Rosaria Lo Russo: ‘Nel Nosocomio’

 

di Renata Morresi su punto critico

A differenza che nell’ospedale, dove, etimologicamente, si raccolgono gli ospiti, nel nosocomio si cura la malattia, o, se si presta fede all’ipotesi della radice latina nex, la morte. Nel nosocomio di Rosaria Lo Russo, in un gigantesco e grottesco rovesciamento, ci si prende cura, letteralmente, della malattia e della morte, attraverso il culto del consumo e della dissipazione. Lo Russo ci parla con un “noi” ingenuo, impotente, tanto più disperato quanto inconsapevole della sua dissoluzione come corpo sociale e della sua assunzione a corpo docile di foucaultiana memoria.

 

Sposiamo l’idea del nostro direttore: ogni giorno
che dio mette in terra facciamo almeno un’ora di
esercizi. C’è una palestra modernissima nel semi-
interrato del nostro nosocomio, fornita di tutti
gli attrezzi necessari. Quelli che stanno peggio
possono anche fare yoga, c’è un tizio vestito di
bianco che viene apposta da fuori e fa anche
respirazione. […]

(10)

Una “serie ospedaliera” è Nel nosocomio: un libro che evoca l’andirivieni irrisolto tra malattia individuale e mondo malato, e rappresenta la loro fusione in un dettato slabbrato, casual, suadente e irretito dai suggerimenti (per gli acquisti) “del nostro direttore”. Non si tratta più de “lo dittatore Amore” che Lo Russo ci presentava qualche anno fa nel libro dallo stesso titolo, il canone musaico, maledetto, amato e riscritto, che ammaliava nel gusto di virtuosismi linguistici miscelati dall’antichità allo slang. In questo nosocomio invece vi è un tanto anonimo quanto potente manovratore, operante in primis dall’interno, nella creazione di convinzioni ‘utili’ (opinioni, emozioni, fedi) che non riescono mai a superare la soglia ‘liquida’ e ad aggrumarsi in asserzioni o pensiero individuato, né tanto meno (almeno), in un sentire primitivo, viscerale. A salvaguardare l’agognato senso di adeguatezza all’eterno presente (ovvero alla sua inconsistenza) un futuro semplice che confina con l’imperativo:

[…] Passe-
remo le ore sulle pagine della sfinge, prenote-
remo una settimana a sharm-el-sheik per asciu-
garci le ossa, faremo un ripasso enciclopedico
per rispondere adeguatamente ai quesiti della
susi e al cism.

(14)

Diretta emanazione del direttore è il “Dottor casa”, che non parla mai direttamente, ma solo attraverso gli obbedienti degenti, i suoi primi fans (in lui riecheggia, grottescamente, il Dottor Martin di Anne Sexton, di cui Lo Russo – si ricordi il recente Io e Anne – è interprete fondamentale in Italia). Psicologo da talk-show domenicale e clone nostrano del Doctor House, capo balilla e super-mega-direttore galattico, egli ne è un ibrido ancora più estenuante ed estenuato. Per lui “fiorello” e “freud” sono in minuscolo: allo stesso modo apersonali, astorici, ridotti a gadget in plastica, senza neanche le auto-giustificazioni auliche dei “santi padri”. In una divagazione crudele sull’ontologia della superficie, le antiche beghe sull’essere e il divenire, sul senso e il non senso, sono risolte nell’esposizione dei corpi in fila. Tutto è ricomposto nell’ideologia del consumo che si è perfezionata tanto da riuscire a controllare, ovvero a neutralizzare, ogni azione, compreso il suo opposto: fumare e non fumare, fare sport e ingrassare, parlare e non parlare, “attività e contemplazione”,

[…] attività e contem-
plazione contemporaneamente realizza-
zione di tesi antitesi e sintesi sposata dal nostro
direttore.

(9)

Il balbettio degli a-capo idiosincratici o i fraseologismi del buonismo nazional-popolare gonfiati in modo abnorme segnalano lo sfinimento: “Che buono che è il brodo di dado con le stelline di se- / ra” (dove “se-” è anche il sé lasciato solo, e “ra” va a formare l’unico verso finale, parodia dell’illuminazione ermetica e culmine del disfacimento del linguaggio, anche di quello poetico). Le spezzature che trapassano le parole dall’interno segnalano la flessibilità di un linguaggio formulaico, scomponibile perché vuoto, puro contenitore indifferente che smonta la lingua come i corpi: “Si ripristineranno gli arti scomposti dalle frat- / ture, ti restituiremo il veicolo (hai l’assicurazione […]”.

Sostenuto dai tic lessicali degli slogan reiterati ad libitum, dai refusi e dai frammenti di un luogo im-pensato, caldo del pathos effimero del parlato provincial-televisivo, caldo di una pietas che continua ad innescarsi comunque, Nel nosocomio va ragionando da lontano con altri studi poetici sulle patologie, individuali e/o sociali, del contemporaneo italico (penso a Shelter di Marco Giovenale, per esempio). Qui, su tutte, quella dell’ipernormalità, del conformismo compulsivo. E si occupa anche dello spazio a quelle appositamente adibito. Un campo chiuso a forza, dove l’esercizio della cittadinanza è sostituito dalla compulsione all’accumulo, e i bisogni vitali, fisici e morali, quelli che Simone Weil chiamava “i doveri eterni verso ogni essere umano” (16), sono rimpiazzati dai regolamenti, dai regolatori, dal reclutamento in un sistema che svuota i diritti nell’ossessione. Ma non sa impedire il com-patire per i goffi, confusi, fragilissimi degenti.

Chiudono il Nosocomio tre testi in cui torna più evidente la voce affilata della poetrice, Tre dissonnetti sul crollo della borsa, a continuare la serie dei Crolli, in cui già si giocava con le coazioni a ripetere e a desiderare della consumatrice. Qui il soggetto poetico mette a nudo e sfascia inclemente le illusioni e dell’eterna crescita borsistica, e di una opposizione puramente poetica, da “anarchici ugofoscoli”, anche questi ormai storditi e crocifissi all’andamento dei mercati finanziari (“cade e si rialza e ricade come un gesù durante la via / crucis”).J’accuse agli speculatori e mea culpa degli impotenti in queste ultime pagine; tuttavia fin qui, per entrambi, la pietà non arriva:

[…] Pietà per i broker
per i commessi per i promoter o chicazzosono
che strillano a piazza affari non ne sento purtroppo,
o per fortuna, e non mi preme la nostra salvezza.

(23)


Testi citati

Marco Giovenale, Shelter. Roma: Donzelli, 2010.
Rosaria Lo Russo, Lo dittatore amoreMelaloghi. Milano: Effigie, 2004.
– , Crolli. Trieste: Battello Stampatore, 2006.
– , Io e Anne. Napoli: d’if, 2010.
Simone Weil, La prima radice. Milano: SE, 1990.

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