Parola ai Poeti: Giulio Marzaioli

Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Forse l’unica differenza rispetto al passato è una progressiva distanza tra critica e testo. Riguardo alla salute dei poeti ultimamente soffro di insonnia, degli altri non saprei.

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

La prima pubblicazione risale a più di dieci anni fa e non era il momento giusto. Successivamente un percorso di confronto attraverso riviste, dialogo con altri autori e l’occasione di un premio letterario mi hanno portato a quello che considero il mio esordio. Non ricordo cosa mi aspettassi in quel periodo, in ogni caso l’ambiente della poesia è abbastanza privo di entusiasmi e non eccessivamente entusiasmante per sua natura. Tuttavia non credo che la delusione, conoscendo e frequentando tale ambiente, possa trovar luogo. Forse il disincanto è ciò che realmente configura l’ossimoro proprio di ciò che ruota attorno alla poesia (di per sé dovrebbe incantare).

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

In Italia non mi pare che esista una vera e propria editoria di poesia. Esistono alcuni progetti editoriali che con molta fatica tentano di sopravvivere e alcuni missionari che rischiando ed esponendosi economicamente cercano di proporre un genere del tutto invisibile e raramente distribuito negli scaffali delle librerie senza il ricatto dell’editoria a pagamento e senza rientrare nelle maglie dell’industria editoriale (all’interno della quale non ci sono né intenzioni né dinamiche virtuose il cui fine sia di far affiorare scritture di qualità – che nonostante tutto alle volte affiorano per pura casualità). Premesso tutto questo senza virgole e senza ma, credo che i poeti non debbano aspettarsi alcunché dagli editori, piuttosto dovrebbero individuare quei soggetti che indipendentemente da rapporti di potere e di convenienza scelgono ancora il testo per quello che vale e, una volta individuati, numerare tali soggetti quali propri ipotetici editori.

 

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

Internet comporta sicuramente un grosso vantaggio per la diffusione della poesia, anche e soprattutto per quanto scritto sopra. Tuttavia, come tutti sanno, il rischio è connaturato alla dimensione stessa del web (tutti sono e tutti possiamo essere autori ed editori di noi stessi). Da ciò si possono produrre e si producono dinamiche di scambio (io pubblico tuoi testi e tu pubblichi i miei) e un mercato dei derivati che alle volte sostituisce la presenza in rete al reale valore dei testi. Dato che proprio i testi sono l’unica cosa che in poesia e in letteratura conta e deve contare, l’ideale sarebbe seguire e configurare percorsi che, attraverso una serie di filtri, possano far scaturire nel “lettore” una sorta di affidamento. Per far ciò, tuttavia, è sul fronte degli operatori e dei critici che dovrebbe individuarsi il primo livello di responsabilità e quindi di attivazione.

 

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Certo, se restiamo a ronzare nel micromondo della poesia è perché molti di noi, e tra questi il sottoscritto, credono ancora che si possano attivare dinamiche di confronto e produzione diverse da quelle attuali. Il problema sta nei ruoli e non nelle persone. In Italia ci sono ottimi autori e ottimi critici, ma mancano pessimi, mediocri e/o ottimi lettori e mancano dinamiche di confronto e produzione sincere e funzionanti.

 

Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Credo che sia il rigore, al di là di presunti canoni (quale canone? Deciso da chi?) rispetto ai quali è giusto che ciascuno si regoli come crede, lo strumento indispensabile di qualsiasi artista e che, quindi, un crudelissimo spirito di auto-critica solleciti e stimoli uno stato di crisi (non necessariamente produttivo di cambiamento) che quanto più interferisce con il proprio lavoro tanto più incide positivamente sulla validità dello stesso.
Per quanto riguarda la tradizione, personalmente non avrei scritto niente di ciò che ho scritto sino ad  oggi se non la avessi prima attraversata e dopo scardinata e lo stesso vale per la scena contemporanea, che un’ansia di sistematizzazione spesso porta a configurare come “tradizione” anzi tempo e che quindi merita di essere attraversata e scardinata alla  stessa stregua, così come dovrebbe essere attraversata e scardinata la tradizione di sé, ciò che si porta dietro del proprio operato e che costituisce una zavorra nel momento in cui non viene mai ridiscusso con il rischio di riscrivere sempre lo stesso libro.

