Mia Lecomte: ‘Intanto il tempo’

Mariella De Santis

Mia-LecomteIl titolo dell’ultimo libro di poesia di Mia Lecomte, nella sua qualità non declaratoria data dall’avverbio in apertura, dispone il lettore ad una relazione  dialogica.

Dal titolo già avvertiamo che c’è una premessa, qualcosa di eveniente da altro che è avvenuto e, sostanzialmente, ciò che apprezzabilmente accade è una continuità nello sviluppo della ricerca anzi direi del dis-corso che l’autrice va compiendo da anni. Esso si colloca senz’altro nell’attenzione ad alcune dimensioni dell’esistenza quali la soggettività e la relazione con le categorie del volere, del dovere e del potere che partono dalla non neutralità di chi scrive nel momento in cui  porta nella poesia l’esperienza  di sé come donna. Ma non è una poesia che da questo aspetto venga limitata, anzi. La ricerca linguistica di Mia Lecomte, è caratterizzata da quel suo personalissimo uso di referenze che vengono dalla quotidianità, dall’esperienza concreta, dal mettersi in gioco vivente tra viventi e dal corteo emozionale che a ciò segue ma è sgrezzata da appiattimenti che spesso ritroviamo nei testi di chi tenta di usare in poesia lingua del quotidiano. E questo accade in forza di un’attenzione di Mia Lecomte alla reinvenzione di ritmi, alla rivisitazione di strutture sintattiche sospinte su territori mobili, incerti e resi saldi dalla cura nel pervenire ad un’idea di forma che con la sostanza sia uno.

Il libro è attraversato da un senso di interrogazione, attesa e ricerca di comprensione di quanto ci lega e separa non solo gli uni dagli altri ma anche da noi stessi, dal nostro scopo esistenziale, dai nostri desideri e dalle promesse disattese. Tutto accade complice o forse artefice il tempo, quello terreno che abbiamo in dote  e che non possiamo riportare a uno stato di origine nel quale il danno subito o recato si ripari: ”Quando ritorneranno bipedi/dovranno ripensare alle formule/per convergere su tracciati reciproci/appaiati speculari a se stessi/valutarsi in due ipotesi analoghe/[…]” (ivi,pg. 35) o ancora, “prima che usciamo dalla stanza le cose/cominciano già ad andarsene/si fanno rigide prive di genere/ ad una ad una riprendono tutto/di loro stesse senza un rimpianto/[…]”(ivi, pg. 30).

Colpisce la ricorrenza della negazione, posta ad apertura dei testi o al loro interno, come uno sbarramento: “Non avevo mai pensato al polmone /come a un solido semplice posto a/ illuderci della doppia eternità del respiro/[…]”(ivi, pg. 51) oppure “se le cose non sapessero tutto di noi/ […]” (ivi, pg. 29) e ancora “tutti gli uccelli che restano/ si riuniscono nello stesso ricovero/ non si conoscono non sono nulla/[…]”(ivi, pg.55) e “Non puoi più scegliere neanche la tazza/del tuo prossimo caffè del mattino[…]”(ivi, pg. 17).

Riportando questi pochi versi, ho semplicemente tentato di rendere manifesto il modo in cui Mia Lecomte organizza significati e significanti, la correlazione tra oggetti ed emozioni per arrivare, attraverso l’uso della particella negativa a rendere diffusa quella struggente tensione tra prossimità e distanza che può trasformarsi in estraneità, evenienza questa vissuta come la maggiore offesa dello stare nel mondo. Potremmo ancora soffermarci sulla ferita provocata dalla decadenza dei corpi nel loro essere fragile macchina biologica che può essere umiliata dal tempo, anche per questa via insistendo sulla profonda inalienabile attesa di dignità.

Sì, in ultimo è proprio questo che mi sento di affermare, Intanto il tempo è un libro che pone al suo centro il valore della dignità in senso ontologico. La donna dentro e fuori i molteplici ruoli rivestiti per umana contingenza, gli oggetti che testimoniano del tempo restituendoci ciò che noi abbiamo magicamente affidato loro, le case con i loro segreti  o gli animali che si offrono al nostro sguardo,  si fanno testo, ritmo, figura e parola delle poesie di Mia Lecomte che riesce però a non portarle mai né sul registro narrativo né su quello della prosa. Anche la sezione DELLA BUONANOTTE, che l’Autrice colloca in congedo al libro, non è esercizio giocoso di misurazione con la fiaba,  ma dilatazione di essa attraverso la forma della poesia, da cui emerge la ferita, l’offesa, la perdita che mistificata in forma di incanto, viene inflitta al cuore prezioso dell’esistenza che sta proprio nella dignità di ogni vita, in ogni forma che essa assuma nel suo manifestarsi.

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