Parola ai poeti: Gio Ferri

[Inauguriamo oggi Parola ai poeti: uno spazio a cui teniamo molto e che ospiterà, ogni lunedì, la voce di tutti quei poeti che avranno il piacere di condividere con noi il loro pensiero sui vari temi che di volta in volta sottoporremo loro in forma di questionario.
Il nostro scopo è quello di generare ampie e fertili discussioni intorno a temi di interesse come lo stato della poesia, la critica, l’editoria, il canone etc., partendo dalle risposte degli autori che a mano a mano giungeranno, sulle quali invitiamo tutti a riflettere. Il nostro fine, come affermiamo nello “slogan” che compare nel logo dell’iniziativa, è “V
ecchie domande per nuove risposte”.

La prima serie di domande consta di 14 quesiti che indagano il giudizio dei poeti sullo stato della poesia ed il loro rapporto con essa. Di seguito, le risposte di Gio Ferri, che ringraziamo. Buona lettura.]

Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Lo stato di salute della poesia (e dei poeti) in Italia, e altrove, è quello di sempre, dai Presocratici, da Saffo, giù giù fino al Novecento. La poesia è la forma più alta e raffinata (materia sintetica, ambigua e metamorfica) del pensiero sollecitato dai sensi: perciò è sempre stata piacere e consolazione per pochi. Quando Boccaccio leggeva la Commedia nelle cattedrali, ascoltavano solamente una ventina di chierici, forse distratti se non addormentati! Quando Ariosto leggeva a corte, il principe e i cortigiani, per lo più, pensavano agli affari loro. Quando Rimbaud ‘poetava’ non c’erano né editori né pubblico così generosi da pubblicarlo e leggerlo. Eppure misteriosamente la poesia inaspettata appare (aprosdoketon) e si diffonde nel silenzio, sotterraneamente, influenzando le epoche, anzi addirittura denominandole. E’ il miracolo della parola, del fiat che ha creato il mondo, e continua a crearlo. Un miracolo in sé biologico e cosmologico.

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Ho pubblicato in riviste fin dalla prima giovinezza. Ho pubblicato la prima raccolta completa e organica a 27 anni presso “Rebellato”, casa editrice allora di prestigio. Mi aspettavo almeno 25 lettori (!): sono venuti (proprio 25!) e alcuni di loro mi hanno proposto altre pubblicazioni e collaborazioni.


Se tu fossi un editore, cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

Va premesso che la poesia nuova non è per fortuna ‘prodotto’ commerciabile. Perciò se possedessi i fondi per organizzare una attività editoriale (anche media) per guadagnare provvederei a stampare e vendere qualsiasi cosa (manuali, libri di cucina, letteratura di consumo, ecc.) fondando a mie spese, vale a dire in perdita economica, una collana di prestigio di poesia nuova. La riterrei un gratuito fiore all’occhiello. Esempio storico: la “Mondatori” del vecchio Mondadori e la “Collana dello Specchio” (collana oggi ridotta per lo più a riprendere poeti già collaudati – a ragione o a torto).


La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

La poesia, quando poesia è (qualsiasi sia il suo pre-testo significativo), è un’intima preghiera laica. Va letta e centellinata (stampata) nel segreto della propria cameretta. A ciò non si presta la riproduzione in web che invece ha un grande valore di informazione e stimolo.

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

La critica, comunitaria (!?) o individuale, è lo strumento di analisi e di ricerca, di valutazione e storicizzazione naturalmente necessario. Chiunque legga vuol capire e, almeno per sé, giudicare. Non c’è oggi una crisi della critica, anche perché (riferendosi alla corretta etimologia di crisi) sarebbe come dire che c’è la crisi della crisi!

Il canone è un limite cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Il canone e la tradizione sono intrinseche al fare (poiéin). Ma molte sono le tradizioni e molti i canoni. Il poeta si attiene al proprio canone. Ma non può scrivere senza un canone.

In un paese come il nostro, che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

Il “Ministero della Cultura” è istituzione delle dittature. Non dovrebbe esistere, sostituito da libere strutture (anche statali) con l’esclusivo compito di sostenere, in tutti i campi, compreso quello della poesia, la libera ricerca (di per sé, ripeto, non commerciabile). Ovviamente andrebbero sostenuti i compiti della didattica.

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

Il compito delle scuole e delle università, negato ogni obsoleto accademismo, è fondamentale.

