Umberto Fiori: Tutto bene Professore?

Tutto bene professore?

Umberto Fiori

2003, 120 p.

B.C. Dalai Editore (collana I saggi)

 

Quando i responsabili editoriali della casa editrice Baldini & Castoldi proposero ad Umberto Fiori, poeta, cantante e docente di scuola, di raccontare in un libro le condizioni dell’insegnante nella scuola odierna, accettando l’invito il professore si chiese immediatamente che cosa avrebbe potuto aggiungere alle eccellenti narrazioni dall’interno della scuola di Starnone, Pacchiano e Onofri (alla memoria di quest’ultimo è dedicato il libro di Fiori). Poi – racconta nella Premessa – ogni indugio fu rotto alla notizia della nomina di un manager, Letizia Moratti, a capo del ministero dell’Istruzione (neanche durante il fascismo, commenta Fiori, si era giunti ad affidare la riforma della scuola ad un manager o ad un gerarca).

Questo fatto gli sembrò la naturale conseguenza di quanto accaduto in Italia nei precedenti vent’anni, in particolare della progressiva svalutazione del valore della cultura a vantaggio dell’economia (e dello spettacolo più volgare). Anche se i docenti, scrive Fiori, in generale non possono definirsi intellettuali in senso pieno, l’avversione nei confronti del lavoro intellettuale manifestatasi dagli anni ’80 ha travolto gli insegnanti di scuola. Si è passati da un ‘disprezzo tranquillo’ dell’opinione pubblica nei confronti di una categoria ‘miserabile, sì, ma in fondo innocua’ ad equiparare il titolo di professore ad un insulto.

L’odio verso i docenti di scuola si alimenta di sospetti e luoghi comuni, che rimbalzano dagli organi di informazione alle salumerie (magistrale lo scambio di battute tra la madre di un’alunna del professor Fiori, commessa di un minimarket, e l’autore del libro nel capitolo intitolato ‘Vacanze’) e prende corpo nell’istituzione di mortificanti corsi di aggiornamento, nel disconoscimento del lavoro in classe, considerato routine, a cui fanno da contraltare le benemerenze acquisite dai docenti per attività organizzative e gestionali, nel prospettare una valutazione degli insegnanti senza disporre di criteri scientifici in proposito.Valutazione che pertanto suona come una minaccia soprattutto per i docenti più bravi in quanto non riconoscerebbe i meriti effettivi ma funzionerebbe come forma di controllo e come strumento per mantenere bassi gli stipendi.

E’ la deriva della scuola-azienda, di cui Fiori sottolinea alcune contraddizioni: la miopia imprenditoriale per la quale non si tagliano rami secchi come l’ora di religione, ormai disertata da tantissimi studenti; l’inadeguatezza di un marketing che non sa promuovere il prodotto (l’insegnante) mentre si sofferma su ciò che è marginale (le strutture).

Di fronte a questo, scrive Fiori, ‘l’insegnante laico della scuola pubblica italiana, oggi, è un po’ come un missionario al quale arrivasse – nel cuore della foresta equatoriale – un telegramma del Papa: “Dio mai esistito. Stop. Intensificare predicazione. Stop”. In questo senso la sua condizione è – che lui lo sappia o no – quella di un intellettuale in senso pieno; di un pensatore addirittura. Nessuna circolare, nessuna direttiva, nessuno slogan politico è più in grado di giustificare davvero i suoi sforzi quotidiani, di assegnare loro un senso plausibile, un fine. Lui stesso deve provvedere a procurarsi, giorno per giorno, la terra sotto i piedi’.

Il lavoro di ogni giorno degli insegnanti ha impedito per il momento la distruzione completa della scuola: 
‘I miei colleghi hanno imparato da soli, a loro spese, in anni di pratica quotidiana, come reggere in equilibrio sulle loro spalle l’edificio traballante dell’istruzione pubblica. Si sono visti piovere addosso riforme e pseudoriforme, direttive e corsi di formazione, progetti e controprogetti, che non tenevano alcun conto della loro esperienza in classe, dei loro veri problemi, della situazione reale nella quale un insegnante si trova a operare. Sotto l’alta guida ora di questo ora di quello Stato Maggiore sono usciti ogni volta dalla trincea, e in cambio della loro paga da fantaccini hanno affrontato – da soli, corpo a corpo, calzati di cartone – la devastazione e l’assurdo della scuola e della società italiana, inseguiti fin nell’ultima dolina dai sermoni e dalle requisitorie di ministri, commentatori, super-pedagogisti, imprenditori’.

Quindi Fiori evidenzia alcune specificità di questa prassi quotidiana: l’isolamento (il lavoro del docente ‘si svolge – per il 95 per cento – in uno spazio chiuso, segregato – l’aula – dove l’unico adulto è lui, e gli altri sono dei minorenni, degli alieni coi quali persino chi li ha messi al mondo ha difficoltà a intrattenere rapporti normali’), la fatica (‘un professore […] ha di fonte una bomba a ormoni, nuova a qualsiasi regola della convivenza civile; ha a che fare con corpi e anime in continua espansione […] Tra le sue personali energie e quelle dei sui “clienti” c’è una disparità fantastica’), l’invisibilità (‘l’aula è un luogo segreto, uno spazio incantato […] Il senso vero della cerimonia che si svolge là dentro può essere colto appieno solo da chi ogni giorno vi mette in gioco la propria presenza’), la teatralità (‘insegnare è, anche, una performing art, che impegna – oltre alla mente – la voce, la faccia, i gesti di chi la esercita’).

Il capitolo conclusivo, ‘Software, ceralacca e maturità’, è un esempio di quello spirito cooperativo e di quell’atteggiamento disponibile alla considerazione e all’apprezzamento del lavoro dei colleghi su cui mi sembra che si debba migliorare molto.

(di Giuseppe Benedetti su DocentINclasse, ottobre 2006)

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