Poesia 2.0

lascia che a dire siano le cose
gli abitatori del mondo addossati alla cruna
dell’ago, le lingue impresse a memoria

l’elencazione dei nomi dei morti toglie il respiro

tempo è di dare le mani nell’andirivieni dei vivi
fermare gli occhi, lo sguardo a chi trema
— Federico Federici

Poesia, il mercato delle vanità – l’altra faccia della patacca

 

di Riccardo Raimondo

«Si sa, la poesia oggi non  vende!» – ma è colpa dei lettori! Colpa della gente incolta che non capisce queste cose… «La poesia, la poesia non ha mercato!».
Eppure, nonostante queste affermazioni che sanno molto di apocalittici – per dirla con Umberto Eco – c’è tutto un cicaleccio editoriale che ruota intorno al mondo della poesia.
Fioriscono festival, si lanciano antologie generazionali, si animano riviste e programmi radio!
Ma come? Dicono che non c’è mercato!

Viste dall’esterno le attività che ruotano intorno alla poesia in Italia appaiono come delle isole felici in un mare di pescecani. Isole protette con passione e tenacia dai pochi (troppi?!) editori e critici che si dedicano a questa dura (velleitaria?!) missione letteraria.

La realtà, come sempre, è più complessa. È ben altra.
La partecipazione alla maggior parte dei festival è a titolo gratuito, moltissimi non pagano neanche il biglietto del viaggio. Molti editori – e parlo degli editori più affermati, quelli più in voga, non solo dei piccoli editori, o degli “indipendenti” (che poi, che significa indipendenti? Indipendenti da cosa?) – sono solo formati da una/due persone e un magazzino: della serie due cuori e una capanna.
Due persone e un magazzino che decidono le sorti di un poeta, la sua qualità, il suo peso.

E quasi tutti gli editori, persino quelli che millantano premi dai titoli più originali – della serie ti pubblichiamo, ti leggiamo, concorso pubblica con noi – alla fine chiedono una somma, un contributo agli autori. Contributo che può variare in base all’occasione, al rapporto d’amicizia, all’opinione che l’editore si fa di te.
Ad esempio, se sei un giovinetto aitante e figlio di papà, è molto probabile che l’editore ti chiederà qualche migliaia di euro. Oppure, se sei un disoccupato sensibile e commovente, e sei amico dell’editore, è moltissimo probabile che ti saranno chieste solo le spese di stampa.
Il criterio della selezione? È tutto un circo…

La poesia oggi è diventata il viagra dell’ego. È un mondo di miseria e frustrazione, è un mercato di vanità, dove vanno avanti solo strane figure umane, decisamente letterarie – su questo non si discute.
C’è la coccotte che conduce programmi radio con diecimila amici su facebook, oppure la sciantosa del duemila nonché performer, nonché pure un po’ mignotta, e c’è la ragazzina gentile che scrive sempre ti voglio bene quando civetta nella bacheca dei poeti e dei critici importanti, e poi c’è il cane da festival, quello che conosce tutti, sa tutto di tutto, viaggia sempre (a sue spese naturalmente!) e partecipa a tutti i festival in cui gli è possibile. E poi c’è “il critico che lavora all’università” – poco importa cosa faccia, se il bidello o il lavoratore a contratto; ciò che importa è se può permettersi o meno “il lusso” di organizzare anche un piccolo convegno/presentazione editoriale con il logo dell’Alma Mater Studiorum, et similia.
E poi c’è il vincitore di concorsi, quello che li vince tutti. E poi ancora, c’è il parente del poeta importante – lui sì che ha tante porte aperte, anche solo per simpatia.
Ma il personaggio più grottesco di tutti nel monto della poesia contemporanea è indubbiamente il promotore culturale, l’organizzatore di eventi che scrive poesie. Con questo personaggio si cade davvero in basso. Essì, perché questi personaggi, spesso e volentieri poeti molto mediocri, riescono a utilizzare il palcoscenico, l’evento culturale (!), il cultural event (!!), come grande merce di scambio.
Nella migliore delle ipotesi, collusi con qualche politicuccio locale o con qualche rotary club di turno, queste personalità riescono a pagare il viaggio, o a dare addirittura un gettone di presenza, a qualche poeta o critico importante – e magari ci esce fuori la recensioncina! Oppure, poi, ci esce un «ma lo sa che sto curando un’antologia?» a cui seguirà un velocissimo «Ah, sì? Allora posso inviarle i miei versi?» (!!!).

A questi famigerati festival, per lo più messi su con piccoli sponsor, poi, diciamoci la verità, se si vendono venti libri è un successone!
Ma allora come si sostenta il mercato della poesia oggi?
Insomma, al di là di tutto il fumo e la promessa d’arrosto, chi paga le bollette?

