Una nota di Giorgio Manacorda su Milo De Angelis

 

di Giorgio Manacorda

Milo De Angelis ha avuto un ruolo nella poesia italiana degli ultimi vent’anni E’ lui infatti il maggior responsabile della deriva neo-estetizzante degli anni Ottanta, del cosiddetto neo-orfismo. Il suo primo libro (“Somiglianze”, 1976) è un caso eccezionale per molti aspetti. Si tratta di un libro che proponeva un livello di poesia talmente alto che i nessi del discorso non sono – o non sarebbero – importanti, ma allo stesso tempo (spesso) contiene poesie riuscite perché segnate da una densità emotiva del tutto inusuale. Un libro dunque molto irritante (da un punto di vista culturale) ma con non poche belle poesie.

La caduta, o la sottovalutazione, dei nessi del discorso in nome dell’altezza lirica, nei meno dotati di De Angelis (cioè quasi tutti) ha provocato esiti disastrosi. De Angelis spesso si salva, ma altrettanto spesso cade, anche nella prima parte di “Biografia sommaria”.
Nella seconda sezione (“Ringraziamento”) succede qualcosa di nuovo: alcune poesie sembrano tornare al significato o, almeno, a una concatenazione delle immagini e dei concetti. Penso a “Una poesia per concludere”, “Una pagina del passaporto” e soprattutto “Ude garami”, titolo che non so cosa voglia dire ma questa poesia presenta il personaggio (“la bella arciera”) e introduce al clima della bella terza sezione, “Capitoli del romanzo”.

Apparentemente un affiorare prepotente della “lombardità”, quindi del racconto, con modalità (per esempio i puntini di sospensione) che sembrano dovere molto a Cucchi. I due, evidentemente, si sono sempre tenuti d’occhio – e ognuno pensa che l’altro abbia ragione nel momento sbagliato. La cosa strana, ma non tanto, è che l’influsso di De Angelis ha fatto malissimo a Cucchi, perché ha ratificato nel nulla stilistico il nulla della sua “ispirazione”, mentre la narratività franta di Cucchi ha fornito a De Angelis una cifra per dare voce alla dimensione tragica ed eroica che covava in lui.

Nella terza sezione l’arciera di “Ude -garami” diventa esplicitamente “la ragazza guerriera”. L’aggettivo (guerriera) è importante e anch’esso è usato per la prima volta in “Ude-garami”, poi in “Scavalcamento ventrale” – un aggettivo che contiene in sé tragedia ed eroismo. Queste poesie parlano infatti di personaggi femminili (ma forse è sempre lo stesso) che vanno alla guerra intesa come agonismo. Quindi il loro eroismo produce mitologie (“Per quell’innato scatto”) oppure tragedie (“Donatella”).

Insomma De Angelis, una volta percepita la sterilità – non solo della sua modalità oscura ma della ripetizione di quella modalità – è stato capace di mettersi in discussione, aprendo a una dimensione narrativa o comunque di comunicazione e insomma scendendo sul terreno del significato e del senso. E ho detto “scendendo” non per caso: questo infatti è stato il percorso di altri che sono scesi dal nulla alla banalità. E’ il caso, per esempio, di Cesare Viviani, che da una perfettissima oscurità sperimentale è passato a una chiarissima banalità concettuale e si è visto, semmai ci fossero stati dubbi, che la sua tenuta poetica era inesistente.

Ma De Angelis non ha scelto a tavolino e improvvisamente di essere chiaro: è stato capace di andare a mettere le mani lì dove duole, lì dove la materia (la sua) resiste e chiede la forma e l’espressione. Questo spiega perché “Biografia sommaria” non sia un libro risolto; di fatto fotografa un processo, in qualche modo lo riassume. Non è una svolta di testa ma un tormentoso e tormentato percorso.

( a cura di Roberto Russo. Giorgio Manacorda passim da “La poesia italiana oggi” (ed. Castelvecchi, Roma,2004) )

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