Su L’opera racchiusa di Federico Federici

 

di Sara Veltroni

opera racchiusa federici

A quasi quattro anni dal precedente Quattro Quarti a firma Antonio Diavoli, Federico Federici pubblica L’opera racchiusa, primo lavoro a proprio nome, nella collana Festival diretta da Valentino Ronchi.
In questi anni, l’autore si è soprattutto dedicato alla traduzione (Nika Turbina, Paul Celan, Hans Arp, Katarina Frostenson, Cesare Pavese e Alice Oswald, tra gli altri), fatto salvo per un breve resoconto di viaggio in versi N Documenti (in cifra) (Cantarena, 2006) e il diario a due voci Chiuderanno gli occhi con Ilaria Seclì (Cantarena, 2007).
Come giustamente osserva Giancarlo Rossi nella nota su «Atelier», che anticipa di qualche mese l’uscita del libro, «Se c’è un io che parla, esiste accanto a una figura (la si percepisce femminile), che partecipa di esperienze misteriose e significanti, fino alla nominazione asciutta, e immersa in una luce d’eternità, dei fenomeni dell’universo: una coscienza che abbraccia i vivi e si rivolge ai morti, nella stupefacente realtà della loro presenza assente».
I versi di quest’opera sono frequentemente inscritti nel luogo-non-luogo di una casa, che è insieme corpo e abito alla memoria. Lì si instaura il dialogo con l’invisibile figura silenziosa, che metamorficamente attraversa le tre sezioni, passando dai tratti spirituali dell’anima nella prima, a quelli indecifrabili di donna nell’ultima.
È lo stesso percorso evocato l’anno prima nel cortometraggio mur mur, nel quale, non a caso, alcuni testi fecero comparsa tra i dialoghi, in stesura ancora non definitiva.
Un libro ricco di pronunce raffinate, costruito su una parola priva di incertezze, lavorata sino al residuo della sillaba, lungo il percorso che la rivela dal silenzio o che, verso il silenzio di nuovo la conduce. Mai aulico o grave di lontane citazioni, l’io lirico si muove a proprio agio tra i fatti della memoria, animato da un’incessante ansia di scoprire, intuire, portare in luce e riferire la sua lingua, perché giunto finalmente è il tempo «[…] di dare le mani nell’andirivieni dei vivi / fermare gli occhi, lo sguardo a chi trema».

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