelle disseminate, solamente sole | sicuramente sciolte lente nel buio che illumino

[9]    La tentazione di certi rimandi è forte: Distruggerò questo tempio fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo (Marco, 14, 58). Ma la prospettiva cristologica sembra remota dall’orizzonte di Montali.

[10]    In ordine inverso nel libro, dove le ossa carbonizzate servono catastroficamente all’apertura che lo lascia inconcluso, vertiginosa e non scontata negli esiti cosmici (si tu vois au delà, ce n’est pas la lumière | ma la massa oscura che gravita, la forza | l’architettura invisbile, il gesto, l’occhio | il globo espanso, il circolo ellittico) o, non sembri dissonanza, civili (che me ne faccio di queste ricerche | se mi evito a ogni incrocio; conversare | è un’azione anarco-insurrezionalista).

[11]   È bene computare i pronomi, data la significatività del fenomeno. Io ricorre 24 volte, tu 19 (ma vi sono altri 7 pesantissimi tu riflessivi di genere femminile: il totale supera le occorrenze dell’io); 7 sono i noi, 5 e 4 le terze persone femminile e maschile, 3 le terze plurali; compaiono una volta voi e si impersonale.

[12]   G. Manacorda, La poesia italiana oggi: un’antologia critica, introd., Castelvecchi, Roma, 2004. L’autore si riferisce appunto a Giuliani.

[13]   Come, sembrerebbe, nei giochi ottici in voga nel Seicento, grazie ai quali una lente sfaccettata era in grado di comporre, per rifrazione di dettagli da un dipinto-matrice, immagini supplementari. La cosa mise in crisi le accezioni correnti dell’arte come rappresentazione scassinandone la (pluriversa) nozione di “soggetto”, ma la radicalità del discorso di Montali sta nell’assenza di ordigni: se pur sempre di “giochi di luce” si tratta, non si esce dal dominio di una sensorialità diretta che ambisce a farsi psiche – e cosmo, vedremo – per successivi conati e rotture. Cfr. A. De Rosa, Jean Francois Niceron Prospettiva, catottrica e magia artificiale,  Aracne, Roma,  2013

[14]   Amaurosi, nocciolo, antimateria, glaciazione, scannerizzata, radiazioni, stadio flogistico, molecola, corpuscolo, elettrone, vettore A-vettore B, antropocene possono bastare?

[15]   Eppure, da Cavalcanti a Galilei e Leopardi e nel secolo scorso Gadda, Calvino…

[16]   Cfr. l’introduzione di Fabio Botto a T. Moore, Pianeti interiori, Moretti & Vitali, BG, 2008

[17]   Ivi.

[18]      mio stare eccitata | sui bordi, sugli orli; il pendolo ruota sull’asse delle geometrie; saltiamo tra l’interstizio | delle rette che si susseguono; e ci insedieremo tra gli spigoli | che si fanno cerchio; io, spiraglio, diagonale | che taglia il disordine [quasi una dichiarazione di poetica]; nel silenzio | tirato da ogni lato; mi perderei nel deserto | che ondeggia tra i palazzi | e si contrae in geometrie; il vettore A si distingue dal vettore B | per un’inclinazione del piano; il circolo ellittico (siamo allo spazio curvo: cfr. infra,L’altra bella scola e la luce).

[19]   Un fantasma si aggira per i versi e ha nome Liaisons dangereuses. L’altro, di segno diversissimo, è di Amelia Rosselli.

[20]   Would you like to throw a stone at me? | Here, take all that’s left of my peach (D. H. Lawrence, Peach: gli ipotesti involontari sono i più fecondi).

[21]   Il testo dice ombelico, che è figura della relazione originaria e, manco a dirlo, è scuro.

[22]   Cfr. infra, ¶ Congedo?

[23]   Charles Olson, Projective verse, 1950

[24]   Dobbiamo a Lotman tale approccio; cfr. J. M. Lotman-B. Uspenskij, Tipologia della cultura, Bompiani, MI, 1975. Jurij Lotman tipologizza gli atteggiamenti culturali mediante modellizzazioni topologiche.

[25]   La diffrazione del soggetto grammaticale dà luogo al passaggio o a scambi tra prima/seconda persona, terza e noi, voi, loro piuttosto avanti nel libro.

[26]   La stessa diffrazione (cfr. nota prec.) avviene per slittamenti ed è assai debole, o ambigua in quanto principio di individuazione; ma non vi è traccia di diaframmi nemmeno tra dentro/fuori, apertura/chiusura, sopra/sotto né, evidentemente, tra corpo e spazio. Nell’universo di Montali non sembra esservi alcunché di propriamente altro  o alieno – si ammette, al più, l’au delà come oltre, avanzamento, semplicementenuova spira o punto di vista, proiezione dell’io smembrato o moto di sussunzione di quanto è esterno ad esso, su piani diversi.

[27]   Nella spirale, costruzione e sviluppo si identificano.

[28]   Cfr. supra, nota 11

[29]   D. H. Olson et Al., Circumplex model of marital and family systems (1979)

[30]   Si va dalla polarità, affidata alla coppia oppositiva io/tu, tra linguaggio inventato e sguardo-corpo-sensi, alla plastilina che ruota, ticchettio esploso, condizione soggettiva e, in uno, stato del mondo che innescano il movimento.

[31]   Cartografia del movimento, III

[32]   Scelta mirabile, dunque, il pronome di seconda persona.

[33]   Cfr. K. Lewin, Teoria dinamica della personalità (1935). A prevenire tacce possibili d’incoerenza, si ammette l’inconciliabilità del côté ficiniano di Montali con le tracce di Gestalt che vi si possano rintracciare. Uno a scelta dei due termini culturali, perciò, andrà inteso in senso metaforico – metafora assai funzionale, peraltro, se preserva al soggetto, psiche o mente che sia, il suo statuto di olon (per quanto malridotto) cui l’intera realtà sia riducibile. È l’isomorfismo che tentavamo di spiegare.

[34]   Cfr. J. C. Maxwell, A dinamic theory of the electromagnetic field (1864)

[35]   Cfr. l’intera sezione Klesha

[36]   Cfr. Max Planck,  Über die Elementarquanta der Materie und der Eletricität (1900)

[37]   Cfr. W. Heisenberg Fisica e filosofia, il Saggiatore, MI, 1958; N. Bohr, Teoria dell’atomo e conoscenza umana, Bollati Boringhieri, TO, 1961

[38]   Chi legge converrà, ci si augura, sulla natura lirica di tale poesia, dove l’attributo va inteso nella sua accezione più alta ed autentica, di maxima moralia

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Luca Pasello
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