Paolo Ruffilli: Camera Oscura – una nota di Mirko Servetti

Camera Oscura

Paolo Ruffilli

1992

Garzanti


 

Paolo Ruffillioltre il soggetto, dentro la storia
(su Camera oscura)

I) mimesi di una Premessa

Frequentando i miti, i corpi e i luoghi componenti l’ossatura metastorica quale principale motivo del magistero poetico di Paolo Ruffilli, occorre considerare la topologia entro cui si morfologizza il flusso poematico che da Piccola colazione, transitando per gli ‘scartamenti’ di Diario di Normandia, riprende il suo corso nel ‘letto’ a brevi anse di questa Camera oscura.
Se nel primo capitolo di quella che è definibile quale compiuta trilogia il termine, come risulta dal brevissimo proemio, è etimo di ‘collatio’ da cui si dipana, nel continuum del divenire, quel ‘fagoi’ che non può essere saziante data l’estendibilità del logos, nel successivo Diario… la terminologia non lascia spazio a metonimie o ad altra ambiguità in quanto l’assunto quotidiano viene perseguito per tratti di limpida ossessione dei minimi accadimenti, dei luoghi e delle circostanze (1) in un processo basato sulla ricerca della funzione esaustiva del soggetto che, facendosi dapprima complementare – con operazione di perfetta singenesi – all’universo situazionale de/scritto, perviene allo stato fenomenologico dell’essere quando per essere, al di là delle accezioni immanentiste, si voglia intendere non già una dimensionalità immobilistica e irradiante , ma la parte dinamica di un tutto che interagisce con tangibile locutorietà.
L’eventuale ipotesi di un escamotage operato da Ruffilli nel ‘viaggio’ pre/testuale di Diario… viene esautorata alla luce dei presupposti appena enunciati in quanto il “depistaggio” apparentemente prospettato in quel lavoro demanda la mobilità del soggetto allo spostamento geografico ove sembra, per circostanza, venir meno l’introspezione che connota la lectio di Piccola colazione. Ciò non deve suscitare illazioni di tipo tautologico poiché con pacato, quasi sommesso, ma implacabile memento l’ultima sezione offre, in funzione parentetica, questa chiosa: (Ci fu un periodo/della mia vita/che rimanevo a letto giorni interi/per non distogliermi/dai sogni) (2).

II) limpide immagini dalla Camera oscura

Appartiene interamente al filone ‘speculativo’ questa Camera oscura che si presenta con modalità che vanno ben oltre l’ovvietà epifanica di un mero album fotografico con l’evocazione degli annessi ricordi. Ruffilli, proseguendo l’indagine per strutture poematiche, riprende in certo senso l’excursus “sospeso” di Piccola colazione compiendo questa volta un’introspezione digressiva certamente utile ai fini di un’indagine dalle valenze universalizzanti. Il poeta dilata ulteriormente le prospettive territoriali del viaggio in un divenire ontogeneticamente soggettivo ma dalle risultanze ‘oggettivamente’… assenti, ove per assenza si voglia finalmente intendere il compimento di una capillare frantumazione di quell’io storicamente corrotto dai guasti di certa teoresi hegeliana. Il pre/testo è, nel caso, insito nella dimensione atemporale e, sotto certi aspetti, in/corporea che la fotografia manifesta allo sguardo del soggetto fruitore. Ma nel tempo che segue allo sgomento per una presa di coscienza non solo dell’evanescenza e della disgregazione di una memoria fisica quale fenomenologia del costume e della storia ma anche e soprattutto come riflesso speculare di un sofferto assetto esistenziale, il soggetto si costringe a quello scarto da sé che lo porta ad assumere in maniera estrema il carico di dolore che s’accompagna alle diversità spazio-temporali rivelate a loro volta dall’album di famiglia. Il concetto di atemporalità viene pertanto a vanificarsi, secondo la pretesa accezione di inamovibile valenza, allorché Ruffilli propone una nuova e ribaltante compenetrazione ideosemantica alla dimensione metastorica della memoria fotografica; laddove con simile terminologia si voglia quantificare una metodologia interpretativa del succedersi dei medesimi fatti ‘storici’. La regolare scansione di queste ‘epigrafi’ sussume all’interno di un topos “programmatico” la trattazione di precisi riferimenti storici, non v’è dubbio, sebbene la chiave di compenetrazione non possa passare che attraverso la tramandazione visiva. Del resto, lo stesso Ruffilli si astiene da escursioni motivate da nostalgie per improbabili “età dell’oro” precisando con assoluto rigore che:…un segno/ il dato, ma non/memoria o nostalgia,/di ciò che è stato”. Ogni possibile (e fuorviante) dubbio è dissipato dal significante, dato, che a sua volta si rivela ‘significato’ di precisa temanza. Vi è dunque un sinergismo metasemico preposto a modificare gli aspetti ideolinguistici e apparentemente apodittici che la riproduzione fotografica ingloba in sé allorché vengano tenuti in conto i postulati storici che ne determinano l’identità; e da ciò consegue un’ulteriore complementarietà significante/significato che viene a proporre percorrenze extra-testuali ed extra-dicotomiche in quanto il rischio di un’ingombrante ideodicotomia si risolve in una compiuta dialettica rivolgentesi ad una universale interlocutorietà. Dagli anfratti molari della Camera oscura scaturiscono quindi i lemmi di un’interpretazione del mondo presente arricchita dalla linfa del dolore storico-esistenziale.