Mi verrebbe da dire: i poveri genitori di tutta questa massa di pazzi! Le povere mamme e i poveri papà che campano di rendita o di pensione! E non mi discosto di troppo dalla realtà…

Ma perché la gente non compra i libri di poesia, nonostante ci sia tanto movimento, tanto cicaleccio? Possiamo provare a dare delle risposte. Parziali, limitate al mio piccolo punto di vista. Ma diamole.

Gli editori sono distratti: quando gli mandate qualcosa da leggere, non ci mettono tanta attenzione. Sono così impegnati a cercare di pagare le bollette, che non hanno il tempo di leggere e selezionare nuovi poeti – d’altronde perché dovrebbero? Hanno già una sfilza di pubblicazioni da terminare! E chi sono?
Per lo più amici, amici di amici e/o amici di amici critici letterari e/o di amici di critici letterari, professori universitari, o gente che paga moltissimo la sua pubblicazione.
Non c’è spazio per trovare il vero talento!

Tanto, poi, in tutto questo marasma, qualcuno che che scrivere versetti simpatici si trova, si trova sempre.
La frase «abbiamo il catalogo chiuso fino al duemilaquarantacinque!» – ormai è diventata un classico, un cult.
I critici poi, tutti concentrati a cercare un palcoscenico migliore, una copertina più patinata, sfruttano i loro rapporti editoriali proprio come farebbe il peggiore politico con un gioco di clientele: si scambiano favori, citano amici per poter essere citati, aggiungono alle loro antologie poeti per arruffianarsi l’editore o il parente che conta di turno, o il critico amico.

Insomma, nessuno sembra interessato a venderli, questi libri.

Ora, se un giovane poeta, magari un lavoratore o uno studente, che ha molto da fare, e che non ha tempo di tessere i rapporti, di passare ore su facebook ad arruffianarsi il personaggio di turno, o non ha il denaro per partecipare ai festival gratuitamente (anche quando è ben voluto!), come fa ad entrare nel mercato della poesia?

Bé, semplicemente, non ci entra! Appunto, perché non c’è Il Mercato! E potrà solo sperare che nessuno si dimentichi di lui!
Ma non c’è mercato perché i meccanismi editoriali sono tutti tesi a soddisfare dinamiche viziate, invece che a rivolgersi a un pubblico di lettori cosa che – per quanto molti, con la puzza sotto il naso, potranno considerare un degrado della letteratura –  sarebbe la caratteristica di un sistema sano.
Non solo sano, ma anche più realistico e meritocratico.
Perché nessuno editore si pone il problema? Perché nessun editore ha il coraggio di investire davvero in un’operazione sana e commerciale che riguardi la poesia, all’infuori di questa fanghiglia?

Se il metro di giudizio delle opere poetiche fosse il cuore della gente, e non le dinamiche clientelari, non solo gli editori potrebbero meglio sostentarsi, ma anche i critici – trovandosi ad avere a che fare con un mercato più florido, più disteso – avrebbero più tempo e risorse per dedicarsi agli argomenti e ai poeti che più amano, anche alle cose più di nicchia (!!!), invece di dover sottostare a una rete di rapporti culturali/clientelari che succhia loro tempo ed energie.

Non credete sia arrivato il momento di cambiare registro?

Fondata e diretta da Luigi Bosco, grazie al contributo di una lunga lista di persone, Poesia 2.0 nasce nel maggio del 2010 come risposta ai quesiti ed alle esigenze emerse all’interno di una lunga discussione su Poesia e Web che ebbe luogo sul blog di Stefano Guglielmin Blanc de ta nuque ( http://golfedombre.blogspot.com.es/2010/04/vimercate-poesia-caldo.html ).

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  1. La soluzione? Eccome se ci sarebbe. Tutti coloro che scrivono o credono di scrivere poesia, se sono onesti, per il bene della poesia, non possono non desiderare che “vinca la poesia più universalmente riconosciuta tale. Dunque perchè questo accada, nessuno pubblichi più a pagamento. Si dichiari che da oggi in poi ogni “poeta” vorrà essere giudicato solo in anonimo e pubblicato solo se avrà l’assenso di un larghissimo(ordine di migliaia) numero di lettori(compresi i critici). Il meccanismo, se le case editrici che non hanno abdicato al loro ruolo culturale sono interessate a trovare una poesia che venderà se non altro perchè avrà avuto approvazione larghissima e indipendente, d’accordo con numerosi siti di poesia, potranno facilmente trovare un sistema per mettere on line, una cinquina-decina di poesie per autore nei tempi e modi opportuni per ricevere un giudizio dai lettori, per es. con il sistema delle firme-appello, pubblicizzando la cosa nelle scuole, università,etc…
    E’ utopia ? Assurda provocazione? Forse, ma in poesia, come in ogni arte tutto è imprevedibile, tutto è possibile.
    Annamaria Ferramosca

  2. Cara Annamaria,
    invece no! Non è affatto utopia! Anzi!
    Mi sembra una proposta interessantissima, e d’altronde oggi internet – al di là del disordine in cui può sprofondare – può essere un grande strumento di democrazia e mreritocrazia.

