Parola ai Poeti: Christian Sinicco

 

Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

E’ una domanda simile a quella che ho fatto diverso tempo fa a Franco Loi, nella mia prima intervista. Eravamo a Umago per il Premio Montale, tra i più importanti premi, prima del fallimento nel 2003. Franco Loi è stato generosamente metafisico, ma anch’io pensavo che la poesia fosse molto di più, soprattutto delle umane lettere, impiantate e da far crescere: se l’uomo risponde a una nascita, la sua poesia lo porta alla vita. Più concretamente posso risponderti che la salute della poesia italiana è perfetta, nonostante non le sia riconosciuto un posto di primo piano a livello internazionale, causa i problemi che ha la nostra critica letteraria, unita alla mancanza di un’organizzazione culturale che la supporti, come ad esempio le fondazioni presenti dall’Olanda alla Slovenia. La quantità di poeti straordinari pone l’Italia ai primissimi posti per qualità di scrittura, e ce ne sono tantissimi nati negli anni sessanta o settanta. Nell’articolo del 2006 “La nuova poesia in Italia?”, scrivevo dei nati a partire dagli anni 70: non ripeto chi è stato menzionato poiché il lettore può visitare i link o cercare i testi su google partendo da queste indicazioni; posso solo aggiungere altri nomi, come Michele Zaffarano, Silvia Cassioli, Silvia Salvagnini, Simone Molinaroli, Gabriele Iarusso, Furio Pillan, Maria Valente, Domenico Brancale, Daniele Mencarelli, Giuseppe Nava, Giacomo Sandron, Franca Mancinelli, Barbara Pietroni e Alfonso Maria Petrosino, quest’ultimo scoperto grazie al Trieste International Slam; credo me ne manchi più di qualcuno. Dovrò rimettermi al lavoro e aggiornare i file. Di sicuro posso dire che ci sono alcuni libri molti interessanti usciti negli ultimi anni, come La comunità assoluta di Lorenzo Carlucci, Cori niuru spacca cielu di Biagio Guerrera, Gli enervati di Jumièges di Roberta Bertozzi e la serie di libri di Stefano Massari, da Diario del pane in poi. A breve uscirà sia come pubblicazione tradizionale cartacea che su pagina web la ricerca “L’italia a pezzi” condotta dalla rivista Argo, di cui sono collaboratore, sulla poesia in dialetto e in lingue minoritarie, dove compaiono i testi di Fabio Franzin, Nadia Cavalera, Alberto Masala, Federico Tavan, Renato Pennisi, Alfredo Panetta, Gianmario Villalta, Ivan Crico, Salvo Basso, Lussia di Uanis, Annalisa Teodorani e moltissimi altri. Nel 2000 quando iniziai a osservare la poesia italiana contemporanea, non sapevo che avrei ricevuto in dono la possibilità di parteciparvi, e di diventarne un appassionato osservatore. Ci sono opere e poeti di grande qualità; non si può dire altrettanto della critica e dell’editoria che stanno lavorando senza una visione – dire “visione del futuro” sarebbe troppo?

