Un Lungo Incontro – Introduzione a ‘Northern Geography’

di Milo De Angelis

Ho conosciuto Gabriela Fantato all’inizio del 1998. Venne a casa mia, in corso Lodi, per un’intervista che poi sarebbe uscita sulla sua rivista, La Mosca di Milano. Ebbi subito la percezione di trovarmi di fronte a una bellissima persona, ricca di umanità e slancio. Ma, soprattutto una persona che amava la poesia. L’amava e la lasciava respirare nelle parole di quel dialogo. Con in più qualcosa di medianico: Gabriela intuiva, ogni volta, ciò che stavo per dire e si disponeva a riceverlo, accoglierlo, custodirlo, prima ancora che ciascuna frase venisse alla luce. Era sorridente e maieutica, era primaverile come quel Marzo imminente che, attraverso le parole, entrava nella stanza. Memorabile, quel primo incontro. D’altronde l’incontro  è proprio questo: saper proseguire il discorso dell’altro. Gabriela Fantato aveva -e ha- questa dote: mantenere viva la scia dell’ultima parola, trasportarla, serbarla intatta, resituirla più chiara a chi l’ha pronunciata.L’ho incontrata poi in mille situazioni: conferenze, letture, cene, convegni. E ogni volta quel primo sentire trovava conferma. D’altra parte Gabriela Fantato -famosa a Milano, e non solo, come inesausta organizzatrice di eventi culturali- è in realtà molto di più: un’ispiratrice. E’ colei attraverso cui la poesia acquista voce e risonanza, pubblico e luogo, tempo cronologico e tempo assoluto. Di questo tutti noi le siamo riconoscenti.

E non solo di questo. Ho qui, sotto gli occhi, Geografie a Nord. Ritrovo lo sguardo di Gabriela: luminoso e notturno, trascolorante, sensitivo. Lo sguardo alla “santa nuda pelle” e alle “risate dei vent’anni”(1). Leggo poesie come: “in bilico”, “strano amore”, “piazza santo stefano”, “giorni di ieri”, “notte  a kiew”, “la stanza e un balzo”, con quel rincorrersi di baci, attesi, dati, intravisti; con quell’immagine insistita delle labbra, quei movimenti di danza e inchino, ferita e grazia.

C’è anche Milano, molta Milano: “nel bosco delle strade di milano/ ho perso ormai tutti i miei pezzi di pane”(2). Via Torino, le piazze intorno all’Università, il metrò, a cui è dedicata una bella materna poesia (3), la Stazione Centrale, osservata nel suo labirinto di tensioni e di passi, foulards e “bambini ingoiati”(4).

C’è poi il tema della caduta, del balzo, del volo, così ripetuto da meritare uno studio a parte (5). Ci sono infine momenti che sfuggono all’architettura generale del libro e restano isolati, ma proprio per questo ancora più emblematici: “quasi un urlo”, dalla forza astratta e allarmante, grumo di pressioni pronte a esplodere (6).

Vorrei però, in una scrittura così ricca di gamme, indicare una nota dominante,  suonata con maestria da Gabriela. E’ un doppio tempo, per così dire, della visione. Il suo sguardo dapprima fissa una scena -domestica, consueta, amichevole- e continua a fissarla, e nel suo insistere la trafigge, la getta nel suo risvolto segreto, buio, fecondo, drammatico: un altro mondo. “Girando la minestra con la zucca”, ecco che si vedono gli altri svanire “…oltre il tavolo di cucina” (7). Sono qui, gli altri, sono davvero qui, eppure in “quella sedia persi”(8). Sono qui, a un metro dalle pupille, sono lì, a perdita d’occhio. E ritorna più volte, in Geografie a Nord, questo moto del guardare, questo passo doppio, inattesa prospettiva che si genera nel cerchio esatto della scena, luogo geometrico che rivela una fenditura via via più profonda, fatale, divorante. Come quella cena notturna di volti, vino, risate (9): gli amici parlano “spalla a spalla”, mentre sotto il tavolo si apre un cosmo di giorni e di silenzi, promesse e buio, antico farsi e disfarsi dell’amore, tra adesso e mai più, l’ustione stessa della vita.

 

NOTE

1) ho citato qua e là, inglobandole nel discorso, alcune immagini del libro come queste che appartengono a “invocazione” e a “giorni di ieri”; quella finale dell’ustione è tratta da “viaggio sui sassi”.
2) cfr. “strade segnate a piedi”, pag. 14/15;
3) cfr. “a tacchi alti nel metrò”, pag. 6/7;
4) cfr.”stazione centrale”, pag. 16/17;
5) cfr. “dal sesto piano”, pag. 10/11; “la caduta”, pag. 38/39; “doppio su sfondo”, pag. 42/43; “la stanza e un balzo”, pag. 46/47;
6) cfr.”quasi un urlo”, pag. 22/23. Vicina a questo tono è l’allucinata densità di un’altra riuscita poesia “tempo dilatato”, pag. 4/5;
7) cfr. “sullo sfondo”, pag. 28/29;
8) cfr. “doppio su sfondo”, pag. 42/43;
9) cfr. “risate nella notte”, pag. 32/33

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