A proposito di “Addio alle Armi” n.5: Lorenzo Mari

 

 

Benvenuta militanza
Appunti in progress

  1. In un preciso momento storico in cui la crisi della critica militante, che perdura da decenni, si è acuita fino a creare spaccature enormi, monumentali faglie sismiche, nelle quali sono cadute varie esperienze e altre hanno provato ad emergere, ma con la debolezza di un lavoro residuale, revanscista, resistente, ma nella pura e semplice distorsione della resistenza, giunge la proposta di deporre le armi.
  2. Non è improprio, forse, chiedere di deporre soltanto le armi inceppate.
  3. Armi ridicole: sono quelle che feriscono di più.
  4. Una di queste armi inceppate sembra essere costituita oggi dalla poetica. L’autismo corale della rete ha visto una proliferazione di poetiche e, insieme, di prospettive critiche spesso improvvisate, amicali, ombelicali.
  5. Chi ha l’autorità per dettare legge, nel Caos? Chi è militante certo no; la militanza si può apprestare, semmai, al lavoro e alla fatica di svuotare di senso la legge, proponendo parole diverse e devianti, ma non si può ergere ancora una volta a dettar legge. Per chi lo farebbe?
  6. Le parole della divergenza sono la spaccatura e la sua verbalizzazione, anch’essa divergente. In questa contraddizione, e solo in questa, da un punto di vista militante, possono nascere alleanza, affinità, interesse e comunità.
  7. Proposizione perfetta, onde tenersi in equilibrio sulla faglia, senza cadere: se la militanza pratica alleanza, affinità, interesse e comunità, non esclude il dialogo; il dialogo, se pratica alleanza, affinità, interesse e comunità, non esclude la militanza.

Redazione
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5 Comments

  • Grazie per l’intervento, Mimmo, che condivido e che è effettivamente già molto più articolato del mio post… Occorre ragionarci più a lungo, ma dall’interno di certe dinamiche resto personalmente sempre più invischiato nelle ideologie culturali di cui sopra… More to come, insomma, e si spera da parte di molti, e chiaramente non solo qui…

  • Davvero non riesco a vedere traccia di “debolismo” nello scritto di Mari. Se non per qualche singola parola che coincide con quella visione epistemologica. E in ogni caso dire che una cosa è finita non la fa finire (c’è un bel saggio di Jameson che invita a leggere la caduta delle torri gemelle come un inganno perpetrato dal postmodernismo).

    Ben vengano i pensieri “precisi e netti” (ci mancherebbe!), ma cerchiamo, caro Nota, di non ripetere anche da sinistra attacchi a vuoto contro castelli abitati ormai da nessuno. Il postmodernismo non è ancora terminato perché non sono terminate le logiche di produzione che lo sostengono, ma si è evoluto in differenti ideologie culturali che lo riprendono (talvolta anche inconsapevolemente, vedi le varie declinazioni dei cultural studies provenienti dalle università statunitensi), ma di certo nessuno più parlerebbe oggi di “fine della storia”.

    Ciò detto, Mari, condivido in linea generale il tuo intervento, ma proprio per la materia di cui tratta, avrei preferito una scrittura meno sincopata e più ragionata.

  • Grazie, Davide e Luigi, per la lettura, e in ogni caso: non credo che quanto ho scritto, e la mia interpretazione di quanto è stato, è e potrà essere “Addio alle armi”, si possa rubricare così facilmente sotto il segno del debolismo postmoderno, anche se sono disposto a discutere l’ambiguità, in questo senso, di alcuni miei punti, certamente…
    Come dice Luigi, sono d’accordo, anche se forse non traspare, sulla necessità di posizioni nette, ma non sull’attitudine ad istituire canoni che durano quattro/cinque giorni, tanto quanto la visibilità di un post su un blog. La critica militante rischia di essere una conventicola snob di singoli illuminati, che si somma alle tante conventicole che ci sono già, nella poesia e nella generalità del dibattito culturale.
    Si può fare critica militante, oggi? Assolutamente sì. Ma non ridendocela e cantandocela tra di noi. Si rischia di perdere di vista molta poesia, anche, così, relegandola fuori da un discorso che invece dev’essere plurale. (E non sto citando titoli di antologie.)
    “Addio alle armi” secondo me deve e può essere un invito alla lettura, e la lettura stessa poi potrà essere resistente, oppure semplice affastellamento di parole su altre parole.
    p.s., con il quale mi affosso da solo: credo che il postmoderno non sia finito completamente nè nel 2001 nè nel 2008, credo che epistemologicamente sia ancora valido, certamente più di certo nuovo realismo filosofico e di certa epicità. Questo non vuol dire che io lo stia difendendo, semplicemente, dal mio punto di vista, non sto negando la realtà al fine di criticarla.

  • In che senso, Davide?
    A me pare che quello che dici tu circa la necessità di posizioni nette e precise non si discosti poi molto da quanto afferma Mari nel suo intervento, però magari non ho capito io e per questo ti chiedo ulteriori spiegazioni.
    Luigi

  • Mi pare un proposito tipico del postmoderno e del “pensiero debole”, molto in voga negli anni ’90 come “luogo comune” che ha goduto di ampissima diffusione ma che ad oggi sinceramente risulta molto datato e senza alcuna connessione con la realtà.
    Mi paiono proprio al contrario gli anni questi in cui c’è bisogno di rimettere in piedi pensieri molto precisi e netti, in grado di istituire conflitti e di rappresentare differenze dalle forme dell’epoca, che è una fine d’epoca che può travolgerci.
    L’illusione della fine della Storia è implosa nell’immaginario con le torri gemelle l’11 settembre del 2001 e nella struttura con il crollo della bolla speculativa nel 2008. Ora ci troviamo ai bordi di una catastrofe bellica o di una transazione d’epoca inimmaginabile. Con tutto il rispetto per l’autore questo intervento mi pare molto sconnesso dalla storia del mondo e in definitiva una ripetizione dei luoghi comuni, e cioè dell’ideologia, del trentennio defunto 1978-2008.
    Davide

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