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

La poesia ti porta a pensare che non sei in alcun momento, ma accade: ne parlo proprio su Poesia2.0, pensando tutto come “performance”.
Tralasciando le opere su antologia, un libro è stato pubblicato da Lietocolle, “passando per New York”. La sua gestazione è stata breve: già nel 2000 pensavo a un’opera politica. I drammatici eventi mondiali hanno fatto da reagente.
Avevo appena dato vita a un’opera –  Città esplosa fantascientifica e sperimentale: ripensavo a questi versi e alle tonnellate di petrolio incendiate, ai fumi neri nel golfo persico durante la prima guerra: “come la baia incendiata di petrolio/ sull’esatto ronzio rotante dei motori/ per cui un uomo si uccide e degenera/ e se la realtà dovesse frantumarsi del tutto/ come aspettiamo del resto che accada/ attaccando ogni forma di vita/resistendo a ogni terribile fontana/ che strappa la scoria di sciami di pensieri/ e morde la voglia di cupe inadempienze/ di un futuro risibile e di oggi e di ieri“. Nella poesia di “passando per New York”, gli attacchi all’ecosistema si trasformarono in combattimenti serrati; osservavo le persone rubare ai supermercati, in Argentina, dopo il default; vivevo la strada che portava al nulla, dove il bisogno si trasformava in poesia, l’osso drammatico della sua verità; e la sperimentazione – angelus stecchiti di radici capovolte – si apriva come per dire che non mi sarei più raggomilato in un’idea.
Ho scelto di pubblicare per prima un’opera successiva a quelle sperimentali. Ero convinto fosse il momento giusto per raccontare con franchezza la politica mondiale, e l’editore, Michelangelo Camelliti, credeva in quel libro; spero sia felice per le vendite oltre le previsioni e che l’opera rimanga tra i titoli che si richiedono anche a distanza di anni (ma c’è qualche refuso che mi piacerebbe sistemare, e delle piccole modifiche da apportare). Non credo che la neve nera abbia terminato la sua discesa verso di noi, ma trovo interessante che altri poeti italiani se ne siano accorti e stiano lavorando in questo senso, politico, come Paola Turroni nel recente “Il mondo è vedovo”.
Pubblicare un libro con un editore – e non una plaquette –, un editore che si impegna anche a ristampare il libro, ha il significato di un confronto con la critica e con il pubblico.
A Trieste, dal 2000, con altri poeti triestini organizzavo letture, e il confronto critico in pratica c’è sempre stato, spesso con forti divergenze di opinioni; dal 2001 i testi di “passando per New York” si facevano notare, su antologie e su internet: conoscevo poeti fantastici come Gianmario Lucini (recensì su Poiein il gruppo triestino, Gli Ammutinati, ai suoi albori e pure i miei testi successivamente pubblicati); ricordo con piacere la pubblicazione a cura di Maurizio Cucchi su Lo specchio de La stampa, e fu proprio Cucchi a presentarmi Camelliti; la mia poesia fuoriusciva addirittura come  installazione, grazie ad un grande scultore del legno, Romano Abate, la cui opera La caduta di Icaro ispirò un testo del libro, reazione della nostra velocità (dove una carlinga cade dal cielo e nell’impatto genera la velocità immane, che corre nell’indignazione)… In occasione di una sua mostra a Treviso dedicata a Fermi e all’atomo, Abate stampò il primo passaggio su New York, ne fece un aereoplanino di carta, e lo scagliò contro un atomo nella sua rappresentazione scultorea in sezione.
Arrivavo alla pubblicazione con tutta una serie di suggestioni e collaborazioni alle spalle, e avevo incontrato numerosi poeti che mi incoraggiavano, come Gianpiero Neri che coniò per questo gruppo di ventenni dell’est, Gli Ammutinati, il termine Scuola di  Trieste. Lo ricordo a una lettura assieme a Tomaso Kemeny, e poi a Milano dove conobbi anche Dome Bulfaro, che con il suo libro Milano Ictus ha fatto della poesia uno spettacolo incredibile.
Negli stessi anni seguivo un po’ le sorti della mia generazione, conoscendo poi altri poeti validissimi come Martino Baldi, che aveva pubblicato il bel libro Capitoli della Commedia, e Italo Testa, uscito recentemente con La divisione della gioia.
La prefazione del libro è stata scritta nel 2004 da Cristina Benussi, che con Petronio ha scritto la storia del Novecento della letteratura italiana – mi interessava il suo giudizio: ha scritto una prefazione lunghissima e lusinghiera. Inoltre il poeta triestino Ugo Pierri ha realizzato l’immagine di copertina, mentre un altro pittore, Angelo Claut, ha realizzato un’altra opera la cui scansione è all’interno del libro.
Dopo la pubblicazione a febbraio del 2005, hanno segnalato i miei testi Giampiero Marano – seguivo da tempo lo storico sito Dissidenze, purtroppo dissoltosi – e Sebastiano Aglieco, nonché numerosi blog, come Liberinversi, Rebstein di Francesco Marotta, La costruzione del verso di Gianfranco Fabbri… L’uscita del libro coincideva con la nascita di AbsolutePoetry, con la mia partecipazione al festival e al blog, ma anche con le dimissioni da caporedattore di Fucine Mute Webmagazine, che abbandonavo con lo speciale poesia dell’anno successivo FM 87 a cura mia e di Luigi Nacci – totalizzammo 220.000 contatti singoli in un mese, circa 100.000 in più delle statistiche di Fucine Mute – che fu un successo per l’epoca. La poesia è un risultato inaspettato, e la sua genorosità è da condividere; per me tante persone hanno fatto molto, non solo in Italia, ma anche all’estero se considero quanti hanno tradotto i testi del libro in inglese (Daniela Sartogo), turco (Cenk Gultekin), spagnolo (Andrea Perciaccante), croato (Marijana Sutic Pavlicevic e Sanja Sirec Rovis), sloveno (Marko Kravos, Alenka Jovanovski, Marcello Potocco), russo (Eduard Akulin), tedesco (Reinhard Kacianka), per non parlare delle partecipazioni ai festival, supportate dal gruppo rock Baby Gelido; devo anche ringraziare il maestro Fabrizio Maurel, con cui ho realizzato due spettacoli di teatro sperimentale, come attore-drammaturgo, esperienza esemplare. Queste collaborazioni mi hanno permesso recentemente di realizzare una speciale lettura, Alter, con musiche originali innestate di diversi periodi della mia formatività, tra cui anche i testi di “passando per New York”, che spero di pubblicare su cd.