    Metto in saccoccia questo tuo intervento, per riportarlo in un continuum della polemica.

    Essì, perché non finisce qui… (:

    Grazie!

  3. Sono d’accordo (quasi scontato dirlo) quasi su tutto. D’altronde il problema è palese.
    Mi chiedo però se non sia giunto “il momento di cambiare registro” anche da parte nostra. E cioè: andare oltre la critica o la denuncia fine a se stessa, proponendo dell possibilità fattibili e concrete.
    E, siccome “non finisce qui”, aspetto di vedere il seguito :)

    Ad ogni modo un ottimo spunto su cui bisogna continuare a ragionare insieme per cercare possibili risposte – alcune tra un po’ arriveranno su queste pagine direttamente dagli editori.

    Luigi B.

  4. grazie, Riccardo.grazie Luigi. lo so che la mia provocazione riceve consensi,sebbene ci siano poi molte inerzie.forse, nonostante le difficoltà, qualcosa di concreto oggi potrebbe muoversi. basta infatti con il solo “indignarsi”. cominciamo tutti a prendere posizione,diffondere,muoverci.

  5. Cara Annamaria,
    sono perfettamente d’accordo con te.

    Infatti questo mio articoletto è solo un primo step.
    Un modo per “prendere posizione”.

    (:

    grazie

  6. certo c’è del marcio nel regno di danimarca, ma coniugare ‘poesia e mercato’ e ‘poesia e giudizio popolare’ è pericoloso: i gusti poco esercitati non possono diventare modello; il numero di copie vendute non può essere indicatore di qualità.

    condivido il giudizio sugli editori (che ho espresso più volte nel mio blog).

    Dico che la fiera dell’ego è propria alle mezze cartucce che in rete pullulano con i loro versi ben educati. Ma c’è dell’altro, a ben cercare. altro rispetto al ventaglio che Raimondo ci paventa con tanto allarmismo. I poeti che conta leggere non sono migliaia, bensì poche decine (qualcuno magari è un coglione, ma scrive cose interessanti, malgrado lui o lei: perché metergli una pietra sopra?)

  7. Gentile Riccardo mi trovo a concordare parzialmente con quanto hai scritto: quello che dici è sicuramente tutto vero, ma è il punto di vista che non sempre riesco a condividere. Ci saranno probabilmente molte persone che “usano” la poesia per soddisfare la propria velleità, ma ci sono anche tante persone che si dedicano alla poesia e alla sua diffusione con serietà, impegno e passione. Tra i milioni di festival di poesia e di eventi a lei dedicati ce ne saranno sicuramente di seri, forse proprio i più piccoli e sconosciuti, organizzati da quei personaggi che tu definisci i più grotteschi di tutti e che invece magari utilizzano il loro tempo e il loro denaro per un evento poetico al quale, alla fine partecipano sì e no 20 persone, autori compresi, anziché andarsene a divertire in giro pensando a cose più proficue da fare.
    Ritengo quindi giusto denunciare la bassezza di certe situazioni inerenti il nostro mondo poetico, ma considero altrettanto importante non fare di tutta un’erba un fascio.
    Vorrei anche rispondere alla proposta di Annamaria che, da un punto di vista teorico trovo ottima, ma che, secondo me, cade del tutto davanti alla realtà dei fatti: prima cosa l’anonimato; figuriamoci! non ho mai conosciuto persone più esibizioniste ed egocentriche di coloro che si professano poeti! (anche qui ovviamente ci sono le eccezioni, meno male!); in merito “all’assenso di un larghissimo(ordine di migliaia) numero di lettori(compresi i critici)” siamo nella pura utopia e per due motivi, prima di tutto perché non ci saranno mai migliaia di persone che leggeranno la poesia (ci sono invece migliaia di poesie scritte e pochissimi lettori) e poi questo assenso se fosse anche dato avrebbe veramente rilevanza? ovvero, faccio un esempio… milioni di persone seguono alla TV dei programmi orribili, basti pensare alle fiction, e sbadigliano davanti ad un film capolavoro. Non immagino cosa farebbero costoro davanti alla poesia; tutti ad applaudire per la filastrocca tutta rime!;
    Insomma il discorso è lunghissimo, estremamente complesso e ci sarebbe da scriverne per giorni e giorni, a non finire.
    Cinzia Marulli

  8. Grazie Gugl e Cinzia!

    Faccio tesoro dei vostri punti di vista, e spero di soddisfare più le vostre aspettative in prossimi interventi.

