Anche per le poesie vale la regola delle polpette: per farle bene ci vuole tempo, e poi se son venute bene durano. — Valentino Zeichen

Parola ai Poeti: Ida Travi


[Dopo le risposte di Gio Ferri e quelle di Antonio Spagnuolo, oggi ospitiamo le risposte di Ida Travi alla nostra intervista ai poeti. Buona lettura.]


Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Lo stato di salute generale è pessimo… ma siamo ancora vivi. La poesia non è altro che il nostro mondo. Critica, genere, canone e tutte le cose che stanno intorno vengono dopo il mondo, cioè anche dopo il disastro. Ora poeta e poesia sono parole da usare con una certa cautela… a partire da me, s’intende.

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Ho pubblicato il primo libro di racconti con l’edizione storica Re Nudo, alla fine degli anni ’70. Non era il momento giusto, è capitato. I sogni allora erano collettivi. Probabilmente ero nel sogno di tanti altri. Nessuna delusione: credevo di vivere e invece si sognava, era certo meglio così.

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

Se fossi un editore piccolo, però ricco, non punterei all’impresa ma alla storia. Se fossi un editore grande metterei in perdita almeno una collana imprevedibile per linea e criteri… Cose più facili a dirsi che a farsi… Infatti non sono editrice e ragiono da poetrice! Dagli editori mi aspetto distribuzione e cura, ma soprattutto un lampo d’intesa.

 

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

Non lo so. Al momento mi adeguo. E’ la soluzione più rapida. Si fa con quel che c’è a disposizione, non c’è scelta. La vera lotta mi sembra interiore. Non posso neanche vagamente tentare di sapere quel che il formidabile mezzo farà di me. Eppure… il giunco e la quercia… già, il giunco non si spezza perchè si piega. E’ una vecchia storia.. Ma a casa mia, oggi, piegarsi non sortisce lo stesso effetto che in Giappone mille anni fa… Il web, il mezzo… sì, il mezzo, però alla fine comanda. La poesia di domani?..Mah!

 

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Più che una a comunità penso a una SCOMUNITA’. Penso a una scomunità dove la esse non è negazione, ma sta a indicare una specie di raduno di fuoriusciti da luoghi chiusi, i più impensati. Penso a un magma in continuo movimento dove ognuno può andare e venire, e dire la sua, senza dover raccontare per questo da dove viene e dove va . Un luogo dove non serve piantare una tenda… dato che non è solo d’un Pc che ho bisogno… Quanto al valore delle opere… mi pare lo stesso magma. Prendiamo ad esempio la temibile domanda “cos’è l’arte contemporanea?” E “chi decide come e quando un’opera contemporanea è un’opera d’arte? ” La domanda è infinita. Ci vuole almeno una vita, una serie infinita e infinita di adesioni e fughe. Non se ne viene a capo tanto facilmente… Intanto però chi può ed è capace se la pratichi come vuole quest’arte contemporanea, lasci a suo modo un segno… La critica? In genere non seguo la critica e la critica non segue me. Ognuno fa il suo mestiere. Ma certo anche la scomunità dei critici rivolgendosi alla scomunità dei poeti dovrà darsi altre categorie di pensiero… categorie capaci di rintracciare ancora qualcosa e qualcuno in questa generale dissolvenza del reale.

 

ll canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Ogni scardinamento del canone diventa ben presto canone a sua volta. Questo alla fine può essere utile, sapendolo. Però chi scrive poesia non dovrebbe porsi questo problema.

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

E che cosa intende per cultura un Ministro della Cultura? E che cos’è un Ministro? E una Ministra? Cos’è una politica della Cultura? E la letteratura che cos’è? Cos’è la buona poesia ? A parte il Ministro o la Ministra, sono cose che sembrano senza fondo, anzi, senza fondi. Il buono e il cattivo governo, cosa sono? E la Scuola di governo, di conseguenza, che cos’è?

