Alessandro Ricci: ‘Indagini sul crollo’ – prefazione di Roberto Pazzi

di Roberto Pazzi

indagini sul crollo ricci

“… e della vita il doloroso amore”
Umberto Saba

 

«Amerei la vita / pur nella luce dei neon, tra i soffi / della Faema express, le monete / da cinquanta nel piatto, / il trillare idiota dei flipper / laggiù nel fondo»; è nel condizionale di quel verbo amare, in quella riserva del sì, in quell’indugio al suo abbraccio una delle note dominanti della poesia di questo ultimo libro di versi di cui Alessandro Ricci ci ha fatto dono. Percorrendo le quasi quaranta liriche di Indagini sul crollo si ha l’impressione di essere in un regno dei morti dal quale guardare alla vita come a un sogno antico, stupendoci di averla ancora così impressa a lettere di fuoco nel cuore, di averla così struggentemente amata e offesa con i mille nodi che ci ha lanciato per catturarci: i cani e la loro misteriosa dolcezza, i padri disseminati nei volti dei maestri, nei nostri stessi volti allo specchio quando abbiamo raggiunto l’età loro, il mare e la sua ansia d’infinito nei viaggi ad Alessandria, nei viaggi della giovinezza, le donne cui ci ha votato una fatale legge di amore come consumazione delle ossa dell’anima, una cupa brama di ritorno alla madre, un odio e un amore a duello pur se «la mano ozia nel nido delle tue cosce». La grazia che il primo tempo della poesia di Alessandro in Le segnalazioni mediante i fuochi (Piovan, 1985) ci aveva donato, qui è presente a sprazzi, come si ricorda di un sogno ormai solo a lacerti un uomo sveglio da molte ore, verso mezzogiorno, occupato a guidare l’auto nel traffico di una grande città come Roma, l’amata città di Alessandro. Eccola comparire in versi come «Non ho mai desiderato tanto quest’uva bianca», «s’alza un leggero vento, / beviamo dell’altro vino», «sto qui al tavolo, come / alla difesa di un castello»; ma sono echi lontani, il ritmo di questa nuova raccolta è dato da un insistito bisogno di bilanci, da un’urgente necessità di capire che cosa è stato, che cosa ne è stato di «tutto quel cupo tumulto / di tutta quell’aspra bufera», come diceva Pascoli: perché per il nostro Alessandro «Aver conosciuto si dice nosse. Avere nient’altro / è questo». Ecco allora che la lirica di Indagini sul crollo solo raramente si situa ancora nel tempo mentale dell’Eden pagano di Alessandro, quello dell’età ellenistico-romana in cui alcune delle sue più perfette poesie, apparse qua e là su riviste negli anni ottanta, erano collocate.

Questa grave indagine sapienziale, questa necessità di capire e sapere di quale malattia si è ammalata la felicità che portavamo addosso come un alito di bambino innocente (e crudele come l’innocenza della splendida epigrafe di Beppe Salvia), è poi quella che eleva alcune punte del libro fino ai picchi di questi versi di Forse nelle evenienze: «…Come hai fatto a estrarre un cielo / dai tetti e rondini valorose e il colore / ocra della città, o le conversazioni / coi vecchi raccapriccianti dei lungotevere / uno ogni due platani, acqua nelle pupille / annientate, spalle voltate alla marea / dei vivi perché». L’occhio dei quarantacinque inverni romani di Alessandro è nella condizione di più lucida e spaventosa preveggenza; fra poco sarà liberato da tanta lucidità e scenderà la dolce china degli anni per diventare anche lui uno di quei vecchi; ma ora deve odiare quello che vede e santamente amare le forze e le stagioni dell’estate. Amare a quell’età – e il libro è furiosamente dedicato a una donna – è una terribile avventura con esiti incerti,  talora letali: quest’amore che non è poi per una donna, quella (l’ultima?) donna, ma per la Vita, amata col fuoco dei mistici, dei veri poeti, i pochi che ancora Roma continua a darci, anche in tempi sciagurati come i nostri.

Della poesia di Alessandro Ricci so che in Roma esistono ammiratori che mi confortano dell’ingrato silenzio che l’ha circondata, Giorgio Caproni e Luca Canali. Basterebbe che a credere in lei fossero veri poeti come questi per darmi serenità e pace, per non farmi disperare che in questo mondo la Bellezza non sia condivisibile.

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