  9. Bene: qui c’è un utile scambio di idee che -siamo un po’ ottimisti!- potrebbe aprire un minimo varco al degrado, in gran parte reale, di cui parla Riccardo. Se è vero che qualche editore sensibile, come anticipa Luigi, interverrà con idee concrete, per il bene esclusivo della poesia .
    Due nodi devono però a mio parere essere sciolti, per sgombrare il pensiero da ogni anche involontaria ambiguità.
    Il primo: l’idea che la poesia non possa essere sottoposta ad un giudizio estetico larghissimo per un presunto scarso esercizio del gusto da parte dei lettori. Vedrei questa come una pericolosa deriva elitaria, paragonabile -con le dovute distanze- alla improponibile decisione di escludere dal voto politico gran parte di una popolazione perché “digiuna di politica”! Nell’idea utopica da me offerta al dibattito si presume infatti che la maggior parte dei lettori che esprimerebbero in rete il loro gradimento o rifiuto di una scrittura, spendendo tempo per leggere, siano nei grandi numeri non proprio rozzi, bensì disposti a saggiare il loro coinvolgimento emotivo magari anche impegnandosi ad acquistare poi la raccolta maggiormente votata. Questo genere di lettori non sono di certo gli amanti di rime orecchiabili, che preferiscono di gran lunga passare il tempo ad ascoltare canzoni o guradare ciarpame televisivo . Dunque una composizione larga di votanti “sensibili” potrebbe essere una garanzia e dovrebbe essere cercata e premiata.
    E il numero di copie vendute, sì, potrebbe impennarsi (ma non accade mai in poesia!)per larghi bacini amicali, do ut des, meschini ed effimeri passaparola,etc., ma mai nel lungo tempo potrà decretare la qualità di una scrittura. Questa scrittura, e la poesia lo fa fin dai tempi della trasmissione orale, basa la sua qualità durevole solo sul consenso universale e sulla memorabilità.
    Il secondo punto è il pregiudizio in cui noi scriventi spesso incorriamo, magari escludendoci benevolmente, ed è proprio il ritenere che la maggioranza sia talmente obnubilata dal proprio ego, da rifiutare di sottoporsi ad un giudizio largo, ad un a verifica di certo più limpida di quella dettata dal proprio ego o da una cerchia più o meno benevola e/o riconoscente. Ebbene, credo che quei pochissimi veri poeti di cui parla Gugl -ci giurerei- correrebbero perché sicuri della propria scrittura, per farsi giudicare in anonimo!(beninteso con una correttissima prassi e grandi numeri di votanti). Sappiamo tutti, a meno che non si sia cerebrolesi o a dir poco vacuo-saccenti, che in poesia non è il Nome che conta(Borges lo ha teorizzato), ma la traccia in parole di un cammino condiviso e universale, memorabile.
    Certamente oggi l’abnorme numero di scriventi(ma meglio scrivere che malversare!), siano essi veri poeti o solo dilettanti, pone problemi di non facile soluzione perché possa emergere ed essere riconosciuta poesia valida. Occorrerebbe approfondire una prassi senza aspetti mercantili, coinvolgendo autori, lettori, critici, editori (che non hanno rinunciato al loro ruolo culturale), studenti, e soprattutto i media, tra cui oggi è regina la rete . Con il suo formidabile potenziale, internet è il mezzo più agile per dilatare idee sul territorio, “fare movimento” per poi “fare” davvero.
    E sento spesso: ma tutto questo cui prodest? meglio lasciare tutto com’è! Che poi è il senso ultimo di molte critiche: trovare lo status quo la cosa più comoda, di certo per gli autori e gli editori che pubblicano a pagamento, ma una vera asfissia per la poesia da salvare.
    scusandomi per la prolissità,
    annamaria ferramosca

  10. Gugl dice che sono poche decine i poeti che conta leggere, ma già lui ne propone in rete poche centinaia. Possibile che egli proponga anche poeti che “non conta leggere”? E che le selezioni altrui apportino un contributo nullo?

