La buona poesia n.3: Alessandro Assiri

 

[Pubblichiamo di seguito il terzo intervento di Alessandro Assiri su La buona poesia. Chiunque volesse contribuire al dibattito, oltre l’uso dello spazio dei commenti, può inviare la sua propria riflessione rispondendo alla domanda “come capisco che una poesia è una buona poesia” seguendo queste modalità di invioBuona lettura.]

 

La farsa delle nostre credenze delle nostre credenziali

(Amelia Rosselli)

Io non so niente della buona poesia e non so più nulla dei poeti, perchè non riesco più a starci dietro, perchè per giudicare bisognerebbe perlomeno conoscere. Ma in questa espansione infinita della necessità di parola emergono solo atteggiamenti che si possono in maniera raffazzonata associare a un testo.
Ho sempre pensato che anche se non si era poeti una cazzata scritta bene poteva anche capitare, e allora chiedimi come riconosco un poeta perché della poesia oggi non è rimasto quasi niente.

Il problema del riconoscimento è troppo connesso alla forte pressione di tutto ciò che vuole farsi leggere, al punto che la poesia oggi è solo avvenimento senza conseguenze. Credo ci sia una fortissima responsabilità culturale in quello che ha per decenni permesso il fatto che la spinta dell’antipoetico facesse credere che tutto avrebbe potuto essere poesia. In questa spinta alla negazione, in cui è stato trascinato tutto il mondo dell’arte, si è preteso di trasformare tutto in estasi estetica, incrementando una conseguenza di eccesso di vanità. Come tutte le altre cose, il gusto è diventato un escrescenza, effetto di un proliferare di generi che caratterizzavano l’impoetico e allontanavano il lettore che smarriva per strada gli strumenti di giudizio, se di giudizio è sensato parlare, per orientarsi.

La pancia è rimasta come unico arbitro per stabilire delle affinità: questa è la poesia del maalox, quella costretta a fidarsi del disturbo. La poesia istintiva che si riconosce per educazione sentimentale mi mette tristezza; questa nostalgia empatica che sembra diventato l’unico metro di lettura mi avvilisce.

Come riconosco una buona poesia vuol dire sapere come si riconosce un incontro; e anche se questo vale per tutta la letteratura, il “vieni qui” a cui la poesia ci chiama meriterebbe di essere ascoltato sinesteticamente. Sinestesia come contaminazione dei sensi, unico strumento per una percezione dell’accadimento poesia, perchè questo occorre sempre tener presente : una buona poesia è un accadimento, un incedere del presente.

La poesia dove non si scorge un Dio che nasce mi interessa poco. Nella mia concezione di poesia esiste sempre un volto che irrompe verso l’io; in questa irruenza scorgo anche epidermicamente quella che per me potrebbe diventara buona poesia, perché un testo non è mai buono subito: si forma nel riconoscimento, nella trasformazione di una iconologia del presente. Basterebbe forse cercare di azzerrare la distanza tra il dispositivo e la domanda, invece, spesso, la poesia contemporanea vorrebbe ridurre lo spazio tra il volto e il nome.

Una buona poesia è uno spiazzamento comunicativo, non una forzata risemantizzazione. Credo che sotto certi aspetti la poesia vada istigata a rivelarsi, a darsi nei suoi sapori. E forse è arrivato il tempo di smettere con questa lingua da centrifuga per tornare al punto zero dell’immagine a parlare di scrittura.

Alessandro Assiri
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3 Comments

  • Voler negare la difficoltà di sviscerare il significante, incontrare la soglia per entrare nel pensiero originario – non è necessario – entrare solo nelle parole, percorrere i vuoti, rispettare i silenzi, ammaestrare la musicalità dettata dai segni – poesia significa anche accoglienza-
    an ma

  • Concordo pienamente.
    C’è poi un aspetto nella domanda “come si riconosce una buona poesia” che mi turba e che si ritrova in molti altri ambiti della nostra società, cioè l’urgenza non solo di sapere subito tutto, in questo caso sapere subito se una poesia è buona o no, ma addirittura l’urgenza di poter dirsi subito consapevoli del sapere e di dire a chiunque capiti a tiro del proprio sapere.
    Le poesie alle quali sono più legata, quelle che fanno da faro alla mia vita, per esempio, sono quelle che per anni non ho capito. Quelle che alla prima lettura avrei giudicato “non buone”. Ho imparato, in poesia, a sospendere il giudizio, non per praticare una vuota imparzialità né per apatia, ma per ascoltare.
    “Una buona poesia è uno spiazzamento comunicativo”, è proprio così. A questo spazio squarciato ci chiama la poesia, non a giudizi “buono/cattivo”, lasciamo questi vani giudizi ai trafficanti di poesia. Elena

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