Vedere oltre: Lucia Gazzino intervista Anna Maria Farabbi


di Lucia Gazzino

Il Segno della Femmina” di Anna Maria Farabbi non è soltanto una raccolta di liriche ma anche un libro parlante che diviene narrazione del verso sensoriale della poetessa. E’ rivolto a coloro che non-vedenti o ipovedenti possono farsi accarezzare dalla poesia attraverso la voce dell’autrice stessa e percepirne le vibrazioni e le emozioni più profonde.
Anna Maria Farabbi così ci racconta la sua esperienza.


Che cosa induce una poetessa nota e con alle spalle una lunga esperienza di letture pubbliche a realizzare un CD ad uso di coloro che vivono un limite alla propria vita sensoriale?

L’idea di questo CD non è scaturita da me. Mi trovavo a Isernia, invitata dalla Rivista Altroverso per un incontro sulla mia scrittura. E rispondendo alle domande del pubblico, cercai di narrare il mio rapporto con l’erotismo, con la sensorialità, con la dimensione umana dei sordomuti e dei ciechi, a me particolarmente care. Perché, spiegai, da anni sono particolarmente attenta ad ascoltare e accogliere le esperienze dei non vedenti, in una disposizione interiore di profonda umiltà. Nell’atto, cioè, di imparare, togliendo l’immagine come protagonista assoluta del nostro quotidiano sensoriale. Del resto, tutta la nostra società capitalistica e consumistica agisce attraverso l’ebbrezza orgiastica della visione, mancando di rispettare la ricchezza del dettaglio per la globalità spettacolare e abbagliante. Questo esercizio di attenzione al suono, alla vibrazione, al proprio e altrui fiato emesso, al corpo toccato delle cose – come atto di incontro, di conoscenza, non di possesso – è per me scuola interiore. Tra il pubblico c’era Mari Correa, responsabile de Il Libro Parlato: mi palesò immediatamente il suo interesse proponendomi di invitare dei non vedenti nella serata pubblica che il giorno dopo avrei dovuto sostenere a Campobasso. Pregandomi di approfondire l’argomento. Così feci. Emozionata di entrare direttamente, senza distrazione, nelle orecchie precise di un’altra creatura. Di quella magnifica serata ricordo: il mio viso fu sfiorato con lievità dalle mani di una signora non vendente. Sentivo di essere sentita, non presa, ma rispettata con amorevolezza e riconoscimento. Sentivo di coniugarmi intensamente intimamente a lei in linguaggio non verbale. Con agio e nell’agio la felicità di quel momento profondo. Ma ricordo anche un professore vedente che, salutandomi, mi consigliò di lasciare “ogni strada buia” , di non far soste, ma camminare alla luce nella luce. Con voce inquieta, turbata. Fu Mari Correa a chiedermi la lettura a voce alta in CD delle mie due ultime raccolte di poesia, Il Segno della Femmina edito da Lietocolle e Adlujè, da Il Ponte del Sale, così da affidarle alla biblioteca nazionale per non vedenti de Il Libro Parlato. Da lì, quindi, la scintilla. Poi la totale disponibilità tecnica di Massimo Achilli, entusiasta di questo progetto, così come quella editoriale di Michelangelo Camilliti. La Lietocolle ha ristampato Il Segno della Femmina con Cd incluso, mentre il Cd di Adlujè non è in vendita, ma fruibile soltanto all’interno della biblioteca de Il Libro Parlato.

“Il Segno della Femmina” viene definita una silloge erotica, personalmente la considero una raccolta di poesia sensoriale che volge lo sguardo ad una pulsione primigenia lontana dal consumo prettamente materiale dell’eros. Non facile quindi da proporre in lettura . Qual è stato il suo approccio alla sala d’incisione?

