Valentino Zeichen – di Renato Nicolini


di Renato Nicolini

Valentino Zeichen era probabilmente destinato ad approdare (Ulisse era arrivato al paese dei Lotofagi…) alla mostra d’arte. Ad avere il dono della Pizia, si sarebbe potuto vaticinarlo già dalle mattinate che negli anni Sessanta trascorreva seduto, fin dall’inizio della primavera, camicia jeans e sandali, sugli scalini della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Valle Giulia in attesa delle turiste di passo. Ripensandoci, sorprende di questi appostamenti la fiducia nel potere seduttivo dell’arte, rappel au plaisir così decisivo da poter sostituire, valore assoluto, tutti insieme i tradizionali pronubi: la dolce conversazione, mangiare assieme, il vino, la notte, la luna o il piano bar. La poesia di Valentino Zeichen inclina agli ossimori, e in generale ai cambiamenti di registro e agli accostamenti imprevisti: il che specificava questo suo destino come approdo al collage. Governato con la stessa squisita educazione delle partite a dama con l’amico Bob; poesia con cui Valentino sfidò gli umori – anch’essi assoluti, ma traguardanti altre idee di vita d’artista e di poesia – dei trentamila giovani che si erano dati appuntamento sulla spiaggia di Castelporziano per il Festival dei Poeti. Non ricordo con certezza se in quell’occasione Valentino era vestito (come mi pare) d’inappuntabile lino bianco: di sicuro sorprese e spiazzò quel pubblico, che solo l’arrivo di Dacia Maraini, troppo incline a chiedere permesso, indusse alla protesta. Nel mondo di Zeichen protesta, urlo e maleducazione non possono esistere: la loro rumorosa esibizione svanisce presto, troppo effimera, mentre il graffio dell’ironia lascia il segno. Si deve aderire al proprio ruolo – ma con la stessa levità d’impegno del collage – dove la fatica consentita è l’appropriatezza. Se si vuole essere invitati a cena, bisogna sempre portare con sè già incartata la dovuta bottiglia di vino. Le ragazze possono diventare anziane e prudenti – ma sarà sempre il sostantivo, mai l’aggettivo, a dare il senso. Baraccato ma a Borghetto Flaminio dove con la bella stagione apparecchia pastasciutte domenicali agli amici, minacciato costantemente di sfratti da ricorrenti follie d’ordine comunali, Valentino Zeichen non si affida più soltanto all’eternità che possono procurare le parole ed aspira, sia pure con le forbici e la colla più che con la matita e il pennello, a quella determinata dalle immagini.

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1 Comment

  • Significativa e sintetica, questa bella ‘presentazione’ di Valentino Zeichen, scritta da Renato Nicolini, coglie molto bene i caratteri dell’uomo e dell’artista.

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