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Il poeta è un cittadino quando la collettività, al di là dell’arte e della poesia, richiede come a tutti i cittadini una partecipazione attiva ai problemi della polis. E’ un apolide quando si spinge (senza trascurare i suoi doveri di cittadino) nei territori assolutamente intimi e biologici della creatività. Creatività e polis possono incontrarsi,  si incontrano quando c’è comune domanda di verità. Ma non necessariamente.

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

L’ispirazione giunge solamente dalla cocciuta ricerca.

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

La poesia ha in sé il messaggio della parola come origine dell’essere e della verità. La comunicazione (strumento utilitaristico) non c’entra, c’entra la comunione (koinonia) fra l’essere e la parola. L’essere il segno. L’essere e la traccia.

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

Le… persone che amo… pensano grandi cose della poesia!

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Il mio mestiere ‘della pagnotta’ (!) è impegnato nella didattica della scrittura (ovviamente anche non poetica). Perciò non vivo schizofrenie di sorta.

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Il futuro della poesia (ritorno alla risposta n.1) non sarà mai diverso, nella prassi, dal passato. Condirigo una rivista di saggistica: in redazione riceviamo valanghe di pubblicazioni, sovente per varie ragioni illeggibili,  cosiddette ‘poetiche’. Chiederei ai ‘cosiddetti poeti’ di farsi una critica precisa idea di poesia… prima di pretendere di scrivere poesia!

Gio Ferri è poeta, poeta visivo, grafico, critico d’arte e letteratura. Fondatore nel 1984 e condirettore, con G.Finzi e G.Gramigna, della rivista Testuale, critica della poesia contemporanea; direttore responsabile dal 1995 al 2000 della rivista il Verri alla quale ancora collabora. Fondatore e gestore negli anni Ottanta della MYSELF print, editrice di scritture di ricerca. Ha collaborato e collabora con testi e saggistica a diversi quotidiani e periodici italiani e stranieri, in particolare La Gazzetta di Mantova (terza pagina), Anterem, Altri Termini, Arte Oggi, Carte segrete, il Verri, Tam Tam, Concertino, Sigma, Microprovincia, Indice, Nicolau (Brasile), Gradiva (USA), ecc. Da oltre trent’anni presente alle più importanti esposizioni internazionali di poesia visiva e grafica scritturale; numerose le mostre personali. Ha organizzato e organizza convegni, festivals di poesia, mostre di poesia visiva, cicli d’incontri e seminari sulla poesia in Italia e all’estero. Tra i soci fondatori dell’Associazione Milanocosa.

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5 Comments

  • Mi è stato facile condividere tutte le risposte di Gio Ferri, sulla poesia si è dibattuto da sempre e da sempre è stata considerata dai prosatori una sorta di cenerentola della letteratura, dai poeti la lingua adatta per eccellenza a esprimere il pensiero complesso, e nel contempo diretto, tra la telepatia, mi si perdoni l’accostamento, e l’intuito.
    Il linguaggio poetico essendo, secondo me, l’esperanto dello spirito.
    Cristina Bove

  • Delle risposte di Gio Ferri a questa intervista, mi hanno colpito particolarmente quelle relative all’editoria, al web ed alla critica.

    Gio, tu affermi che “la poesia nuova non è per fortuna ‘prodotto’ commerciabile”. Mi chiedo – ti chiedo, in realtà – : perché “per fortuna”? Non è forse proprio a causa di un approccio “commerciale” sbagliato che la poesia ha così poca diffusione? Non derivano forse anche da questo “atteggiamento” tutti gli equivoci del senso comune sulla poesia?

    Dici ancora che la poesia “non si presta [al]la riproduzione in web”. Sono d’accordo con te nella misura in cui ci si riferisce non al web in quanto tale, quanto piuttosto alla comune modalità del suo utilizzo. Di conseguenza mi chiedo: non abbiamo forse bisogno di educarci al mezzo Internet, ad evitare di farci trasportare da una parossistica e quasi compulsiva tendenza al multitasking ed alle letture di passaggio che il web per natura potenziale ci inculca? Non c’è forse bisogno di educarci a questo anche per cose che non siano la poesia? (Penso, ad esempio, agli articoli di giornale che diventano sempre più corti e contengono un linguaggio sempre più semplice/sterile, con gli articoli di approfondimento ormai estinti assieme alle terze pagine).

    Infine, affermi: “Non c’è oggi una crisi della critica”. Sono totalmente d’accordo. Personalmente credo che ad essere incrisi siano i critici piuttosto che la critica. Mi sbaglio?

    Luigi B.

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