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

Il problema non è soltanto politico, ma – tautologicamente – culturale. Forse dovremmo usare maggiore modestia, riconoscere l’effettivo peso del nostro operato (Guillermo Arriaga non esiterebbe a ricordarcelo) e ripartire occupandoci e preoccupandoci di testimoniare in primo luogo percorsi realmente seri. In secondo luogo si dovrebbero investire molti soldi in progetti a lungo termine (innanzitutto editoriali, poi incontri, confronti, proposte, residenze, convegni etc.) gestiti da persone preparate e indipendenti da logiche estranee al semplice ed esclusivo valore culturale e artistico. Nello specifico della poesia, però, non possiamo dimenticare che in epoca moderna si è sempre trattato di un genere poco frequentato e diffuso, quindi non ci sarebbe da stupirsi se anche cambiando la situazione generale la poesia restasse ai margini.

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

In parte ho risposto sopra. Non sono certo che una maggiore cultura poetica farebbe necessariamente bene alla nazione. Prima dovremmo augurarci una ben maggiore diffusione di una responsabilità etica e un’apertura decisamente più ampia del grado di civiltà. Molto dopo potremmo pensare alla “cultura poetica” e comunque sarebbe utile confrontarci su cosa, e non chi, dovrebbe trovare diffusione (cioè non quali autori, bensì quale poesia? Quali opere? Quali testi?). Detto questo sono convinto che valga la pena prestare massima attenzione (anche) alla poesia per tramandare una coscienza critica e artistica che (anche) attraverso la poesia possa sopravvivere a questo sconsolante passaggio storico. Riguardo a ciò rimando comunque ad alcune riflessioni che potrebbero essere appropriate, qui.

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Il poeta è cittadino del proprio linguaggio (urbano, inurbano, rustico, campagnolo o internazionale che sia) e sicuramente è responsabile della serietà con la quale fa ciò che fa, al di là della coerenza o del versante su cui opera. Un comportamento utile potrebbe consistere nel non perdere mai di vista l’assoluta importanza (rispetto a ciò che fa) di ciò che va facendo, nonché la scarsissima importanza (rispetto al mondo che lo circonda) di ciò che è e che di sé va dicendo.

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Di solito aspetto la scintilla lontano da stufe a gas.

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

Mmh. La poesia dice ciò che qualsiasi arte può dire, ma dipende da quale poesia. La risposta alberga nel lettore e in ciascun lettore, non vedo come un autore possa rispondere qualcosa di sensato a questa domanda essendo sicuro delle proprie parole.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

So per certo che mia madre, mio padre e le mie nonne ritengono incomprensibile ciò che scrivo (una delle mie nonne definisce comunque “triste” la mia scrittura, cosa che ho sempre trovato inspiegabile, ma mia nonna non fornisce ulteriori argomentazioni).

 

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Ritengo una fortuna svolgere un lavoro che non ha nulla a che vedere con la poesia per il semplice motivo che in caso contrario sarei disoccupato. Non vedo niente di strano o di male nel fatto di vivere della propria scrittura, ma chiunque possa permetterselo sicuramente non è un autore di poesia.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Mi auguro che ci siano sempre meno persone che sentano il bisogno di scrivere libri e sempre più persone pervase dal bisogno di leggerli.

