La disperazione e il nichilismo disgregante di Carlo Bordini in “Sasso”

SassoCarlo Bordini

2008, 101 p., brossura

Libri Scheiwiller (collana Prosa e poesia)

 

 

Carlo Bordini (Roma, 1938) è un poeta “narrativo” e, a suo modo, sperimentale. Incastra le parole in registri impervi, dai significati complessi e spesso irtitanti, eppure chiarifica molte assurdità del nostro presente, con un  piglio civile/lirico che sorprende e perfino può scandalizzare. L’aveva già fatto con dovizia e forza nel precedente volume di poesie Polvere (Empiria). Lo ripete con maggiori provocazioni e lacerazioni nel nuovo libro Sasso (Libri Scheiwiller, 2008, pagg. 101, Euro 14). Un raccolta poetica che Andrea Di consoli, nel risvolto di copertina, definisce “tra le più dirompenti degli ultimi tempi”.

Dirompente. Perché? Che cosa “rompe” tra gli equilibri consolidati nella nostra  quotidianità? Affronta e “dirompe”, cioè sgretola, conformismi, ipocrisie, volgarità, furti psicologici, inganni mediatici, egoismi dissimulati da filantropia; le violenze soggettive, gratuite, dovute all’incarognimento dei rapporti interpersonali. Con parole semplici e precise: disvela l’estrema solitudine dell’uomo contemporaneo. Fin qui si può obbiettare che non è certo il primo poeta a seguire questo che è invece un “filone” letterario del Novecento. I richiami ad Apollinaire, a Saba e a Pasolini – sottolineati dallo stesso Di Consoli – sono evidenti. Ma sono solo echi lontani. Nella versificazione di Bordini cambia tutto. Tutto è border-line, sul limite dell’accettabile. Per fare un esempio, la poesia, “esposta” anche in copertina, dal titolo Poesia rimasta in un cassetto, descrive il rapporto tra un eroinomane e una “brigatista”; con il passare del tempo il loro stare insieme diventa “noia”, ma “essendo già morti” essi alla fine non si annoiano più. Si tratta di un testo decadente, nichilista, così negativo che alla fine della lettura si ottiene una reazione uguale e contraria.

Bordini in questo libro smaschera l’ “orrore del mondo”, l’incapacità  degli uomini di convivere armonicamente. Il poeta non sa e non vuole dare ricette “sentimentali” e illusorie per il recupero del senso delle cose e delle persone. Per cui si vive e si continua a vivere, insieme o soli, e in fondo non si capisce perché. D’altronde, a chi interessa veramente sapere perché? In questa desolazione (un richiamo anche a Eliot è forse doveroso) la cosa cerrta è che si soffre. Anche questo non si sa perché e non vale la pena tentare di trovare una risposta. Le poesie, perciò, diventano “sassi”. Il poeta li scaglia in tutte le direzioni, ma non pensa affatto di caricarle di una finalità. Non invoca riscatti, non prevede epifanie, non vuole nemmeno inveire. Egli registra, comunica, e continua a cercare qualcosa che non sa cos’è (una nuova pietra filosofale?). Scrive nellòa nota finale: “è come se nella scrittura ci fossero in me improvvise rotture dell’inconscio… Arrivo sempre in territori sconosciuti e dopo ne so più di prima… Non si scrive quello che si sa, ma lo si sa dopo averlo scritto”. La poesia è “sempre qualcosa di artigianale, di imperfetto, così come artigianale è una preghiera. Nulla di precostituito o di seriale… La parola precede la conoscenza”. E conclude che la poesia, come tutte le artri, “è quello che tiene insieme la società, perché dà ragioni  comuni per vivere”. Leggiamo due di questi testi “dirompenti”:

Suicidio

Nulla di ciò che è vivo mi interesserà
Sarà come essere mai nato
Che è il mio sogno di sempre
Non ricorderò nulla.
Non ricorderò nemmeno di essere morto
Non saprò mai di essere stato vivo
E non saprò
Di averti amata
Gli altri si meraviglieranno
Si chiederanno perché.
Non capiranno.
Se sarò bravo
non mi accorgerò nemmeno del passaggio
Non ricorderò nemmeno di aver scritto questa poesia

Poesia proibita

So di vivere in una bolla
e so che si spaccherà
e l’orrore del mondo la spaccherà prima o poi e vi entrerà dentro
e so che l’orrore del mondo vi entrerà dentro e la spaccherà

ma non sapevo
che l’orrore del mondo
si insinua nella mia mente
e la spacca
prima che l’orrore del mondo
entri nella mia mente

Carlo Bordini

Da Sasso (Libri Scheiwiller, 2008)

Le diverse sezioni si completano le une con le altre. Alcuni temi sono ripetuti, come diverse e successive sedimentazioni. Anzi, è come se il poeta dovesse imprimere convulsivamente alcuni concetti elementari nella mente del lettore. Notevole è la sequenza di nove poesie dedicate alla “vecchiaia”. In esse emerge chiaro il rifiuto della società verso l’età finale dell’uomo come una colpa. Eppure il poeta “vede” nel vecchio pulsioni e ardimenti uguali a quelli giovanili. “Come un adolescente furioso egli sente di avere il diritto di essere tale e di trasgredire la norma borghese che è basata sulla normalità”; “il vecchio ha orrore della sua condizione”; “come è noto/ la caduta era nel cervello”. Spesso le poesie hanno versi lunghi che si ripetono, si ampliano, si accorciano, si eliminano. Quasi un gioco che, però, diventa litania, quasi preghiera laica, o addirittura esorcismo. Anche le invocazioni(poche) sono paradossali: “oh, per favore amatemi questa poesia è troppo triste”. Nel Poema inutile Bordini rappresenta il mondo d’oggi: suicidi, omicidi, credenze, la pazzia, l’amore, la rinuncia “sorella del dono e dell’omicidio”, le morti, le medicine, le torture, le bombe, la ricchezza, i pensionati, le assicurazioni, eccetera. “Questa generazione di storpi/ l’idea di non aver saputo proteggerla, non averla potuta salvare”. “L’unica cosa   [seria]  che posso fare è morire”. Il mondo e la vita  fatta di “microfratture”: “Le microfratture/ sono le telefonate e gli appuntamenti che ti snervano,/ improvvisamente,/ l’andare in una stanza e chiedersi: che ci sto a fare”.

Provvisorietà, precarietà, nichilismo. C’è speranza? Chissà, forse sì.  Leggere Piccola anamnesi dell’insonnia, un testo corrosivo sulla giustizia-spettacolo, la vita come film. Ed ecco versi apodittici: “Non si può essere umani/ bisogna essere insensibili come animali”. Solo così c ‘è speranza di patire il meno possibile. Non l’aveva già detto Leopardi? Tempi diversi, disperazioni che ritornano. Un barlume c’è o no? I poeti “spesso sono gli unici a dire la verità… i poeti non possono salvare il mondo, perché il mondo se ne accorgerà solo dopo“. Ma “quando si sta per morire si diventa/ altre persone, si diventa santi/ … / ciò che è osceno della vita può ormai far parte/ di lui tranne il tremore e la speranza/ di/  andare”. Il punto di passaggio verso una speranza (quale? la pacificazione con il mondo “orrendo”?) è nel momento del trapasso, unica grande verità dopo la nascita.

(di Ottavio Rossani, su Corriere Poesia)

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