La poesia di Francesco Dalessandro

Recentemente ho avuto modo di leggere tre bellissime sillogi del poeta Francesco Dalessandro: Lezioni di respiro (Il Labirinto 2003), La salvezza (Il Labirinto 2006) e Ore dorate (Il Labirinto 2008), quest’ultima quasi un’appendice a Lezioni di respiro. Dalessandro affronta la scrittura come una rigorosa disciplina spirituale e quasi ascetica, in cui la parola diviene forma privilegiata del viaggio interiore, della ricerca di una più alta comprensione di sé e del mondo, la parola pensata, meditata, scelta con certosina pazienza, mai retorica, talora intesa quasi in senso coreografico, nel senso della classicità greca: «le parole si piegano danzano cercano un coro / in qualche angolo di mente dove sole / ma libere fanno teatro coi miei desideri» (Il consesso).
Il suo universo poetico pare un arcano e seducente labirinto nella tensione tra labor limae e magnetismo percettivo. Peraltro la composizione di una lirica che sia anche prosa e la poetica dell’oggetto cui si accompagna una puntualità lessicale al limite della tecnica consentono un riferimento a Montale.
In Lezioni di respiro (sonetti doppi, alcuni caudati) gli endecasillabi sciolti, la sequenza libera, mi riportano alla mente la lettera di Baudelaire ad Arsène Houssaye, cui il poeta dedica lo Spleen, quando afferma che la scrittura dovrebbe avere la duttile capacità di adattamento “ai movimenti lirici dell’anima, alle oscillazioni del fantasticare, ai soprassalti della coscienza”. Dalessandro consegue egregiamente questo scopo. La musicalità del narrato porta in sé il palpito di una suspence: si avverte in essa il quos ego… nettuniano, smanioso, tempestoso. Ossessivi sono i punti di domanda come se il poeta cercasse, senza trovarlo, un antagonista, mi vien da dire allo stesso modo di uno spadaccino che prenda a sciabolate la tenebra: «imparo che furia / e convenienze non s’incontrano mai / che l’amore si celebra nel sangue – / bolle fino alla febbre si stempera e ricade / esangue, educato tacendo a darsi pena, / “ma nell’intimo si scaglia / contro se stesso: è questa la poesia?”». Un ragionare continuo, pieno di cavilli, che tuttavia contiene un invito al faut tenter de vivre, al cimentarsi, all’industriarsi al vivere.
L’espressività così originale fondata sul bilanciamento fra “quotidianità” e “aulicità” permettono altresì un accostamento alla poetica di Saba. Dalessandro come Saba predilige i temi quotidiani, familiari, il particolare realismo affidato a figure esemplari e ricorrenti, l’opzione per una poesia di sentimento e di riflessione, la fusione di termini familiari e letterari: «Creatura mia leggera, ecco tornata / la stagione che tanto sospirammo / nei lunghi giorni gelidi d’inverno; / volubile e cangiante, primavera / è come il tuo sorriso di bambina / o l’umore che oggi ne disegni / in pioggia gronde rondini fratello / sole e sorella luna, tu e tua madre».
Tutto scorre e rientra in una parabola circolare di morte-in-vita e vita-in-morte fra figure e ombre di cari che non ci sono più, ma vivono nel cuore. «Così tutto ritorna ma più niente / è lo stesso: l’acqua torbida scivola / silenziosa e s’ingola sotto il ponte / mentre un vento leggero nel calore / mattutino dalla polvere bianca / morte figure amate ci suscita contro».
La salvezza
nel suo idillio quasi virgiliano accoglie la freschezza e i dubbi dell’età più giovane. Le poesie raccolte furono scritte intorno agli anni ottanta. Anche in questi versi, come in Lezioni di respiro, si fondono l’ideale oraziano dell’otium e il ripiegamento nel privato con un autentico attaccamento alla vita e alla natura. Gli oggetti divengono numinosi in una sorta di panteismo religioso, di misticismo materialista che in qualche misura richiama lo spirito rinascimentale o il deus sive natura spinoziano. Il poeta fa passare su di sé la natura, le specie sensibili che afferrano e tirano: «per la misera mica / la formica ritesse / i suoi percorsi: mai varia / la sua vita; non cosa inerte / l’attira o morta o dolorosa»; e la ridda vorticosa degli uccelli: la rondine, l’upupa “calunniata e bellissima”, le tortore brune, i gabbiani, i cormorani, gli storni, l’ortensia intristita: «il suo cauto fiorire accanto al pino / nano è come l’amore», la magnolia in tutto il suo fulgore nella poesia Piccola elegia notturna dedicata alla figlia Laura. Ma in questa magia “bruniana” di natura operosa e umani abbracci, non c’è salvezza possibile: «non c’è salvezza qui, / non è quest’ansia importuna / e mai paga che può salvarti / né colmare il tuo vuoto poi che sai / come si muoia e nel- / l’aria immobile poco / abbia scampo».
Ne Le ore dorate l’inquietudine e il pessimismo sembrano  placarsi  lasciando spazio al canto d’amore  delicato e sensuale. Il poeta contempla l’enigma e trae nutrimento dall’amore coniugale che non è “l’anestetico dei versi” (Lezioni di respiro) come in gioventù gli veniva di pensare, ma intima connessione con la felicità poetica. La fenice dell’amore che coniuga “la vertigine del desiderio con quella tenerezza frutto dell’abitudine” batte l’aria  con ali nuove in questi sette canti che corrispondono a sette lustri della sua vita coniugale. Dischiude e rivela i suoi contenuti di una valenza assai più che estetica: emozione e ragione diventano una cosa sola; esplode la dolcezza degli incontri vissuti con un ritmo che va dall’antica innocenza a un’altra innocenza, conquistata attraverso la sofferenza, il dolore, la vita. Sgranano le assenze. I vuoti perdono i loro contorni. Il poeta palesa quel sentimento che ciascuno di noi ha inciso nel proprio silenzio, come su pietra, e che nessuna mano, neppure quella del Tempo, può scalfire. «Qui dove ridente una voce / bambina in quest’ora di grazia in quest’aria / accesa risveglia il ricordo luminoso che più / e più vero rivive e aspettando il tuo ritorno / io scrivo questi versi, la magnolia sorveglia / l’idillio la severa volontà del nostro amore / di resistere e salvarsi, con speranza la guardo / svolare ignara nel sole e solitaria silenziosa- / mente presto allontanarsi, la piccola farfalla».

Rosa Salvia, “Polimnia”, a. V, n. 17-18, gennaio – giugno 2009

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