    Sacrosanto invece che “i gusti poco esercitati non possono diventare modello”. C’è da chiedersi se l’esercizio in sé sia un processo convergente oppure divergente (in mancanza dell’imposizione autoritaria – cioè scolastica – di un canone). Direi convergente su piccola scala (gruppi di frequentazione elettiva => inibizione della facoltà critica interna al gruppo) e divergente in quella grande (=> disconoscimento reciproco – de facto – delle gerarchie rivali).

    Il fenomeno si spiega probabilmente con la preponderanza della componente affettiva, che impedisce intersoggettivazioni non carismatiche.

  11. la proposta della Ferramosca quello del gratis eccetera vagola da anni in rete inascoltata e ferita da gran parte di quelli che oggi si fanno vanto di averla pensata perché mica è la prima lei nell’ anno 2011 a metterla come soluzione alla supposta stasi della poesia. anzi: fa molto cult oggi questa proposta.
    non capisco la fregola di “fare vivere” la poesia. forse è la fregola di venderla che stoppa le spinte d’ arrembaggio della propagazione e s’ ammoscia tra le mani degli stessi “venditori della loro poesia”
    un saluto
    paola lovisolo (cara polvere)

  12. L’idea di una poesia “da valutare in anonimo”, nata come progetto sempre aperto a gli apporti utili a migliorarla,è stata da me lanciata sul sito Klepsydra di Anila Resuli
    http://www.clepsydraedizioni.com/progetto-poesia-anonima/
    nell’aprile 2009, ottenendo molti consensi e poi fatta propria da alcuni siti,come per esempio in alcune iniziative di poiein.it.
    Il progetto ha la pretesa di lanciare un sasso non tra i tanti inerti, bravi solo a criticare perchè venga lasciato com’è lo status quo, ma tra i moltissimi veri amanti della vera poesia che vorrebbero poter trovare pubblicata poesia valida, perchè onestamente vagliata, anzichè la poltiglia sterminata e indistinta che ci sommerge.
    annamaria ferramosca

  13. nel progetto si parla più che altro di SELEZIONE di testi anonimi non di pubblicazione. cioè un gruppetto scelto selezione poesie altrettanto scelte senza favorirsi eventualmente del traino suggestivo del nome. la situazione è proprio grave se per farci commuovere dalla poesia e non dalle influenze sentimentali amicali che legano al “poeta” si debba ricorrere ad una “selezione anonima” di un fantomatico gruppo preposto alla scelta – ma chi mi dice che il gruppo sa distinguere la poesia buona da quella “poltiglia sterminata e indistinta che ci sommerge”?che poi la pubblicazione comunque avverrebbe con il nome del poeta immagino e quindi pure la vendita e l’ introito no?

    sono della idea che si sarebbe dovuta esercitare PRIMA la critica ai testi degli amici vari e dire : NON MI PIACE e motivare il perché con gli strumenti perCettivi a disposizione e non a priori dire ohh che meraviglia solo per solidarità. ma si sa che solo se si prova a fare la critica personale ad un testo succede l’ inferno la gaenna l’ apocalisse. quella roba che oggi viene chiamata poltiglia è anche figlia della elargita solidarietà poeticante salottiera e gruppista di chi oggi vuole ancora riunirsi in gruppo scelto per decidere da quella poltiglia di salvare la “poesia valida” da propinare al popolino poetico e considerato inetto tanto da non sapere operare un discernimento critico e che fiducioso aspetta a bocca aperta la loro scelta. ma dai. e suvvia.

    un saluto
    .paola lovisolo

  14. Parole perfette Paola. Mi chiedo perché non sia avvenuto. Penso che la poltiglia sia il risultato di milioni di decisioni reiterate, difficile pensare che vi sia stato un momento di svolta al quale sia seguita una valanga mimetica. No, ci dev’essere qualche astuzia implicita e tutta inconscia nel concetto di “amante della poesia”, perché occorre un pubblico e non occorrono nuovi poeti, e quindi sembra utile nascondere il più possibile la natura agonistica del meme e l’ovvia guerra (con tutta la sporcizia annessa) per la risorsa limitata dell’attenzione che un giorno si farà pagante. Perché se quel pubblico poltigliante (e non c’è altro pubblico) la intuisce potrebbe anche voltare le spalle ai “veri poeti” e far cadere quei poveri palchi alternativi, eternamente in cerca di potenza di fuoco.

  15. Occorrono proposte concrete, non fiumi di critiche evanescenti. Il progetto è sempre aperto,anche da stravolgere -in etica, ovviamente- suvvia.