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

La realtà è che nessuna collana è decisiva causa fattori di arretratezza editoriale e critica, che incidono sulla scelta dei poeti, sul formato, sulla promozione e sulla distribuzione, come pure la mancanza di una comparazione tra i nostri poeti e quelli stranieri. Significa che la collana per eccellenza si può ancora realizzare, ma non con i parametri di una critica ferma al Novecento – per formato la Bombiani con cd, quella degli anni novanta, potrebbe rappresentare un buon punto di partenza.
Più che aspettarsi qualcosa dagli editori, i poeti dovrebbero smetterla di autofinanziarsi i libri: lo fanno in molti, anche poeti validissimi, e non ha alcun senso: possono pubblicare i testi, gli audio e i video, su wordpress o spazi analoghi gratuiti; e dovrebbero smetterla con la partecipazione ad antologie che non rappresentino ricerca, ma solo cash per editori furbi e vanagloria per curatori, spesso mediocri poeti alla ricerca di spazi; i poeti dovrebbero essere meno autoreferenziali, fare massa critica, dedicando più tempo alle discussioni e alla riflessione, alla lettura della poesia di altri; dovrebbero migliorare nell’esecuzione delle proprie opere. Questi processi e attività non sono controllabili, ma potrebbero ridurre l’editoria di poesia a pagamento, e fare terra bruciata attorno a molti addetti ai lavori, il cui interesse è creare circuitini attraverso l’impegno e la disponibilità, soprattutto, dei giovani.

 

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

L’obiettivo è l’integrazione tra i mezzi. Nel 2005 affrontavo il problema nell’articolo Otium et negotium. La rete è un ottimo archivio, ma gli uomini che la utilizzano non affrontano il problema della sua trasparenza, cioè delle progettualità e applicazioni che l’agire in rete può generare nella realtà e, quindi, anche in ambito letterario: da un lato l’aver reso disponibile l’informazione ci permette un riconoscimento migliore delle opere di qualità (è anche un meccanismo di salvaguardia rispetto a certa critica che non motiva i risultati). La rete non è riuscita ancora a consolidarsi dal punto di vista dei processi di collaborazione tra blog, case editrici, media, festival. Ma il web non rappresenta alcun rischio per la poesia, e chi afferma che è difficile orientarsi per la mole di informazioni o che la poesia pubblicata sul web è mediocre, non sa usare i motori di ricerca, che forse nemmeno servirebbero dato che i siti di riferimento non sono poi tanti – c’è pure un po’ di memoria corta, poiché l’informazione si moltiplica costantemente e molti post, molte discussioni importanti, articoli e saggi, cadono in oblio. Il fatto è che siamo passati in un decennio dallo spedirci le lettere francobollate a postare sui server i file audio o i video, e non tutti capiscono questi cambiamenti, critica ed editoria in primis. Ne “Lo specchio della seduzione”, Antonio Porta ha scritto che usare la pubblicità “per i problemi dello spirito” veniva considerato “ignominia”, citando parole di Palazzeschi: l’ignominia di internet e della sua condivisione scatena da qualche anno non solo i “benpensanti” borghesi, ma anche chi si considera “militante”. Il peggio della rete è che istantaneamente veniamo a conoscenza anche delle sciocchezze.
In generale sono più preoccupato da alcune pratiche di marketing, ad esempio quelle segnalate da Lello Voce in questo articolo e che si caraterizzano per alcune, forse molte, banalità negli scritti di critica a supporto dell’operazione commerciale – anche Nevio Gambula a proposito di Maria di Aldo Nove, innescò un acceso dibattito ai margini di quell’operazione proposta sulla rivista Poesia, che ha delle somiglianze con questa del Corsera. Riguardo poesia e web, annotavo alcune banalità già nel 2006, a proposito di una serie di batti e ribatti sulla carta stampata, nell’articolo Canti e balli.

