Parola ai poeti: Umberto Piersanti

 

Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Credo che lo stato della poesia in Italia sia sostanzialmente buono. Qualcuno dice, e forse è vero, che non ci sono attualmente poeti all’altezza dei grandi della terza generazione, come Luzi, Caproni, Sereni e Bertolucci. Ci sono però poeti di notevole spessore: se confrontiamo il panorama della poesia in Italia con quello della narrativa, la poesia è di gran lunga superiore.
C’è però una marginalità diffusa della poesia: i mass-media la ignorano e questo non è un bene. E’ vero che l’essere fuori dal mercato ci rende liberi, ma una presenza simile a quella dell’archeologia assira, ci rende marginali ed appartati. Bisognerebbe trovare un pubblico, anche non numeroso, ma non costituito solo da poeti e critici. Inoltre è assolutamente da condannare la rissosità permanente tra gruppi e individui che rende spesso i poeti persone insopportabili.

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Dopo l’uscita di alcuni miei testi su giornali e cartelle d’arte, ho pubblicato il mio primo libro nel ’67. Avevo fondato con un gruppo di amici una rivista chiamata “Ad libitum”. E così abbiamo pensato di appiccicargli una collana di poesia per evitare la dura ricerca dell’editore.
La breve stagione
è uscita alla macchia. Pochi se ne sono accorti ma “L’approdo letterario” si. Ero giovane ed entusiasta, volevo pubblicare e mi aspettavo tutto e niente. Dalle medie sapevo che dovevo scrivere qualcosa, avevo iniziato con un poema epico sull’Atlantide.

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

Alternerei la pubblicazione di autori consolidati a pochi e scelti autori esordienti o quasi. Molti piccoli editori chiedono una somma e non mi sento di condannarli: in Italia milioni di persone scrivono poesie, ma quasi nessuno le acquista. Bisognerebbe però che, anche richiedendo una somma in genere vista come acquisto copie, si tenesse d’occhio la qualità. In generale poi nell’editoria, come del resto in tutta la vita della società italiana, c’è una predominanza della dimensione amicale.

 

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

Il grande vantaggio di internet è la grande circolazione non soggetta a giudizi che, anche quando sono onesti, possono essere sbagliati. Questa enorme possibilità di circolazione costituisce però anche il maggior rischio del web. Anche i testi migliori possono essere confusi, schiacciati e resi irriconoscibili da un’immensa produzione sciatta e superficiale.

 

 Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

La critica accademica è, in genere, distante dalla produzione contemporanea. Quando se ne interessa è spesso fuorviata dalla preferenza per formalismi e cerebralismi vari che sono vizi tipici di troppa parte dell’accademia. D’altra parte la critica militante è scarsa e  la sua produzione risulta spesso occasionale ed amicale. Questo non toglie il fatto che esiste una presenza critica minoritaria acuta ed intelligente. Il compito della critica non è quello di innalzare o schiantare: un giudizio implicito o esplicito deve, però, sempre essere dato con misura e, quando ci vuole , anche con entusiasmo. La critica svolge una funzione creativa importante e nelle grandi stagioni ha sempre accompagnato e, talora, guidato la poesia: vedi Carlo Bo con l’ermetismo.

 

Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Il canone è importante se non è unico: i critici hanno il diritto di impostare i loro canoni. Il tempo accoglierà qualche nome e ne rifiuterà altri. Ogni canone non va nè divinizzato nè demonizzato. La trasgressione o la normatività non sono sufficienti in quanto tali a garantire la riuscita o meno di un testo. Ai sostenitori del pregiudizio “modernista” ricordo che Leopardi venne rifiutato a Milano in quanto la sua lingua era troppo legata alla tradizione: avrebbe dovuto scrivere come Berchet e noi non avremmo mai avuto Leopardi.

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

Prima cosa: gli istituti italiani di cultura all’estero operano spesso una politica assolutamente clientelare. Autori inesistenti con forti agganci politici e non solo, sono stati chiamati dovunque. A questa dimensione arbitraria un ministro della cultura dovrebbe porre un freno attraverso una commissione di esperti per riuscire a sanzionare almeno i casi più eclatanti. Per ciò che concerne la poesia dovrebbero essere dati finanziamenti modesti ma significativi per favorire le iniziative più importanti. L’aiuto per le traduzioni non dovrebbe essere, così come è oggi, casuale ed amicale.

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

Le scuole sono importanti, ma non sono le uniche. Ogni scuola dovrebbe invitare nel corso dell’anno due o tre poeti per far comprendere agli studenti che la poesia non è qualcosa di ormai tramontato, ma una presenza viva dei nostri anni. I mass-media non dovrebbero limitarsi a pochissimi programmi a quiz o a premio, ma fare qualche significativo incontro con l’autore come succede, per esempio, in Germania. Il rifiuto della poesia nei grandi contenitori è assoluto: prendiamo Uno mattina del primo canale RAI. Accanto ad erboristi, innumerevoli cuochi, inventori di congegni assurdi, ogni tanto appare qualche scrittore, mai un poeta. Si salva Radio3 che dà notevole peso ai libri e, un po’, anche alla poesia.