III) Lo sguardo attraverso il testo

Il proemio didascalico che precede l’ ‘indagine’ di Paolo Ruffilli entro i luoghi di questa camera del tempo ha il proprio incipit nell’ombra del volto evocata come iniziale contatto dalle pudiche movenze dove in fieri s’intravede la contaminazione di un fardello-io di assillante presenza e di cui occorre sbarazzarsi attraverso un iter di programmata sofferenza.
Il testo, nel suo fluire magmatico, non concede nulla alla tipologia assiomatica o aforistica e le parti vengono incasellate in un tutto di straordinaria potenza ri/evocativa.
Non traggano tuttavia in inganno gli apparenti enunciati di descrittività e di rappresentazione che possono indurre ad individuare la reiterazione di modelli espressivi crepuscolari. Al contrario, è lecito spostare l’accento di questa elaborazione progressiva, proprio in virtù di un dato contenutistico in luogo di un aspetto eminentemente formale, nel campo di una materia che si oggettiva nella rappresentabilità del malessere – Presto invecchiata/dal mestiere – o di una educazione sentimentale non filtrata dalla teoria freudiana, ma piuttosto dal superamento storico-culturale del triangolo edipico che pone finalmente il soggetto nella condizione di farsi macchina desiderante, per dirla con Deleuze e Guattari.

Questa educazione sentimentale, che avviene in una delle camere oscure da cui l’esistenza trae ciò che viene comunemente qualificato come esperienza – “O, all’erta e al buio/giù in cantina/sulle cassette della frutta,/a lei piaceva/tenere tra le mani/quello che pendeva” – attraversa luoghi e tempi non facilmente storicizzabili, in prima analisi, per virtù di una sincronia esistenziale composta ontologicamente, per quanto i risvolti autoironici e smitizzanti mettano spietatamente alla berlina quei valori che, con quel tanto di pruderie ottocentesca, ancora sopravvivono in parte in ciò che resta della civiltà rurale: Eppure, tra noi/con muto patto/fingiamo di ignorare/che stia provando l’uno/quel che l’altro/ha già fatto. Ancora, il soggetto-macchina desiderante elude archetipie giustificatrici della presenza di Edipo ricorrendo al muto patto di complicità:…Mi/lasciava, se era/sola, strisciarle/tra le gambe mentre/le stirava e là frugarle/nella gonna corta. Dove la chiave di lettura si offe ad una maggiore panoramicizzazione tematica, si ha per contro la piena percezione del dolore, sebbene preceduta dalla consapevolezza dei perversi meccanismi dell’entropia: La scoperta che/i tanti minimi/e spaiati tratti/appartengono allo stesso/sistema generale,/fatto di parti/e di rapporti/che hanno perfino/un senso, nel loro/disordine totale.

Il dolore per la perdita (Crepato, lui,/di cancro all’intestino/e morta, a un anno,/di tumore, lei,/al cervello) evocato con versi crudi, quasi prosastici, essenziali fino al distacco, si propone come metamorfosi del riscatto dal dolore attraverso le fasi del rifiuto ideologico e fisico del totalitarismo: Il nonno rifiutava/di iscriversi al/ partito e, di notte,/venivano a picchiarlo; della dignità e della coerenza delle proprie scelte pagate con le privazioni, l’emarginazione e la sofferenza di chi non accetta la svendita di sé, ieri come oggi: Da allora non poté/che sopravvivere; di una sorta di atarassia temprata dall’alveo di speranze e disillusioni accumulatesi nel tempo: Eroe di un tempo/un po’ attempato/in cambio di un’idea/di libertà, fu/offeso e poi tradito./Analfabeta, di domenica/comprava l’Unità. L’io frantumato e dissolto con modalità di pervicace effrazione trova un principio di sistematizzazione nella seguente chiusura: …non esistevo/neppure come soffio/o impronta o vuoto, quasi ad indugiare in una panica atemporalità per poi posporsi come completa oggettivazione di poetica essenzialità: Stato ero solo/assestamento di funzioni/non riuscito. Qualcuno/principiato e /mai finito. L’uso talvolta di rime e assonanze sapientemente distribuite; il ricorrere costante a una struttura metrica breve dove spesso domina il verso quinario quasi a costituire lo “zoccolo duro” del procedimento; una conduzione stilistica scarna poiché necessaria all’ordine e alla compostezza della scrittura; un dettato che rimanda tuttavia a stilemi ‘concettisti’ ma prudenzialmente ricondotti ad analogie linguistiche che non travisano i contenuti poiché in grado di prendere le dovute distanze dalle verticalistiche tematiche barocche; tutto ciò, insomma, contribuisce alla composizione di un affresco che conduce, attraverso il gioco estremamente raffinato di moduli espressivi preziosamente… dimessi e disadorni, a molteplici opportunità interpretative.

Note

(1) Vittorio Sereni, dalla nota in quarta di copertina a Diario di Normandia, Edizioni Amadeus, 1990.

(2) Da Diario di Normandia, ibid.

 

(di Mirko Servetti su La dimora del tempo sospeso)

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