 

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Penso di sì, ma senza un’azione che duri decenni (e che abbia a che fare con la trasparenza di prima) unita a un’organizzazione di tipo redazionale, che elabori progetti e selezioni i poeti su base regionale, senza un’azione simile, non cambierà nulla…
Il ruolo della critica è giudicare le opere.
Molti critici tergiversano, inventando giri di parole per dire francamente nulla, per dire  che le opere non ci sono, per dire che il poeta è lo specchio di se stesso, incomparabile poesia nella sua unicità; per dire che sono interessati a ciò che accade, che rimane indefinito sullo sfondo, ma sottolineano che continueranno ad osservare, anche il giudizio è roba di un’altra epoca… Possiamo fare a meno di questi critici?

 

Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Questa domanda oggi può essere superata. So che il concetto di canone (o di tradizione) alimenta crediti per qualcuno – ricordo diversi articoli su  riviste, ma anche sui blog. Non sarà la rivalsa contro le avanguardie a produrre grande poesia, in nome poi della restaurazione di cosa? E nemmeno reinventando il concetto di canone e tradizione. Non viviamo nell’Ottocento e nemmeno nel Novecento: i modelli sono molteplici, e l’informazione moltiplicata a dismisura provoca la loro continua fuoriuscita e rielaborazione. Per certa critica è l’Apocalisse, ma pure Giovanni l’aveva descritta: “vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi.”
Bigongiari, la cui critica mi ispira, spiega questo processo agli inizi degli anni ottanta come poesia della metamorfosi e metamorsi della poesia… Ed eravamo passati dal tubo catodico in bianco e nero a quello a colori!

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

L’Italia è un paese complesso: dovrebbero esserci numerose fondazioni (come all’estero), e in Italia quante sono le regioni. Stabiliti dalla Repubblica o dalle regioni fondi analoghi a quelli del FUS (fondo unico dello spettacolo), bisognerà destinare i fondi agli enti che si sono creati per supportare la poesia su base regionale. Per il resto, possiamo copiare dall’estero come queste fondazioni (collegate con enti e istituzioni sul territorio) si muovono – negli uffici lavorano poche persone, un responsabile e un segretario, e le application si fanno via mail. Per Trieste Poesia la fondazione olandese ci ha risposto che coprirà le spese di viaggio di un poeta e lo ha fatto in meno di un mese: le domande di collaborazione vanno presentate via mail l’anno precedente alla manifestazione; immagino che valutino l’organizzazione sulla base del link al sito dell’evento, dove sono presenti i programmi passati, mentre la partecipazione viene subordinata alla traduzione di 7-10 testi in italiano.
Non può esistere una cultura in Europa, senza programmi di circuitazione degli autori, senza conoscenza tra le organizzazioni culturali e senza traduzione delle opere: gli altri paesi si muovono con raziocinio. Guarda all’Italia, capirai lo stato della sua implosione culturale: abbiamo dato finanziamenti a tutti, ai partiti, ai giornali, ai gruppi editoriali, all’editoria, mai direttamente aiutato coloro i quali l’arte e la cultura la fanno.

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

A influire negativamente è sempre la mancanza di un’organizzazione agile.
Si creino su base regionale delle fondazioni: esse agiranno promuovendo i poeti, sviluppando sul territorio programmi virtuosi. Ad esempio, in diversi periodi dell’anno, dopo aver contattato i poeti disponibili a divulgare la propria opera ed esperienza nella provincia o città di appartenenza, la fondazione della regione X telefona via skype ai presidi degli istituti scolastici della provincia Y, concordando giornate di lettura, slam, approfondimenti… Progetti e programmi ulteriori dovranno tener presente che le fondazioni supportano i poeti nella promozione, nella diffusione e nelle traduzione delle opere, collegandoli con istituzioni europee e programmi di scambio culturale. I poeti possono partecipare a diversi programmi, tramite bando e attraverso una selezione che osservi le pubblicazioni, le prefazioni, le recensioni, gli inviti alle manifestazioni e le traduzioni. Le fondazioni si occuperanno anche di supportare le associazioni e gli editori sul territorio, attivando programmi analoghi per poeti stranieri.