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Il poeta è un cittadino come tutti gli altri, ma deve sapere guardare il mondo. Ci deve essere un giusto equilibrio tra le radici e l’universo. In quanto cittadino deve impegnarsi nella società, ma non per questo è obbligato a scrivere testi impegnati se non ne sente la vocazione.

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Ispirazione e disciplina sono complementari e non antitetiche. Senza ispirazione si cade in una dimensione letteraria magari pregevole ma fredda ed astratta. Senza disciplina si finisce in un sentimentalismo gonfio ed eccessivo.
Una viola spuntata nei giorni attorno al Natale mi perseguita. Nella mia mente si incontra e scontra con il Presepio, le feste e mio figlio Jacopo. Arriva un giorno che ho l’energia necessaria per strutturare tutte queste immagini in un testo. Consapevole dell’importanza dell’oralità rileggo il tutto varie volte e apporto qualche correzione. Non riprendo in mano il testo fino alla sua pubblicazione.

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

Non si può distinguere tra emozione  e idea. Certo la poesia non è filosofia e le idee “filosofiche” di Leopardi vengono spesso rese attraverso immagini o metafore. La parola messaggio per troppo tempo è stata intesa come discorso civile. La comunicazione a cui tende la poesia è molto più universale e “ il civile” ne può costituire un’esigua porzione.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

Alcune amano la poesia, altre ne sono interessate in misura maggiore o minore. C’è anche qualcuno che non la conosce affatto e non per questo smetto di amarlo.

 

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Insegno letteratura contemporanea e mi concentro sulla poesia. Dunque ho la fortuna di avere un lavoro molto prossimo alla mia vocazione. Vivo la mia condizione lavorativa bene, ma: non mi troverei troppo male neanche a lavorare in una fattoria di campagna se la fatica non fosse eccessiva.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Vorrei uno spazio maggiore per la poesia un po’ dovunque: non enorme ma un po’ più vasto di questa  cerchia esoterica in cui siamo confinati. Vorrei anche dei poeti un po’ più umani e meno litigiosi.


 

Umberto Piersanti è nato ad Urbino nel 1941 e nella Università della sua città insegna Sociologia della Letteratura.
Le sue raccolte poetiche sono La breve stagione (Quaderni di Ad Libitum, Urbino, 1967), Il tempo differente (Sciascia, Caltanissetta- Roma, 1974), L’urlo della mente (Vallecchi, Firenze, 1977), Nascere nel  ’40 (Shakespeare and Company, Milano, 1981), Passaggio di sequenza (Cappelli, Bologna, 1986), I luoghi persi (Einaudi, Torino, 1994), Nel tempo che precede (Einaudi, Torino, 2002), L’albero delle nebbie (Einaudi, Torino, 2008) che ha vinto i seguenti premi: Premio Pavese Città di Chieri, Premio San Pellegrino, Premio Giovanni Pascoli, Premio Tronto, Premio Mario Luzi, Premio Alfonso Gatto, Premio Città di Marineo. Nel 1999 per I quaderni del battello ebbro (Porretta Terme, 1999) è uscita l’antologia Per tempi e luoghi curata da Manuel Cohen che ha anche scritto il saggio introduttivo.
Umberto Piersanti è anche autore di tre romanzi, L’uomo delle Cesane (Camunia, Milano, 1994), L’estate dell’altro millennio (Marsilio, Venezia, 2001) e Olimpo (Avagliano, 2006), di due opere di critica – L’ambigua presenza (Bulzoni, Roma, 1980) e Sul limite d’ombra (Cappelli, Bologna, 1989). Ha curato insieme a Fabio Doplicher l’antologia di poesia italiana del secondo novecento Il pensiero, il corpo (Quaderni di Stilb, Roma, 1986).  Ha realizzato un lungometraggio, L’età breve (1969-70), tre film-poemi (Sulle Cesane, 1982, Un’altra estate, Ritorno d’autunno, 1988), e quattro “rappresentazioni visive” su altrettanti poeti per la televisione.  Le sue poesie sono apparse sulle principali riviste italiane e straniere come “Nuovi Argomenti“, “Paragone”, “il verri“, “Poesia“, “Poetry” etc. In Spagna, nel 1989, presso l’editore Los Libros de la Frontera, collana El Bardo, è uscita l’antologia poetica El tiempo diferente (testo italiano a fronte, traduzione di Carlo Frabetti). Un’altra antologia tradotta da Emanuel di Pasquale è stata pubblicata negli Stati Uniti con il titolo Selected Poems 1967-1994 (Gradiva Publications – Stony Brook, New York, 2002). E’ presente anche in numerose antologie italiane e straniere e tra i premi vinti ricordiamo il Camaiore, il Penne, il Caput Gauri, l’Insula Romana, il Mastronardi, il Piccoli, il Frascati. Tre testi filmici L’età breve, Nel dopostoria e Sulle Cesane insieme a numerosi interventi sulla sua opera cinematografica, sono usciti nel volume Cinema e poesia (Cappelli, Bologna, 1985) a cura di Gualtiero De Santi. Attualmente dirige la rivista Pelagos.

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