La deriva, la folle saggezza. Il respiro un po’ beat. La natura instabile che la parola poetica dovrebbe avere tra esitazioni e pause.
Questo “terribile amore per la guerra” , per la strada e per tutti i verbi aspri.
Chi è incapace di crescere in compagnia dei suoi custodi – siano essi Celan o il mare – non fa poesia. Fa qualcos’altro. Chi dalla poesia pretende solo la parte eccitante del progetto appaga soltanto una smisurata immodestia.
Non è tutto vero, non lo deve essere. Deve restare un disincanto tra il precoce e il ritardo. Letteratura? Non diciamo cazzate: quella è affinità o indifferenza, questa è storia d’ombra, al massimo di qualche spiraglio, di un filo di paura e di troppa noia.
Chi scrive condanna sempre qualcosa o qualcuno, maledice gia dagli appunti. La scrittura è l’unica arte che non si trasforma, l’unica che non ha factory, non ha cantiere: è marcia dagli esordi.
Penso alla complessità che si dice sorga dalle differenze: che vaccata micidiale. La complessità nasce dalle indifferenze, dai colori sbiaditi, dal grigiore , dalle maniche arrotolate.
Ogni parola si pretende vasta e rude, perché ogni parola è, al contempo, pianura e sgarbata… che pirla che ero a pensare che il poeta fosse un domatore.
Mettiamole lì nella scatola aperta degli arretrati del cielo, lì dove stanno le tante spese male, per insufficienza di pensiero o mancanza di strumenti, che poi, a ben vedere, non fa tanta differenza.
Abbiate frequenti esperienze fallimentari e poi andatevene in fretta: mi sembra l’essenza dell’uomo ragno, invece è la storiella del poetino che sembra avventura, ma è solo scorreria, sembra sapiens, ma è solamente entusiasmo.
Voglio conoscere qualcuno che abbia imparato dagli errori, ne ho la stessa curiosità come di incontrare qualcuno che indossa ancora le camicie di flanella.
Se c’è qualcosa che ho imparato dalla poesia – e ne dubito – è che si devono compiere atti eroici per cancellare ogni traccia di visibilità.
Scappate compagni, scappate