La registrazione è stata effettuata il 19 febbraio 2004 presso l’Umbria Music Center Assisi con il coordinamento artistico di Massimo Achilli. E’ stata un’esperienza straordinaria sentire non soltanto la propria voce con intensità concentrata, ma coniugare il tempo del pensiero con quello dell’emissione vocale, gestire il respiro attraverso la partitura della poesia, e non ultimo, il controllo del flusso salivale. Il tutto dentro un’amplificazione a circuito chiuso, nascente dall’interiorità del proprio corpo e amplificata in assoluto dentro le orecchie. L’effetto è stato impressionante, anche perché caricato di tutto il significato della registrazione.


In una società il cui inganno maggiore ci fa credere che la bellezza esteriore sia l’unico percorso per raggiungere l’estasi e la divinità, qual è , a suo avviso, un modo poetico possibile di avvicinarsi all’essenza più profonda dell’essere umano?

Abbiamo delle certezze assolute: due fatti: che siamo tutti figli e in un unico irripetibile corpo. La nostra filialità ci impone, nolenti o volenti, un significato di umiltà, di riconoscimento – se non di riconoscenza – di dipendenza permanente da una matrice di origine. Madre della madre della madre della…Matrice cosmica, quindi. Questa nostra relazione ci comanda attenzione senza tregua alla nostra relatività. Quando io nomino la parola umiltà scarto immediatamente l’accezione cattolica. Voglio soltanto una lettura semplice che contenga la nostra effettiva condizione: piccoli nel cosmo e al tempo stesso tempo ricchissimi di potenzialità. Eredi di…e quindi con enorme responsabilità. Il corpo è l’unica misura nostra. Misura sensoriale dentro cui l’essenza: il respiro. Avvicinarsi all’altro agli altri attraversando le bucce, gli abbagli delle bigiotterie, nel sentire la polpa, intimamente.

 

Grazie alla sua ricerca poetico-umana è entrata in contatto con l’opera di John Hull. Ce ne può parlare?

Studiando la dimensione dei non vedenti mi sono imbattuta in Touching the Rock, l’opera straordinaria autobiografica che ha fatto conoscere John Hull in tutto il mondo. Tradotta da Garzanti, ma fuori edizione, praticamente introvabile. Qui l’autore narra, senza alcun cedimento patetico o dolente, la graduale perdita della vista con tutte le conseguenze nel quotidiano. Che cos’è la pioggia, che cos’è la scansione del tempo e l’orientamento spaziale, camminare sulla neve… Il testo, secondo me, ha un’importanza eccezionale più per vedenti che per i ciechi stessi. Ci impegna a riscoprire potenzialità sensoriali che la vista ha spento, addormentato. Scrissi a John Hull la mia stima e da lì è cominciata e continua la nostra corrispondenza. Sto lavorando proprio in questo periodo sia ad una sua intervista a me rilasciata sia alla traduzione del suo ultimo testo.

 

Chiudere gli occhi durante una lettura pubblica porta ad una maggiore concentrazione sul verso. Dopo questa esperienza com’è cambiato il suo modo di ascoltare e leggere poesia?

L’atto della lettura a voce alta è sacro. La parola torna fiato emesso e suonante. Chi dice e chi ascolta. Vibrazioni e sonorità oltre che spostamento d’aria. Il corpo intero riceve, non solo le orecchie. Così come la veglia attorno al fuoco tra i canti e il raccontare. E’ stare in/sieme. Nello stesso seme. Nello stesso piano: chi dice e chi ascolta. Reciprocità, corrispondenza, innesto. E/mozione: andare verso. Tutto mi in/segna. Mi segna dentro.

 

Pensa di continuare a proporre le sue opere in forma sia scritta che parlata?

Sì. La scrittura ha bisogno di riportarsi in oralità. Di ridistribuirsi in fiato nella comunità. Azzerare qualunque tentazione di torre d’avorio letteraria, sublimata. Ogni esposizione pubblica mi impegna un notevole flusso di energia, per la concentrazione. Ma ci credo. E continuo il pendolo dell’esposizione e del ritiro (interiore).

 

Ringrazio Anna Maria Farabbi per il tempo donatoci ma soprattutto per la luce intravista nelle sue parole.

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