Massimo Sannelli: Ho squarciato Dante

 

Tre schegge dantesche

 

per C., C. e C.

 

Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi
Ecco un dio più forte di me, che viene e mi dominerà

Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps
Me infelice, d’ora in poi sarò impedito molte volte

Ego dominus tuus
Io sono il tuo signore

 

La prima carta della Vita nova non è tenera con la salute. La prima perdita è il cedimento al più forte, come se Amore fosse un nemico [e se non è il nemico, è il diverso]; la seconda è essere impediti, come se Amore fosse paralisi [ma non è afasia, e provare è patire, ma patire per dire]; la terza perdita è nel rigore: la signoria esiste, il signore non sono io, e la signoria deve essere dichiarata. Certo, questo amore asessuato è peggio di uno stupro: in primo luogo, non è né puro né sano. E va bene, perché tutto questo è anche mio: nel senso che l’ho voluto, e non sono il solo a farmelo piacere. Io stesso ho voluto la supremazia del Dominatore, e tanto basta. Dall’esterno il nuovo viene e così «inizia la vita nuova», e rinnovarsi è violento, perché devo soffrire il deus fortior me. Dopo i suoni imposti allo spirito impedito, la vecchia apatia bastarda, o infantile, diventa il suono migliore.
Oppure tutto è retorica e Dante simula. Perché no? Forse Dante cita e finge di essere Geremia, abusato da Dio. Davvero è e non è così: chi prova su di sé non vuole sapere di prove letterarie. Il libro è il mezzo, ma non conta. I libri sono la tradizione, ma che cosa ce ne importa davvero, adesso? Il nuovo conosce il dominio del Dio più forte, e peggio per lui: ne uscirà diviso in 9 pezzi, e chiamerà beatitudine la rottura. Ha imparato il mestiere, dunque lo fa. Chiamerà il mio lavoro il risultato infrangibile della rottura, maledetta e benedetta.

Massimo Sannelli
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