“…e quel poeta che a venticinque anni si credeva vecchio…” – prefazione a ‘Bitume d’intorno’ di Luca Ariano

di Gian Ruggero Manzoni

lucarianoIl percorso di Luca Ariano è inscritto in quel suo verso che ho riportato come titolo, e nelle  citazioni di maestri che pone, quale affermazione di memoria, a marchio delle sue poesie. Luca è giovanissimo, affabile, gioviale, ma già segnato dalla vita, dalla storia, dal bisogno di dire. La sua è poesia che racconta, che narra una quotidianità ‘sgretolata’ in cui il tutto convive, s’incastra, ma porta tatuato una dichiarata disarmonia. Incalzante il procedere, vissuto, sacralizzato e ascoltato dagli anziani nei bar della Lomellina o da quegli ultimi partigiani rimasti in vita e stazionanti nei circoli ARCI di Parma. Interrogativo e interrogante è il futuro, più certo il passato, anche se trasmesso tramite un’innalzata tradizione orale, ma pur fonte del mito. Forse ché nell’oggi si nasca già vecchi? Sì, penso proprio di sì, dal come le generazioni di scrittori in versi, targate anni fine ’70 e ’80, del secolo scorso, si pongono, più o meno dichiaratamente (ma i testi non fingono) quali testimoni di un crollo d’idealità e d’identità e, di fronte al tribunale della storia, lo dichiarano senza remore. Resta, in alcuni, un modo di reagire, o, meglio, di re-agire, quello di dare fondo a ciò che resta di una poesia civile, impegnata, accusatoria.  Il dialetto si mischia con l’inglese avanzante, la natura e le geografie familiari si contaminano, tristemente, con i megastore di un’America priva di radici. Si tenta, con l’ironia, di abbassare la soglia del dolore, si tenta di esorcizzare con la ripetizione di aggettivi, neologismi, assonanze-dissonanze, con quella voluta ‘pesantezza’, con quel rotolio, ma la rottamazione di una società e di una civiltà è già in atto. Non esistono formalismi, artifici verbali, strutturalismi che possano stemperare l’ansia e forse, nel giusto, è meglio che sia così. Il mondo è sull’orlo dell’abisso, e il mondo di Ariano, pur essendo un micro-mondo, non è da meno. Balla-traballa, come la morte di Goya sulla fune. Disincanto, ecco il termine, che il ‘bello’ non riesce a rimpiazzare, perché il ‘bello’ è stato sepolto già da un pezzo, ce ne resta solo il ricordo. Così, nella carne di ogni poesia, s’innestano voci-coro, voci-ringhi, voci-stereotipi, voci dell’ignoranza e del preconcetto dilaganti. Il mondo fa il controcanto a Luca e, Luca, fa rimbalzare tali echi nelle sue scritture, quali slogan, quali sconcertanti espedienti di ‘malvivere’. Sono pure biciclettate su argini di canali e una sospirata e nostalgica civiltà agreste a proiettarci oltre, in quel meta-tempo in cui il poeta ricerca una ragione del suo e del nostro esistere, ma, di nuovo, la grettezza e la superficialità si abbarbicano alle ali e fanno precipitare. Ma Ariano non si arrende e continua, come poi noi non ci arrendiamo… e resistiamo (ri-esistiamo).

Grottammare, agosto 2004

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