Alberto Cappi: Il modello del mondo – una nota di Ottavio Rossani

Il modello del mondo

Alberto Cappi

2008, 120 p.

Marietti (collana La Sabiana)


Alberto Cappi è un poeta che si è imposto dentro quel particolare movimento letterario definito “neoavanguardia”. Si tratta di uno dei più spericolati ed efficaci sperimentalisti. I suoi libri di poesia (Alfabeto, Per versioni, Piccoli Dei, Il sereno untore, Visitazioni, La casa del custode, che coprono gli anni dal 1973 al 2004), oltre a molte plaquettes, saggi critici, traduzioni, lo testimoniano. Nel Secondo Novecento si è imposto come il cultore della estrema manipolazione della parola, con ardite combinazioni, inverosimili concertazioni, disarticolazioni e ricostruzioni. Un lavoro di scavi, rotture, ricomposizioni: una scrittura unica e carismatica, al di là del significato, che alla fine comunque emerge in un magma espressivo ribollente e mai definito. Ma con la nuova raccolta Il modello del mondo (Marietti 1820), Alberto Cappi – che mi onoro di avere amico da diversi decenni, nonostante non ci vediamo spesso – ha operato una modificazione molto importante nel suo laboratorio creativo (già cominciata in verità con La casa del custode nel 2004). Prima di tutto voglio sottolineare che ha scelto di dare valore al contenuto, pur non rinunciando alle sue invenzioni linguistiche e alle sue alchimie verbali. In secondo luogo è rilevante la materia che ha attirato la sua attenzione plasmante: la presenza di Dio, appunto “il modello del mondo”. Questa è la mia interpretazione e mi piace evidenziare la novità. Il terzo elemento di riflessione è che Cappi ha ammorbidito la sua rigidità nella valutazione delle cose, nella sua posizione critica sulla creazione letteraria, e nella scelta del ritmo del verso. Tutto è diventato più duttile, più dolce.
Davide Rondoni, nel risvolto di copertina, sintetizza così la svolta di Cappi: “In questa raccolta, dove a mio avviso spira un’aria più estrema, e se possibile brucia una concentrazione al tempo stesso più furiosa e però più abbandonata delle precedenti, troviamo il poeta impegnato nel suo decisivo corpo a corpo: con il tempo”. Prima di addentrarci nel mosaico dei significati e della forma, propongo di leggere i testi che seguono:

Ancora non sappiamo come
sei sceso dalla goccia d’oro
al demone verde dell’ora,
se il tuono azzurro ridesta
il tuo Nome, se il tino è
colmo di luci, di te, che
conduci all’uva della festa.

Questa poesia è tratta dalla sezione In tuo nome. La prossima fa parte de Il fischio del delfino, sezione dedicata al tsunami del 2004:

Viene cantando col suo lamento di piccola
sirena, viene dai silenzi del fondo
dove sguscia la roccia dal nido
di remote tracce e cristalli ciechi.
Come potranno le reti imbrigliarne
i sogni? Angeli d’umide maglie. Doni.

La sezione Questo che è è tra le più belle ed emozionanti. Eccone due sestine: la prima sulla notte

è questa la notte che conduce al passo
verso il grido l’orecchio s’è destato
chi stringe la tua parola dilegua in
anse di fiume in lume di temperie
sottratte alla caduta tornavamo
alla grotta e d’improvviso viviamo

e l’altra sull’alba

questa è l’alba e io ti invoco
ho acceso la lampada della mia voce
il muschio è trappola per le vane vocali
e il suono si perde l’ombra ci rende
docili al giro della sciamante stella
noi eravamo, erriamo, siamo capanna

La varietà dei temi e dei toni è una ricchezza quasi impalpabile, ma reale. Poesia allusiva, metaforica, dubitativa, eppure fisica, musicale, con uno sguardo a natura e fauna . L’elemento disturbante è il tempo, inflessibile. Il senso della presenza divina è dato dalla compagnia della morte. Si alternano invocazioni, preghiere, osservazioni, constatazioni, proposizioni, immagini tronche.

le parole si sono scomposte brucano le brezze
di sogni da cui si alzava il canto
intanto cadono gocce di suoni e lente
sillabe e oscuri lampi e timide visioni.
Quale coltre stellare, Padre, per il puro
andare del giorno per il muto tributo

Cadono le certezze, ma poi ritornano più forti, ricorse ancora da forti dubbi. E prevalgono le domande che “avanza il tempo”. Poesie brevi (da quattro a massimo sette versi, come è nel suo stile), poca punteggiatura. Versi non lineari, ma a sbalzi. Il senso non si compie alla fine del verso, ma in mezzo, e il nuovo pensiero, la nuova suggestione, bisogna isolarla a metà del verso successivo. Eppure, non c’è frattura ritmica, la costruzione è concreta, sia pure da decifrare. Una poesia che richiede partecipazione, impegno, desiderio. Ma una poesia con un alito diverso, profumato, promettente. Una freschezza coinvolgente, verso un’altezza con vertigine.

La pagina del cielo
graffiata dal lampo.

Senza veli
la nudità del Dio.

Tu sei il nome.
Il segno
non ha scampo.

Una ricerca inesausta. “… l’uomo abbandona la mela/ … / la musica piove e/ gemendo gemendo gemendo erra”. “scrive come fosse lettera estrema”. Sì, la scrittura di Cappi è così, estrema eppure morbida: “con me si alza la preghiera/ e il respiro del sangue trasuda/ dalla lesa veste del corpo. Ciò che/ vi chiedo è che la morte non
mi avvolga nella cupa ombra/ della sera che sia viva l’attesa”.

(di Ottavio Rossani su Corriere Poesia)

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