 


 

Giulio Marzaioli (Firenze, 1972) vive a Roma. Suoi testi, contributi fotografici e video appaiono su riviste cartacee e telematiche («L’Apostrofo», «Atelier», «La Clessidra», «Pagine», «Semicerchio», «La Rivista dell’Immagine», «Re:», «Smerilliana», «Poeti e Poesia», «Carta», «Poesia da fare, Quaderni (in www.cepollaro.it)», «www.retididedalus.it», «Nazione Indiana», «TriQuarterly», «I racconti di luvi»; «SUD», «L’Ulisse», «Sirena – Poetry Art and Criticism», «Der Poet», «Gradiva», «Absolute Poetry», «OEI magazine», «http://rebstein.wordpress.com/», «Il Caffè illustrato», «OR – poetry magazine», «L’immaginazione», «Versodove», «il verri», «bina», «Lettere grosse», «L’area di broca», «in pensiero»), plaquettes, opere collettive e antologie e sono tradotti in Francia, Stati Uniti, Germania, Spagna, Svezia. In poesia ha pubblicato varie raccolte, tra cui In re ipsa (Premio Lorenzo Montano 2005, Anterem Edizioni), Trittici (Premio Giancarlo Mazzacurati e Vittorio Russo 2007, Edizioni d’if), Suburra (2009, Giulio Perrone Editore, collana ‘inNumeri’ diretta da G. Alfano). In prosa è stato pubblicato il testo Quadranti (2006, Edizioni Oedipus; 2010, Mix Editions, in traduzione francese con il sostegno del Centre National du Livre). Attualmente è impegnato in un progetto di scrittura in tre fasi imperniato sul concetto di “procedura”, il cui primo episodio, moduli di prima fase, è stato pubblicato presso le edizioni de La Camera Verde, collana ‘felix’ (diretta da M. Giovenale); le voci di seconda fase sono di prossima pubblicazione per Arcipelago Edizioni, collana ‘ChapBook’, diretta da G. Bortolotti e M. Zaffarano. Ha scritto testi per il teatro da cui sono stati tratti allestimenti di teatro e teatro-danza rappresentati in vari festivals, rassegne e teatri (una scelta dei testi drammaturgici è pubblicata nel volume Appunti del non vero, 2006, Editrice Zona), per le arti figurative, per la video arte, per la fotografia. Ultimamente alla scrittura unisce la ricerca per immagini. Determinante, in tal senso, la decennale collaborazione con il centro culturale La Camera Verde, presso le cui edizioni ha realizzato plaquettes, cartoline, libri d’artista, pubblicazioni di vario genere nonché le mostre Cavare marmo (2009) e La concia (2010), da cui gli omonimi volumi, prime due tappe di un percorso fotografico dedicato al tema del lavoro. È stato curatore di eventi letterari e teatrali e ospite di università e festivals in Italia e all’estero (recentemente “InVerse” – John Cabot University, Roma; “Poésie/nuit” – École Normale, Lione; Lettrétage, Berlino). La foto è di Dino Ignani.

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3 Comments

  • “Per quanto riguarda la tradizione, personalmente non avrei scritto niente di ciò che ho scritto sino ad oggi se non la avessi prima attraversata e dopo scardinata e lo stesso vale per la scena contemporanea, che un’ansia di sistematizzazione spesso porta a configurare come “tradizione” anzi tempo e che quindi merita di essere attraversata e scardinata alla stessa stregua, così come dovrebbe essere attraversata e scardinata la tradizione di sé, ciò che si porta dietro del proprio operato e che costituisce una zavorra nel momento in cui non viene mai ridiscusso con il rischio di riscrivere sempre lo stesso libro.”

    Thumbs up, Giulio 🙂

  • Credo di aver lasciato il mio commento per Giulio Marzaioli nel post sbagliato.
    Lo riporto qui:
    “In Italia ci sono ottimi autori e ottimi critici, ma mancano pessimi, mediocri e/o ottimi lettori e mancano dinamiche di confronto e produzione sincere e funzionanti.”
    Incisiva e vera questa considerazione, che condivido, come del resto tutte le risposte.
    Con la stessa speranza, che si cominciasse a leggere di più, e scrivere di meno.
    grazie
    cb

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