  16. Annamaria – suvvia- mi scusi ma questa (anche se era prevedibile) non è una risposta degna della portata della discussione e se lo è ha fatto flop ma lei lo sa ovviamente perché non ha nessun interesse a far continuare questo scambio di riflessioni che un poco scopre i nervi là dove cedono e come lei altri che non sono più intervenuti ma forse chissà interverranno in seguito?… eh. appunto. quanto amore per la poesia.

    saluti
    paola

  17. @Elio
    grazie per la condivisione qui.
    paola

  18. La mia personale opinione sul tema è la seguente: mi importa un fico secco di salvare la poesia – soprattutto se si parla di salvare la poesia di qualcuno (dunque il poeta), chiunque esso sia, conosciuto o sconosciuto.

    Ora, detto in un commento che porta come firma “redazione” sembra un paradosso, visto il sito in cui ci troviamo. in realtà paradosso non è, perché – per come la vedo io – qui se c’è qualcosa da salvare non è la poesia, appunto, del poeta, o del tempo, ma la poesia in quanto luogo della parola e dello scambio della stessa con precise caratteristiche. In questo senso, la poesia è paragonabile al panda da salvare del WWF: come anello ecologico della catena del discorso.

    Sono tante le proposte emerse per salvare la poesia. Sinceramente, nessuna mi pare sia all’altezza (nessuno si offenda: è una opinione personale)per un semplice motivo: perché nessuna si preoccupa di salvare il lettore dal silenzio assordante che lo circonda. Questo è il vero problema, la vera piaga.

    La lettura è un modo di comunicare in differita, di generare scambio non di informazioni ma di tutt’altro, di costruire il discorso su cui si regge il reale al di fuori della retorica operativista dei discorsi correnti.

    La poesia è, a mio modo di vedere, un luogo che più di altri possiede questo “potere” in maniera amplificata.
    Ma la poesia è nulla senza il lettore di poesia (come, senza lettore, è nulla la narrativa di genere, la saggistica, le guide turistiche…). Il discorso è un luogo aperto vietato agli agorafobici: chi vuol mettere le porte al campo che accenda la televisione.

    Parafrasasndo il Sartre di Cos’è la letteratura, quando la parola smette di essere «appello al lettore perché conferisca un’esistenza obiettiva alla rivelazione» iniziata «per mezzo del linguaggio», allora essa diviene mortale e il suono che produce è il rumore dei cocci di un’altra opportunità andata in frantumi.

    Dunque, sempre per quel che io penso, nel momento in cui esclude la figura del lettore, di chi finisce per non far finire mai l’opera, nessuna iniziativa può essere degna di essere intrapresa.

    Questo in termini, diciamo, generici.

    Andando all’articolo che stiamo commentando: ritengo che la sovrapproduzione sia un problema – almeno per quanto mi riguarda: ho enormi difficoltà ad accettare il fatto che non potrò mai leggere TUTTO. Una difficoltà resa ancor più insidiosa nel momento in cui rende a volte quasi impossibile compiere una scelta che non sia guidata dal caso. in questo senso, oltre alla sovrapproduzione editoriale, abbiamo anche un problema che si chiama assenza (o falsa presenza o confusione o dispersione) della critica. Prima, insomma, di andare a caccia dell’autore, mi ritrovo nel bisogno di andare a caccia del mio spirito guida, di colui che ritengo possa offrirmi una via da percorrere e di cui mi posso fidare.

    Magari il mio è un approccio un po’ viscerale (e spesso lo è, lo riconosco), ma la cosa non toglie il fatto che le stesse difficoltà possano colpire altri o molti.

    Dunque, bene la famosa “decrescita editoriale”, tema al quale mi sto interessando (come altri in questo sito – vedi Assiri)anche se con molta riserva. Però qui c’è bisogno di pensare al modo migliore di “tirar su” dei buoni lettori, capaci di orientarsi e giostrarsi nella marea di offerta letteraria che c’è in giro.

    Ovviamente, se parliamo della letteratura “da camera” o “di compagnia”, risparmiamo pure il fiato. Se stiamo invece parlando di quella letteratura che ti cambia mentre la leggi e che cambia quando la rileggi, allora è un altro discorso.

    La questione è dunque: quanta letteratura corrisponde alla seconda descrizione? per quanto mi riguarda: pochissima.
    quanti libri di poesia recensiti, prefati, postfatti etc. hanno realmente colpito il cuore del relatore? quanti libri possono vantarsi di aver cambiato la storia di un lettore, le sue connessioni cerebrali?

    Di questo mi piacerebbe parlare quando si parla di editoria e di selezione.