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

Alla poesia non serve l’educazione, anzi, nasce facilmente tra i maleducati . Sbaglierò ma ho l’impressione che la nascita della poesia non abbia niente a che vedere con la sua diffusione. Personalmente vivo la diffusione della poesia come un festoso e sacrosanto riconoscimento, anche un po’ funebre… Vivo la diffusione della poesia come l’atto finale d’ un processo di separazione: la poesia si stacca e se ne va , prende il volo… così la penso… e certo, i reading e tanto altro sono situazioni in cui ‘poeta e poesia’ sono lì ancora insieme, ma per quel che mi riguarda stanno già pensando ad altro, stanno già facendo altro, stanno già diffondendo, appunto…

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Parlo per me. Il poeta vive una miriade di mondi come un luogo solitario piazzato al centro della sua responsabilità… nel senso che il poeta dà il suo responso. Alla fine però metà responsabilità è di chi scrive, e metà è di chi legge. O ascolta. Sì. Anche chi legge o ascolta deve fare la sua arte. Toh! Ho scritto arte invece che parte. Del resto va meglio così… Responsi, forse… Ma risposte precise, risposte vere e proprie, zero, come adesso, come qui.

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Ispirazione, disciplina. Tutte e due. Nessuna delle due. Metà e metà. Dipende. Entriamo nei sistemi complessi. Come il vivere. LAVORARE e avere a che fare con gli altri ti mette nella stessa scintilla, solo che non te ne accorgi, non ti accorgi che anche quando non scrivi assomigli a un poeta… Ma anche NON LAVORARE ti mette lì nella stessa scintilla , tutto il caos e l’ordine di cui sei vittima, tutto il piccolo sistema che comandi ti mette nella stessa scintilla e potresti, potresti… ma non è mai abbastanza. Sembra esserci una falla, una perdita da qualche parte… trovi una scintilla, va bene, e adesso che ce l’hai cosa ci fai con questa scintilla?… A volte dura un attimo, e se non ti muovi, anche tra te e te, se non ti sbrighi a dire qualcosa …

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

Ed ecco qui la faccenda del messaggio: ‘dire qualcosa’ che non sai bene cos’è: è sempre così, più cerchiamo di dire qualcosa balbettando e più quel qualcosa nel balbettare va perdendosi, anzi… alla fine non facciamo altro che dire con la voce nascosta: ‘ sto balbettando’ , perchè quella è la cosa vera. ‘ Sto balbettando’: ecco quello che veramente vogliamo dire.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami? Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Per il momento lavoro. Meno male. E’ un lavoro che non ha niente a che vedere con la poesia. Lavoro, faccio quel che c’è da fare, e sono anche contenta di farlo. A volte è bello, a volte è dura, ma è certo peggio non lavorare… questo però lo si capisce solo lavorando. Da questo punto di vista il nostro è un tempo tremendo. Credo che il lavoro abbia molto a che fare con la poesia… Sei lì, e c’è qualcosa da fare, ci sei dentro. Sì, la poesia è il lavoro allo stato puro… forse per questo attualmente è senza compenso. Ti richiede attenzione, impegno, misura… Se il poeta non si imponesse da solo qualche catena finirebbe col perdersi nella sua stessa sconfinata libertà. Detto questo non mi piacerebbe affatto scrivere per mestiere, difatti non lo faccio.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Il futuro della poesia? Non so cosa dire. Forse in varie e imprevedibili forme accompagnerà il destino imboccato dal mondo. Ma lo accompagnerà a colpi, un po’ spingendo e un po’ frenando… Secondo me, questo è il momento giusto per una frenata, ma poi…

 


 

Ida Travi nasce a Cologne, in provincia di Brescia, nel 1948. Scrive poesia, prosa e testi drammaturgici. La sua ricerca si svolge sia sul piano poetico che sul piano teorico. Negli anni ’80 pubblica Vienna e L’abitazione del secolo, prose poetiche edite con la piccola casa editrice Corpo 10, fondata da Michelangelo Coviello. Negli anni ’90 si trasferisce a Verona, dove ben presto si creano occasioni d’incontro con la Comunità Filosofica Diotima e dove approfondisce il pensiero della differenza. Nelle raccolte poetiche Regni e Il distacco, edite da Anterem, si raccolgono le poesie ‘scritte per essere dette’ e contemporaneamente viene a definirsi la peculiare posizione teorica dell’autrice che sfocia nella pubblicazione del saggio L’aspetto orale della poesia (1° edizione Anterem 2000, 3°edizione Moretti&Vitali 2009), e in alcuni scritti sulla lingua materna, intesa come ‘lingua parlata sul nascere’ nel primo rapporto con il mondo. Seguono la pubblicazione e la messa in scena dell’atto tragico Diotima e la suonatrice di flauto (La Tartaruga-Baldini Castoldi Dalai 2004) e le due raccolte di poesia per la musica La corsa dei fuochi e Neo/Alcesti (2009 Moretti&Vitali ). Mette in scena con sua regia l’adattamento delle sue opere.

