Poesia 2.0

del tipo basta lo vedi si posa
sempre la stessa polvere in soggiorno
la togli e torna e tutto ciò che pare
— Gabriele Frasca

Massimo Sannelli: Quarta lettera sull’intensità

 

Quarta lettera sull’intensità. Per A dieci minuti da Urano. Poesie di tentata conquista di Carla de Angelis

foto di Anna Positano

1. L’io non è un male, e perché dovrebbe esserlo? L’io lirico – bestia nera, angelo bianco – non ha mai ucciso nessuno, è impolitico e nonviolento: e allora che male vi ha fatto, amici? C’è chi sorriderebbe del «sudore dell’anima». Dov’è il problema: nel sudore? Troppo corpo. Nella cosa innominabile: l’anima? Troppa donna. Il vero problema è l’anima, innominabile: eppure esiste una scienza che si chiama psicologia. La «scienza dell’anima» può essere anche la scienza della farfalla; o anche: il discorso dell’anima, che parla. O anche: il discorso della farfalla, che parla a suo modo: la psyché alata, la psyché vivente, la psyché scrive. E ora Aleksandr Balagura intitola Ali di farfalla un cortometraggio di pura poesia: il racconto di più giovani a Kiev, che scoprono il cinema nei primi anni Ottanta, e qualche fotogramma rimane; poi Aleksandr torna a cercare le bobine, rivede gli amici, uno di loro è morto, si cerca una patria nuova in Italia, ci resta. Ne è nato un documentario di montaggio, come La bocca del lupo di Pietro Marcello. Non a caso sono due documentari su storie private (Enzo e Aleksandr), sulla mutazione dei luoghi (la Kiev comunista, la lontanissima Genova industriale e portuale), sulla ricerca del paese innocente (la casa in collina per Enzo e Mary; Bagno Vignoni per Aleksandr). In questi film il montaggio è grande come l’ispirazione e la regìa è meno forte della storia vera. La Bocca del lupo in particolare è il film di Enzo, non di Pietro.

2. L’io vivente è lo specchio in terra del Dio vivente. Crescendo, può dissociarsi nobilmente dalla scuola, come l’Anima dello Specchio di Margherita Porete: «Io non prego nulla». E così: «Basta domande inutili / analizzare ogni frase // inganni sulle vocali, inciampi sugli accenti».

3. Il sudore riappare sùbito: basta guardare la casa, opera del lavoro. I muratori bevono birre, con i «volti sudati». I sacchi di cemento sono pesantissimi, i detriti sono pesantissimi. Gli umanisti non lo sanno, di solito: quanti pesi portano, e quali? Quando? Infatti non hanno un bel corpo, di solito. La birra dopo un lavoro duro è una benedizione del Dio altissimo. Dopo il muratore, il contadino, sùbito dopo. E Carla ha ragione di dire: «Temo la vita senza emozioni / abiti da comprare // alberi da curare / stoviglie nuove tappeti // pareti da dipingere / appatiti di tavole imbandite». È una vita che fa più paura della morte. Infatti moltissima poesia contemporanea parla della morte, anche senza saperlo: parla sottilmente della «vita senza emozioni», gloriandosene anche un po’. Non si può chiederlo ad una moglie, ad una madre: infatti la poesia «senza emozione» è frutto freddo di maschi, arroccati nella mente. Chissà che cosa prova una donna, una moglie, una madre. Ma un uomo è molto inesperto, sa poco di chi lo fa crescere, di chi gli cresce accanto. Un critico criticò oralmente: «La poesia di Florinda Fusco è surrealismo mestruale». Commento di mia madre, secca: «Digli che anche lui esiste grazie alle mestruazioni di una donna».

4. La vita piena di fatti, la vita che dà la vita ad una figlia – Carla è madre – non ha bisogno di ambizioni e di illusioni. «Porto a spasso la bellezza / eppure bella non sono». E poi: «Non mi tramuta in marmo né in alloro», né scultura né Dafne, nessun particolare Apollo adorabile-tremendo. Il soggetto è la vita, svelata a fine testo. La vita non è facile, e chi l’ha mai detto? Le madri si sono spaccate in due per metterci nel mondo, e noi occultiamo la vita; oppure la cerchiamo fredda e freddina, perché l’uomo ha paura di sembrare una donna. L’uomo ha paura di ciò che è perenne e animale nello stesso tempo, intellettuale e vitale, gentile e selvatico nello stesso tempo (quando Carla sfida il gatto, e ne scrive, è come un incontro tra pari in natura). Difficilmente un uomo sarà molte cose nello stesso tempo [sarà preso in giro dai piccoli piccoli; gli diranno, anche verso il quarantesimo anno: «sei praticamente una donna», come se la parola DONNA fosse un’ingiuria. Non hanno mai visto una donna? E ancora meno l’hanno toccata]. La vita «spalma di olio la strada in salita / spezza i freni in discesa». Ci sono i rischi, ci sei tu. Tanto vale restare, il corpo ha una sua resistenza [e quanto è resistente la Farfalla in mente, l’io vivente]. Il contrario della vita grande è sempre in agguato: «Insolute bocche mendaci / sacrificano angeli // al tramonto stridono / non risparmiano trame». Il contrario del contrario è intenso fino ad una gloria nietzscheana: «di’ al tuo dio che la vita ci piace».

5. Bisogna «chiarificare la melma». La melma è il fango, che Guinizelli considerava immedicabile: il fango rimane vile anche sotto i raggi del sole, il cuore ignobile non sarà mai nobile, ma al cor gentil rempaira sempre Amore. Ora no: c’è anche della nevrosi nel rifiuto di chiarificare, amici. Significa anche: non trincerarsi più in un mistero o in una scuola di scolarchi contro il sottobosco. Chiarificare significa: abbassa il tuo stile e la tua testa se puoi [nobilmente] sedurre ed esaltare [allegramente] un lettore in più – cioè la sua anima. Ali di farfalla, appunto. Esaltare significa fargli godere la sua vita, renderlo orgoglioso della vita. E poi bisogna fargli notare che è vivo: tentata conquista.

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1 comment on this postSubmit yours
  1. ho scritto che

    Massimo ha il polso più lento degli altri. E spesso alcuni non lo comprendono, perché sono ignoranti; o perché lo conoscono poco, e male e superficialmente (a loro danno). Oppure sanno che avvicinarsi è pericoloso: Massimo destabilizza la certezza della gloria. Massimo parla, legge e dice poesia a voce bassa, da sempre. Non è un’improvvisazione. E non assomiglia a nessuno: questo è il suo stile. Noi siamo nell’urlo, nella piazza visibile da tutte le angolazioni – ma altro è lo spazio, e altro è l’urlo, che crea. Massimo è mite solo in apparenza. Non sgomita. Non ingrassa con le parole di altri. Vive solo, passa solo: la sua forza è nella scrittura. Questo è il suo corpo, il cibo, lo sguardo. La fionda colpisce il sonno del mondo. Il fatto è che dopo una lettura di Massimo non si osa aprire bocca: se si dice qualcosa è per far tacere un’altra voce, che non può mescolarsi alle parole di tutti i giorni. Altri sono i suoi significati, altre le luci, anche in penombra.

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