Maria Grazia Lenisa: ‘La ragazza di Arthur’

La ragazza di Arthur

Maria Grazia Lenisa

1992, pp. 144

Bastogi Editrice Italiana

Credo che nessun poeta, oggi, possa vantare l’agio dell’invenzione, la sapienza della scrittura, l’eleganza del verso, la soavità del ritmo, la ricchezza delle immagini e delle situazioni l’abilità d’intreccio delle evocazioni, delle fantasie, delle citazioni, delle allusioni, l’originalità delle forme di racconto poetico, quali offre l’opera di Maria Grazia Lenisa.
Ne La ragazza di .Arthur… direi che l’invenzione inesauribile di situazioni e figure raggiunga una condizione di supremo appagamento, di mirabile equilibrio nel sorriso della piena gioia che conosce limite nel farsi parola. Più che altrove, qui le situazioni iniziali dei testi appaiono determinate da una sorta di continuata lettura dei libri e degli eventi che essi hanno già fissato o delle gallerie di quadri, affreschi, statue, libri d’ora, che hanno figurato le invenzioni dei libri: ma poi ogni volta interviene il poeta a riprendere le vicende da capo, a rimettere in moto luoghi letterari, citazioni, nozioni, forme, immagini già segnate, a rigiocare forme, colori. atti, parole, modi di essere, ed ecco, allora, per miracolo, che tutto è ripresentato nella sfolgorante novità del gioco comnpositivo, nel quale l’ironia ha avuto la funzione di cancellare ogni abitudine, ogni precedente esperienza, ogni memoria. perché tutto appaia nuovo dell’audacia della più arrischiata e pur ben governata avventura della parola.
Se c’è una poesia che offra nel suo compresso come in ogni singolo testo un mondo alternativo rispetto a quello storico-fenornenico e anche esistenziale è proprio quello de La ragazza di Arthur… tutto vi è pura invenzione della parola, che vi è “divina” per capacità ininterrotta di far nascere situazioni, luoghi. personaggi, stagioni, visioni. C’è, in questa poesia una parte notevole d’evocazioni di giochi d’amore e di crudeltà, ma si tratta non di temi e contenuti, ma delle forme in cui più adeguatamente si traducono la sapienza e lo slancio dell’invenzione. che in tali figure si attuano con maggiore possibilità di variazione e di gioco. Non si tratta del piacere della situazione erotica ripetuta e rinnovata e moltiplicata dallo specchio inesauribile della parola, ma dell’allegoria più compiuta ed efficace della felicità creativa.
Il sorriso che brivida in tutto il libro e anima le visioni, i sogni, le invenzioni, le fantasie, i colloqui con interlocutori del passato e del presente, con le immagini dei libri e quelle dei quadri, con i nomi dei miti e della storia, con gli amici in luoghi diversi del tempo e dell’Europa fantasticamente reinventata e capricciosamente rifatta spazio di avventura della parola e dell’immagine, è quello della superiorità dello stratega mai stanco e sempre pronto a ricominciare da capo a inventare, che è il poeta.
C’è sì. in esso ironia sottilmente anunaliziata. ma anche intesa a rilevare nel tuorlo più netto ed efficace il potere della poesia e anche l’infinita altezza di tale concessione della scrittura di fronte a tanti poeti che si perdono nelle banali questioni di poesia civile o poesia dei sentimenti, di avanguardia o vita, di politica o ecologia (ovvero idillio, descrizione, paesaggio).
Diceva, nel capitolo a Sebastiano del Piombo, il Berni. contrapponendo Michelangelo agli altri artisti contemporanei: “Tacete, unquanco, pallide viole, | liquidi cristalli e fere isnelle: | ei dice cose, voi dite parole.” Si potrebbe dire lo stesso della poesia di Maria Grazia Lenisa. purché le pallide viole e tutto l’altro armamentario petrarchesco siano opportunamente sostituiti dai formulari d’uso della poesia di questi anni, con le varie mode ideologiche (di cattiva coscienza per il fatto di scrivere versi).
Su tutta la versificazione d’oggi la poesia di Maria Grazia Lenisa alza lo splendido, colorato. divertente orifiamma delle sue creazioni sempre nuove, acutamente provocatorie perché sono davvero la più alta scommessa che oggi sia giocata con la possibilità di esistenza e di durata della scrittura nel crollo della storia, intesa come giustificazione di oppressione e violenze.
Di questo, di tutto questo La ragazza di Arthur… è davvero il supremo riscatto, la rivincita infinita.