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6 Responses to “Parola ai Poeti: Ida Travi”

  1. Cinzia Luigia Cavallaro says:

    Le otto domande in fila, che però sono una risposta alla settima domanda, mi sono arrivate al cuore come altrettante pugnalate. Ferite necessarie che dovrebbero interpellare la coscienza di chi sta seduto alla poltrona di ministro. Tutta l’intervista è molto disincantata ed obiettiva, e mi trovo d’accordo praticamente su tutto. E mi sento solo di aggiungere: IMPAVIDI, ANDIAMO AVANTI, ININTERROTTAMENTE. Non importa se non sempre ci comprendono e magari ci sottovalutano. La poesia salva la vita, comunque. Sia quella di chi la scrive e quella di coloro che solo la leggono. Grazie delle belle riflessioni.

  2. Marina Corona says:

    La poesia non è nella testa dei poeti, è nel mondo, i poeti semplicemente la trascrivono grazie a particolari antenne ricettive e capacità formali che li mettono in grado di comunicare agli atri ciò che loro sperimentano. Noi viviamo in un mondo complesso, in preda ad una metamorfosi perenne, probabilmente dovuta ai percorsi tecnologici che inducono rapidi mutamenti sociali; un mondo che facilmente disorienta. Di qui un’arte contemporanea che non ha una linea precisa ma si offre “a più voci”, “frastagliata”, “plurivariegata”, ma va bene così: come dice Luis Borges: “Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo…sono il poeta”

  3. Redazione says:

    Tra tutte quelle pervenuteci fino ad ora, le risposte all’intervista di Ida Travi sono quelle in cui personalmente mi riconosco maggiormente, e per i contenuti e, soprattutto, per il tono. Il tono di una donna (prima che poeta) seria pur senza prendersi troppo sul serio. Ovvero, consapevole che chiunque faccia quluanque cosa, tutto lascia il tempo che trova – è un balbettio.

    La sua definizione di Scomunità, poi, mi/ci è piaciuta così tanto che l’abbiamo presa in prestito (praticamente rubata!) per intitolare il nostro primo evento che si terrà a Verona il 23 Ottobre.

    “Penso a una scomunità dove la esse non è negazione, ma sta a indicare una specie di raduno di fuoriusciti da luoghi chiusi, i più impensati.”

    Ce la metteremo tutta.

    Luigi B.

  4. morena piccoli says:

    Quello che scrive Ida Travi lascia senza punti fermi.

    Ce ne sono mai durante la vita di una donna, di un uomo?.
    Nei momenti in cui punto le mie energie su di un sogno mi sembra che proprio quel sogno possa essere il mio punto fermo.
    Può sembrare contradditorio: cosa c’è di più etereo, immateriale di un sogno? eppure è dove si sostazia il mio divenire, è dove mi confronto con gli altri e le altre, è dove nasce e si sostanzia la mia vita interiore e politica.

    Questa riflessione è stata possibile perchè Ida Travi nella sua intervista ha parlato della vita, della complessità non dando risposte ma invitando ciascuno a dire la sua, ad inventare un pensiero, a registrare dentro e fuori di sè un percorso possibile (o non possibile).
    La ringrazio della occasione offertami.

  5. Abele Longo says:

    “Alla poesia non serve l’educazione, anzi, nasce facilmente tra i maleducati .” E se fossero proprio i “maleducati” a mancare alla Poesia, per renderla più “viva”?
    Letta con molto interesse.
    Abele

  6. [...] quelle di Gio Ferri, Antonio Spagnuolo e Ida Travi, ospitiamo oggi le risposte alla nostra intervista di Giacomo Cerrai. Buona [...]

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