    Qui non c’è da decidere un bel niente. Nel momento in cui è deciso, è morto. è finito tutto. E fortunatamente pare che così non sia – altrimenti i numerosi canoni offerti da bloom nella sua ipertrofica bibliografia basterebbero fino all’estinzione della specie.
    qui quello che c’è da fare è parlare per costruire continuamente una nuova e rinnovata realtà. Punto. Per questo parliamo. Per questo scriviamo. Perché non abbiamo la più lontana idea di che cosa diavolo facciamo qui.

    Tirar fuori la letteratura dai giochi economici e di mercato è possibile solo attraverso un miglioramento della lettura.

    Fintanto che stiamo qui a discutere sulle magagne della editoria (cosa giusta sempre che, come suggerivo a Raimondo, la critica porti con sé una alternativa e non finisca in una porta sbattuta in faccia a nessuno o in un “armiamoci e partite”)stiamo battendo la testa contro il muro sbagliato.

    Fine del pensiero secondo me.

    Luigi B.

  19. Piccola postilla:

    bisogna poi cominciare a rendersi conto con lucidità su quanto la “mediatizzazione” della vita e degli eventi influisca sulla percezione che si ha della poesia (come qualità, diffusione etc.).
    Cioè: se nel buco del culo del mondo ci sono 4 gatti rinchiusi in una osteria ad ubriacarsi leggendo versi bellissimi, è o non è poesia? lo è anche se il resto del mondo non lo saprà mai? è necessario ridurre il numero dei poeti per togliere la poltiglia o per lasciare solo i 4 o 5 prescelti con cui riempire tutti gli spazi web, museali, riviste e giornali etc. per dare l’impressione che la poesia c’è?

    fine della piccola postilla.

    Luigi B.

  20. “Tirar fuori la letteratura dai giochi economici e di mercato è possibile solo attraverso un miglioramento della lettura.”

    miglioramnto della lettura? cioè? se è della lettura critica che scrivi è quello che ho scritto prima e prima di me Elio dal quale ho tratto spunto quindi non sono io che sbatto la testa contro il muro ma chi ha la presunzione che basti levare il nome dalla poesia di un “amico” o di un “nemico” per salvare la “poesia valida”. vedi sopra.
    ribadisco il mio pensiero che certo verrà a tedio : non tutti sanno farsi narratori non tutti sanno farsi fare dalla poesia. molti dei libri-poltiglia di poesia sono stati fatti pubblicare dagli autori a caro prezzo sull’ onda emotiva di qualche decina di amici compiacenti che MAI MAI MAI hanno osato pronunciare onestamente una loro sensazione negativa sui testi in nome della solidarietà ma sempre pronti invece a levate di scudi se solo ci si azzardasse a fare qualche appunto critico senza coinvolgimenti amicali né sentimentali.ancora a monte: è talmente facile e fico nominarsi poeti che poi tutto quello che viene vuoi che non sia poesia? a maggior ragione se la coorte ben addomesticata prima al lecchinaggio acclama e si complimenta. lo ammetto: bisogna essere degli artisti accidenti! e così certa poltiglia di scontatezze piattume e insonorità viene propinata a pagamento come fosse un favore che viene concesso al lettore. ma poi sono cose che ho già scritto ma non credo siano state prese almeno un po’ in considerazione col beneficio del dubbio e allora poi ci si scoccia di ululare a lune di cartone o a buttare e tutto rimane come prima. :-) un saluto. paola.

    ps: i versi bellissimi tra quattro ubriachi in quel momento curano i quattro ubriachi che se li leggono sanno che è poesia altrimenti proprio perché ubriachi potrebbero leggere poltiglia ma invece leggono poesia bellissima e in quel momento ne sono toccati e se ne impippano del mondo. il mondo è quell’ istante. il mondo è in istanti. la vedo così-
    paola

  21. Paola il mio non era una accusa diretta a nessuno in particolare, dunque non c’è nulla da cui chiamarsi fuori.
    Non è della lettura critica degli amici critici che parlo, ma della lettura di tutti intesa come pratica della costruzione del discorso.
    A differenza di Gugl (sempre che non abbia frainteso), io non ne faccio una questione di gusti ma una questione di pratica del discorso a cui ci stiamo un po’ tutti disabituando.

    Non sono i gusti poco esercitati a non poter diventare modello, ma i discorsi ridotti al grado zero, operativi, quelli in cui alla parola non corrisponde più un concetto ma una operazione. Sono i discorsi abbreviati e monosillabici di twitter e gli slogan pubblicitari a non poter essere modello.

    La questione del gusto si lega secondo me più alla costruzione del canone (questo poeta piuttosto che quello) che mi interessa ma relativamente. Ciò che è necessario torni di moda è il discorso, la discussione, lo scambio – non neecssariamente a livello mediatico. Insomma: la letteratura, che non sono i libri ma i discorsi che da essi vengono fuori.