(di Giorgio Bárberi Squarotti)

 

A breve distanza dalla pubblicazione del poema: La Carta du tendre del 1989 – nelle ormai note edizioni Bastogi – (quasi con respiro triennale), a partire da Rosa fresca aulentissima (1986), stampata da Piovan, via via tralasciando i versi brevi, folgoranti, epigrammatici di questa raccolta e le “stanze” del più recente poema (a somiglianza delle “giornate” boccaccesche), Maria Grazia Lenisa ricompare, inesauribile e felicemente logica, con i versi de La ragazza di Arthur, éditi ancora da Bastogi e dedicati ad Arthur Rimbaud, nel centenario della sua morte.
Le prime diciannove poesie appartengono ad una silloge, introdotta da Jean Jacques Mèric e premiata al “Pomezia ’90”. Tante e diverse sono le sollecitazioni che inducono questa nuova raccolta, da giustificare la lunga, esaltante nota, stampata in quarta di copertina, di Giorgio Bárberi Squarotti e tanto da assegnare alla poetessa friulana, ora dimorante a Terni, un posto di eccezionale rilievo nel panorama dell’attuale poesia. Ci sentiamo di concordare con l’illustre critico sulle qualità di questo nuovo libro che, a differenza dei precedenti, ma ricalcando di questi gli esiti più salienti, ripropone temi affatto nuovi, dove l’invenzione, il ritmo, la fantasia s’intersecano, realizzando un tessuto lirico e compositivo tra i più accattivanti; dove l’affioro di una latente classicità si stempera in episodi di matura, inedita attualità, con bagliori che richiamano canoni di purezza greca. Citiamo: “Così m’apparve la parola d’oro, vestita | la festa, giovane, lavata d’ogni lordura, d’amore | mi comparve la parola, tanto l’amai da non essere | sola. | L’archeologia della sua pura luce era nel verbo | uomodonna completa nella sua sublime calma neutra. | Così ripresi la parola amore” (p. 9) e ancora: “L’ala ha ripiegata, la spiega per coprirmi | una lacrima. | Sarò uomo domani… | Ilari déi | si grattano per anfratti e peli, contendono | la mia pelle lauta. Passo il tempo a negare, | promettermi. Recito per ricordarmi: Al principio | è la Donna” (p. 10). Il libro è tutto un susseguirsi ‘crepitante di moduli inventivi, dialogici,’ sapientemente alternati a testi di allegoria; erotica, in divertissements tra i più casti e allusivi, anche nella loro apparente, candida impudicizia. Citiamo: “Non corpo snello, quasi stelo | ma carneo gigante fiore, le mammelle astri (due | lune tra coriandoli di stelle), le cosce larghe | senza spazi d’aria. | L’uomo che venne a dichiararti amore | ti trovò chiusa nella sottoveste bianca, accollata, | i ginocchi di fuori come le teste di bimbe affettuose. | Nella lingua non tua dicesti: fo-r-se”.
Alcuni, forse, troveranno esagerate le affermazioni del Bárberi, la sua adesione totale ad una tematica tra le più originali e stimolanti tra le tante così malinconicamente ripetitive e vuote. Ma costoro dovranno leggere, non solo, ma approfondire, per rendersi conto di tutto il caleidoscopio d’immagini e di scoperte che il poeta propone con quell’élan vital tipico della sua natura. Il che fa della Lenisa una delle più autentiche testimonianze nella poesia di questi ultimi anni.

(di Franco Riccio)

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