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Il poeta è un cittadino dell’universo, e di fronte agli individui a cui presenta la propria opera ha moltissime responsabilità: quanto può valere la sua visione nel sentire assieme?

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

La potenza e la forza hanno l’aspetto di muscoli e tendini tesi al disastro, scrivevo: credo nel lavoro matto e disperatissimo, probabilmente ispirato da qualsiasi cosa e volutamente rischiosissimo, visti i risultati formalisti di molti poeti: “Il poeta agisce sull’opera, la modifica più volte in corso di formazione, ne è orientato: si potrebbe pensare che l’azione del poeta, tutto il suo labor formativo, sia anche un test. Ogni volta che ci lavora, o che riprende il lavoro, è una performance, e allo stesso tempo un test: la modifica in base all’ideologia di partenza, perché é stato travolto da nuovi orientamenti; può operare delle variazioni alla sua stessa ideologia, considerando i nuovi elementi; può cambiare il processo formativo scelto, rimescolare le carte, la sua casa può diventare a un tratto il caos, libri aperti ovunque, fogli sparsi, i vicini potrebbero udire delle grida, pianti, canti [e silenzi].
Durante il processo di formazione, il materiale prodotto e gli spunti non sono mai accessori, ma fortemente orientativi, e il processo di formazione (la stessa formatività dell’artista) accade, l’azione genera l’opera; il poeta è condizionato dal suo abituale modo di approcciare la formazione, ma non teme l’azione che genera l’opera, nemmeno quando dis-orienta la stessa ideologia/spunto di partenza – preciso questo perché poeti interessanti cadono vittime di impostazioni (teoretiche, ritmiche, metriche, etc.) che assumono nella formatività, le quali danno sicurezze e forniscono riconoscibilità, ma “ipostatizzando” l’opera formata: il rischio è di far leggere gli strumenti come sussistenti per se stessi.”

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

La poesia è molto di più di questi elementi presi singolarmente, che sono ugualmente importanti; vorrei essere in ognuno di loro, uno spazio non spazio nel tempo; oppure impressioni di colore nella coincidenza dei regni, avrei detto a vent’anni, nel mare calmo con occhi umani.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

Mi rendo conto che quando l’ascoltano, capiscono e giudicano cosa è bello e cosa non lo è; parlano vivacemente dei temi, di ritmi, di musicalità; con molta sincerità contestano alcuni autori. Abbiamo portato a Trieste poeti diversi: ascoltare molte voci, ha il significato di moltiplicare le idee.

 

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Il vento va e poi ritorna è il titolo del libro autobiografico di Vladimir Bukovski. In questo libro descrive le letture in Piazza Majakovskij a Mosca, dove i poeti si riunivano a leggere alla presenza di molte persone, finché gli agenti antisommossa non facevano sfollare la gente e gli agenti del KGB arrestavano gli organizzatori.
Non ho mai pensato a cosa facessero questi poeti per sopravvivere: ho il sospetto che non fossero dei privilegiati; e non trovo contraddizioni nel fatto che si possa scrivere poesia anche in condizioni meno avverse, come avere un lavoro o fare di mestiere lo scrittore.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Ricordo la poesia di Rafael Alberti, Balada para los poetas andaluces de hoy, con l’augurio che la poesia possa essere ancora canto di tutti gli uomini. Se è quella che sta dentro di te prima che nascesse il mare e tu, allora sono convinto che ce la farà.

 


 

Christian Sinicco, nato a Trieste nel 1975, poeta, si occupa di critica su Metabolgia e su Mare del Poema, dove ospita testi, saggi, interviste e riflessioni sulla scena poetica contemporanea.
E’stato caporedattore di Fucine Mute Webmagazine. E’stato molto attivo nella promozione e diffusione della poesia sul collective multimedia blog di Absolute Poetry. Ha collaborato a Land Magazine. Ha collaborato con Village, il blog di Libri Scheiwiller. Collabora con Argo. Nel 1999 fonda, insieme ad altri poeti, l’Associazione “Gli Ammutinati”. Nel 2005 pubblica “passando per New York” (LietoColle) con prefazione di Cristina Benussi. E’ il segretario artistico di TriestePoesia. Come performer collabora con i Baby Gelido, fondendo parola, musica e teatro, muovendo gli automi della poesia sulla scena.

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