    In altre parole: un’operazione sulla scuola, una rivendicazione di una migliore istruzione, una presenza maggiore nei contesti istituzionali della istruzione è amio avviso molto più utile che una battaglia contro l’editoria a pagamento. Ognuno però fa le battaglie che gli pare, ovviamente.

  22. mi interessa, luigi, il tuo discorso sulle soluzioni che – ne convengo- sono complesse e di estrema difficoltà, tanto che ti inducono a dire che non dobbiamo decidere nulla, ma solo continuare a scambiare, a parlare. di sicuro è quello che sempre facciamo, ma forse, in un tempo in cui lo scambio e la tecnologia sono ormai evolutissimi, mi aspetterei qualche prospettiva più consolante e costruttiva.

    provo a sintetizzare i tuoi fuochi:
    1)vi è sovrapproduzione editoriale. soluzione:lavorare per la decrescita. sono d’accordissimo. ma si potrà pure fare singolarmente e/o collettivamente qualcosa,(come lettori, soprattutto) con i mezzi che abbiamo oggi, per vanificare i giri amicali, economici?
    2) cercare lo spirito guida. personalmente ho faticato e fatico molto a cercarlo, finendo per andare sull’onda della mia sensibilità che può anche tradire, a volte. quali altre soluzioni? in pratica: cosa consiglieresti ad un lettore non proprio digiuno (magari ha già letto i classici e i nobel), che in libreria ti chiedesse di voler leggere poesia italiana contemporanea ? qui credo ci sia il deserto, un brancolare infinito… certamente lo scoglio è chi seleziona chi. come se ne esce, se non immaginando un metodo largamente condiviso, tutto da costruire?
    3)dici: occorre incrementare la lettura, esigere una formazione migliore nelle scuole di ogni grado. ottimo, da sempre i movimenti studenteschi combattono per questo, e possiamo di sicuro nel nostro piccolo fare di più (chi è anche insegnante ne conosce la fatica) ma ancora non credo che basti.
    4) dici: oggi c’è solo da parlare, scambiare. certo, è quello che facciamo da sempre, ognuno porta umilmente la sua idea e vorrebbe migliorarla o passare ad un’altra migliore… ed e’ proprio partendo dallo scambio necessario,senza animosità e pregiudizi, che poi, chissà, si potrà pure fare qualcosa. non certo con battaglie “armiamoci e partite”, ma con quelle”parliamo e facciamo, tutti insieme, autori, lettori, critici, editori”. io almeno così la vedo e continuerò a parlare/scambiare al riguardo, senza riserve, con molta fiducia. se poi , come forse mi pare di capire, siamo ancora nella fase del solo parlare, vorrà dire che occorrerà ancora aspettare…ma… non avevi detto che avrebbe partecipato alla discussione anche qualche editore?
    intanto ringrazio tutti per il contributo a chiarire.
    annamaria ferramosca

  23. Così come sta avvenendo fortunatamente (nel senso che ci sentiamo protagonisti del fenomeno ;) nel settore dei libri giruidici professionali anche nel settore della poesia sta emergendo la distribuzione via ebook oppure no? E’ gradita dal lettore appassionato di poesie l’esperienza e-reader?

  24. In questo periodo mi sto rendendo conto che non vale la pena di fare tanto gli schizzinosi con la piccola editoria a pagamento. Alcuni piccoli editori che chiedono un contributo all’autore, ebbene un pagamento, lavorano seriamente.

    E poi consideriamo: se Rimbaud non avesse pubblicato a pagamento “Une Saison en enfer”, a spese ovviamente della sua mamma, chissà se oggi avremmo traccia di quest’opera esattamente come la volle l’autore. Marina Cvetaeva pubblicò a proprie spese la sua prima raccolta di poesie. Per non parlare della Quarta parte di “Così parlò Zarathustra” che Nietzche fece pubblicare a proprie spese in soli 40 esemplari, perché non aveva i soldi per pubblicarne altre copie dopo essersi visto negato un prestito da un amico. E chissà quanto potrebbe continuare quest’elencazione di grandi (oggi) pubblicazioni a pagamento.
    Insomma, mi viene un dubbio – e non si tratta di scaramanzia…
    Ma quale pubblico di contemporanei avrebbe mai votato a maggioranza per la pubblicazione della Quarta parte di “Zarathustra”? E chi avrebbe investito un soldo su Rimbaud nel 1870?
    Con la poesia ci si sporca sempre le mani dall’inizio alla fine, e sta bene così.
    Elena

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